A centosettant’anni dalla nascita di Vincent Van Gogh, la Mic International Company porta in scena una pièce teatrale ambientata in un Cafè chantant parigino di metà Ottocento. Il linguaggio di Vincent si manifesta in diverse forme, rivelando la sua personalità, le sue sfide e le sue passioni. Lo spettacolo viene arricchito dalla presenza di un’orchestra dal vivo composta da chitarre, violini, pianoforte, musette e percussioni che accompagnano la danza flamenca e contemporanea e dalle voci di un cast d’eccezione che interpreta con raffinatezza i più grandi parolieri e cantanti francesi (Edith Piaf, Charles Aznavour, Mireille Mathieu, Yves Montard) associato da uno straordinario allestimento visivo che utilizza animazioni 3D delle opere di Vincent Van Gogh per creare un’esperienza emozionante e coinvolgente per il pubblico.
Incontriamo Andrea Ortis, ideatore e regista di questo spettacolo, che ha fatto in modo che l’anima di Van Gogh potesse scaturire fondendosi in emozioni contrastanti, che vanno dalla solitudine alla speranza, intrise dell’animo inquieto e nostalgico di Vincent.
Com’è nata l’idea di dedicare uno spettacolo a Van Gogh? La passione sempre conduce direbbe qualcuno ed è così anche per me. Il mio rapporto con la pittura, con la Francia, in maniera più approfondita con il grande movimento impressionista prima ed espressionista poi mi ha avvicinato, molto a Van Gogh, che chiamo Vincent, perché da sempre nelle sue opere e nella sua vita ho trovato una sorta di confidenza, di amicizia o, se vogliamo, una sintonia amichevole che mi ha fatto scoprire e “sentire” un uomo straordinario. Ecco dove nasce l’idea e la voglia, direi, nasce dall’aver conosciuto un uomo dai mille colori, un uomo-caleidoscopio che diffrange la luce e sé stesso lasciandosi “impresso” o “espresso” nelle sue straordinarie tele. Una persona così magnifica va raccontata e fatta conoscere, ecco, volevo presentare questo mio amico a più persone possibili.
Lo spettacolo è stato portato in scena in molti teatri italiani, che esperienza è stata per il pubblico? È difficile rispondere a questa domanda. L’accoglienza è stata straordinaria, i teatri pieni, l’aggiunta delle repliche, il silenzio quasi assordante e colmo di ascolto, i minuti di applausi finali a tutto il cast schierato fanno dire che l’esperienza sia stata meravigliosa. Ma ci sono dei piani che non saprò mai, che non sapremo, fortunatamente, mai. Mi chiedo: è il numero delle persone o l’energia dell’applauso l’unico elemento di valutazione? Io credo di no. Ho raccolto in questo tour una serie infinita di messaggi privati che mi parlavano di un grado di emozione sconosciuta, come se il racconto avesse toccato corde diverse e, in ognuno, in maniera differente. Ecco io credo, e vorrei, che il teatro non concludesse proprio nulla, piuttosto aprisse al dubbio, alla richiesta di approfondimento schierandosi dalla parte di una circolarità che insiste nel pubblico lasciando qualcosa che può essere utile alla vita. Credo che questo il pubblico l’abbia avvertito ed abbia con me aperto le finestre e le porte, tutte, di questa abitazione teatrale che, di tutti, è!
