Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Queste le parole che diedero inizio al viaggio del sommo poeta Dante nei gironi infernali, parole di perdizione che compongono uno degli incipit più famosi della letteratura mondiale.
Cortesemente, spegnete i cellulari
non toccate gli oggetti di scena,
e ricordate di essere parte integrante dello spettacolo.
Queste invece, di impatto volutamente meno “letterario”, le parole pronunciate da un altro Dante, di professione ingegnere, protagonista di D, lo spettacolo della Gilda dei Guitti scritto e diretto da Silvia Faccini. Si dice che il colpevole prima o poi torni sulla scena del crimine, e come poteva esimersi questa compagnia dal tornare al Castello Orsini, location suggestiva e perfetta per riprodurre una delle tematiche proprie della Divina Commedia, quella del viaggio, che qui viene traslata e riproposta?
L’opera dantesca è uno dei capolavori letterari più conosciuti di tutti i tempi, e qui ne viene fatta una rilettura sagace e a tratti ironica, epica, a suo modo romantica, costruita con una tensione che aumenta un passo dopo l’altro. Il pubblico, esercito silenzioso chiamato di tanto in tanto all’azione durante la rappresentazione, segue i passi di Dante, ultimo erede del vate, investito del gravoso compito di salvare il mondo dalla discesa di Lucifero. Questo protagonista/eroe vedrà il proprio naturale scetticismo sgretolarsi via via che affronta nuove prove. E nuovi dannati. A fargli da guida, ovviamente, un sempreverde Virgilio, capace di alternare l’atteggiamento aulico che si addice al suo ruolo e al suo retaggio, a momenti in cui l’irriverenza mostrata tradisce un’iniziale sfiducia verso colui che non è ritenuto degno della fama di chi l’ha preceduto.
Sono queste le premesse che accompagnano il peregrinare di questo reticente salvatore e del suo esercito nelle cerchie infernali, che verranno superate una dopo l’altra non senza difficoltà. La struttura dello spettacolo sembra riprendere la divisione in livelli classica dei videogiochi, con il protagonista che, ad ogni nuovo step, dovrà confrontarsi con una delle figure narrate nell’opera trecentesca, per proseguire poi verso quella successiva. Una tormentata Francesca, stavolta costretta a fare a meno del suo amato Paolo, Cerbero, Medusa, Filippo Argenti, il Minotauro e altri, costringeranno il moderno Dante a fare i conti con la sua ritrosia, con il suo passato, con sé stesso e con una maschera di sicurezza che piano piano cede. La discesa nell’inferno non è solo fisica, ma assume i contorni di qualcosa di più profondo per il protagonista, un’esperienza capace di toccare le corde più nascoste della sua anima. E solamente quando affronta la prova più dura, nel momento in cui tutte le carte vengono scoperte, mostrando una realtà ben diversa da quella che ci si era andati costruendo stanza dopo stanza, cerchia dopo cerchia, si trova di fronte a ciò che realmente è, ad un’immagine che aveva celato persino a sé stesso. Come nella più classica delle fiabe.
Così come Dante, anche il pubblico si trova a dover affrontare percorsi tortuosi e labirintici, che solo la guida di Virgilio contribuisce a non rendere inestricabili. Nella strada che si percorre durante lo spettacolo, nessuna stanza è mai uguale alle altre e, cosa ancor più importante, nessun passaggio, nessun ambiente è mai identico a sé stesso, tutti vittime di istantanei cambiamenti, metafora dello smarrimento affrontato dal protagonista. Quello tracciato dal testo di Faccini è, in qualche modo, un percorso di formazione, durante il quale assistiamo alla completa maturazione di Dante, i cui panni sono indossati da Gianni Pasquali. I passi incerti con cui all’inizio segue Virgilio, diventano via via più sicuri, l’andatura perde ogni titubanza iniziale ed una volta affrontato il mostro finale, quel Lucifero che sognava di ergere il suo regno sulla Terra, la maturazione di questo personaggio ibrido fra letteratura e realtà, fra storico e moderno, è finalmente completa.
Il lavoro messo in scena dalla compagnia è suggestivo e coinvolgente non solo per la splendida cornice del castello, ma per lo sviluppo narrativo in sé e per la resa scenica di tutti i personaggi che vengono presentati. In ogni camera si assiste ad un confronto fra Dante e un dannato (o guardiano) di turno sempre diverso, con un suo climax e una successiva risoluzione che, di volta in volta, forniscono agli spettatori gli strumenti per affrontare, insieme proprio al protagonista, l’ultima parte della narrazione, costruita su una tensione massima, somma di tutte quelle precedenti. Qui assistiamo al naturale ed atteso incontro fra Dante e Lucifero ed è sempre in questa fase finale che Beatrice, nominata all’inizio del viaggio da Virgilio, quasi come il suo nome fosse un’esca, fa la sua apparizione, rendendo con le sue parole ancora più intelligibile la volontà di Dio. Qui agli attori viene dedicato lo spazio scenico più esteso di tutto lo spettacolo, non solo per il numero di personaggi coinvolti ma soprattutto per l’importanza che questa parte riveste nell’intera impalcatura narrativa. Un’impalcatura senza alcun dubbio solida, lineare ma non per questo prevedibile. I vari personaggi, storici e mitologici, che popolarono le pagine della Commedia, riprendono qui nuova vita, con una rappresentazione che, pur rifacendosi agli stilemi classici, li rinnova rendendoli più fruibili e attuali.
Tutto lo spettacolo è costruito in modo da riuscire a coinvolgere lo spettatore, proiettandolo al 100% nella narrazione e riuscendo a farlo sentire parte di essa (come era stato annunciato da Dante prima che iniziasse il viaggio) in tutto e per tutto. Un incantesimo rotto solo quando, alla fine, uscimmo a riveder le stelle.