Con il concerto di sabato 4 giugno, si è conclusa la stagione invernale 2022 con uno dei grandi nomi del jazz, Lino Patruno che ha presentato un gruppo straordinario riunendo musicisti di diverse generazioni, accumunati dalla passione del jazz classico. Accanto a Patruno al banjo si sono esibiti due personaggi storici, il pianista Ettore Zeppegno e il contrabbassista Giorgio Rosciglione. Alla tromba il giovanissimo Lorenzo Soriani esperto di Jazz classico, alla batteria Giampaolo Biagi e il cantante inglese Clive Riche.
Lino Patruno all’anagrafe Michele Patruno classe 1935, artista poliedrico, con esperienze che vanno dal jazz , all’attore di cabaret, alla composizione di musiche da film, a sceneggiatore e produttore cinematografico. E’ il fondatore del Lino Patruno Jazz Show con il quale si esibisce regolarmente nei locali e nei festival del jazz in Italia.
La sua carriera com’è iniziata, cosa l’ha poi portato a fare questo come lavoro? Quando ero ragazzo andavo alla scuola per geometri a Milano e il Jazz era qualcosa per quelli con la puzza sotto il naso, non ci facevamo coinvolgere dalla banalità. In quegli anni c’era la moda dell’esistenzialismo e appunto la colonna sonora dell’esistenzialismo, che veniva dalla Francia, era proprio il jazz. Facevamo gli esistenzialisti per evitare di cadere nella banalità all’italiana. Poi casualmente sono passato attraverso il cabaret, insieme ad alcuni amici, Nanni Svampa, Roberto Brivio e Gianni Magni, ed abbiamo fondato il gruppo dei Gufi. Da Milano poi ho portato il cabaret a Roma.
Come mai la scelta di trasferirsi da Milano a Roma? Sono venuto a Roma per scrivere una sceneggiatura di un film di Pupi Avati, un film sul Jazz degli anni 20, dal titolo Bix – Un’ipotesi leggendaria, basato sulla biografia del jazzista Bix Beiderbecke.
Che differenza c’è fra il suo Jazz e il Jazz di oggi? La stessa differenza che c’è fra il cielo e l’inferno. Io mi occupo di Jazz da sessant’anni e quelli di oggi non capisco nemmeno una nota. Mi sono fermato agli anni 60, Miles Davis, Charlie Parker, John Coltrane questi personaggi che ho conosciuto personalmente, sono stati l’ultima cosa bella del Jazz, ma sono contento di rimanere legato alla tradizione. Per me il Jazz è Armstrong, Benny Goodman, Glenn Miller, questi artisti qui.
La musica di oggi non le piace, forse perché tendono a mischiare varie musicalità? Non è nemmeno tanto quello, ci sono paesi in cui hanno una musica migliore della nostra. La canzone italiana è inascoltabile. Ci sono dei paesi invece che hanno una musica meravigliosa, come il Brasile, io amo la Bossa Nova quasi come il Jazz e fanno delle cose stupende una più bella dell’altra. Avevo degli amici che sono morti tutti ed erano gli unici che sapevano cantare Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Fred Bongusto e Bruno Martino, questi si che sapevano cantare.
Agostino Fraccascia