Parlando della creazione di uno spettacolo di questa entità che unisce il 3D, con l’orchestra dal vivo, piuttosto che il cantare e ballare, a livello tecnico che difficoltà avete incontrato e quanto tempo è servito per arrivare alla “prima” in assoluto? Il lavoro è stato molto lungo ed approfondito, ovviamente un lavoro di squadra, un team che ho il piacere di dirigere da anni e su diversi progetti. Le composizioni del maestro Capuano, Luci e Video di Virginio Levrio, le coreografie di Marco Bebbu, le scene di Gabriele Moreschi. La base di ogni allestimento, di ogni lavoro deve essere la conoscenza, lo studio. Solo la conoscenza consente da una parte l’analisi e dall’altra la sintesi. In tal senso la pluralità di linguaggi impiegata aumenta il livello di difficoltà, soprattutto perché non è mai semplice creare un equilibrio che abbia in sé, la coerente partecipazione delle diverse forme espressive ad un unico obiettivo che è la messa in scena del testo. Musiche, Proiezioni, Coreografie ed ogni altro elemento corrono il rischio di viaggiare da soli, per questo la difficoltà maggiore è sempre quella di trovare una velocità comune, una cooperazione tra le “parti” che faccia diventare protagonista “la parte” che è la storia. Per fare questo è servito un lavoro di circa tre anni. Per fare ciò serve una importante competenza professionale ed un grado di umanità e di ricerca personale che dia luce e respiro alla propria competenza. Ecco ho la fortuna di dirigere dei grandi professionisti che sono splendide persone.
“Cafè Van Gogh” è una commedia senza dubbio per gli adulti, nonostante ciò, hanno partecipato tanti ragazzi, qual è stato ed è l’obiettivo di portare al teatro una fascia d’età giovanile? Non so bene dire se Van Gogh Cafè sia una commedia per adulti, ho visto durante le matinée che il pubblico giovane in età scolastica ha saputo leggere e cogliere aspetti nascosti, celati, appassionandosi alla vita tormentata di un uomo che fanciullo o giovane è sempre stato. In tal senso non esiste un vero e proprio obiettivo. Io credo fortemente che i giovani o il pubblico in genere non sia un recipiente da riempire, una specie di scaffale da sistemare, piuttosto credo e spero che il teatro possa accendere piccole luci e piccoli fuochi, dando poi alle luci ed ai fuochi tutta la libertà di scegliere.
Gli strumenti espressivi che proponete, con questo spettacolo, quanto influiscono sullo spettatore? Influiscono e molto perché sono parti di un linguaggio più ampio. Gli strumenti sono elementi della grammatica e della sintassi teatrale. Ma come avviene in letteratura, sintassi e grammatica sono “modi” di esecuzione del testo, non possono mai sostituirsi al contenuto. Ma i modi o le forme sono decisivi per ottenere il senso.
Possiamo dire che Vincent Van Gogh, viene ricordato spesso per la sua follia, ma da questo spettacolo esce fuori un’enorme genialità ed umanità, può raccontarci l’artista dal suo punto di vista? Era il mio obiettivo. Spesso Vincent è conosciuto per la sua veste psichiatrica e siamo bravi a ridurlo a questo ristretto sistema pensando forse che rappresenti la parte più interessante della sua vita. Personalmente, come detto, ho conosciuto un uomo innamorato, fiducioso, prepotentemente attaccato alla vita ed agli amici, un uomo pieno di vitalità, di sensibilità al vivere. Un uomo la cui umanità è più scintillante dei colori dei suoi dipinti. Quest’uomo volevo raccontare, questo caro amico volevo presentare a tutti. Se la follia di Vincent risiede nella sterminata voglia di vita, allora siamo in tanti ad essere perfettamente matti.
A lei in prima persona, cosa ha lasciato l’interpretazione di questo pittore? Le rispondo così: non mi ha “lasciato” nulla, perché è ancora con me e non si disgiunge da me una volta completata la replica, piuttosto continua, alimentandosi nel mio quotidiano vivere che è irrequieto, inquieto, complesso, sensibile alla luce, che trova nella mia personale dimensione impressionista del vivere slanci espressionisti continui. Ecco, direi quindi che non mi ha lasciato o se vogliamo, non mi lascia solo.
Il 27 e 28 febbraio a Roma, lo spettacolo è andato sold out, il 30, il 31 marzo e il 1° aprile, andrà in replica. Può anticiparci, se avete in programma altre date in altre città? Al momento posso dire che il Tour, iniziato oltre due mesi fa si concluderà a Roma con queste repliche aggiunte a grande richiesta. Ma posso anche dire che Vincent tornerà, per le moltissime richieste arrivate e perché, in fondo, credo, i suoi colori sono ciò che anche noi vogliamo. Vi ringrazio molto per l’attenzione riservataci.
Eleonora Francescucci