ROMA, COLLI PORTUENSI – Antonio Anzilotti De Nitto mette ancora una volta sotto i riflettori “Radici” per la rassegna di teatro sperimentale “SperimentArti”, andato in scena da venerdì 7 fino a domenica 9 febbraio presso il Centro Culturale Artemia con la direzione artistica di Maria Paola Canepa. Un emozionante e coinvolgente monologo che ruota attorno ad un punto di vista estremo rispetto al tema della “diversità”, che è quello del Nazifascismo, sottilmente messo a confronto con i nostri tempi.
Lo spettacolo si articola in tre monologhi da cui riaffiorano frammenti di vita dimenticati: un uomo che trova il coraggio di raccontare la propria omosessualità senza vergogna; un pugile originale, dal talento unico e dalla vitalità di fuoco e, infine, un ragazzo con disturbi psichiatrici che è stanco di stare solo. Un viaggio intimo e storico che esplora il vissuto di tre uomini in tre storie collegate tra loro. Tuttavia, il fil rouge che collega i tre racconti è la “diversità”, e per raccontarla viene utilizzato un punto di vista estremo, tipico del periodo storico di riferimento, che è quello della Seconda Guerra Mondiale, in cui il diverso è stato oggetto di ghettizzazione, deportazione e sterminio. Lo spettacolo diviene quindi messa in scena di una realtà che si ripete, spunto di riflessione e specchio di una società contemporanea che ancora non riesce a far proprio il principio di uguaglianza e di rispetto verso la dignità della vita di ogni singolo essere umano. A tal proposito l’attore, autore e regista Antonio Anzilotti De Nitto commenta: «Non riesco a trovare nessuna risposta, nemmeno dentro di me, rispetto a quanto ancora accade, soprattutto quando sul calendario leggo che siamo nel 2025…rimango incredulo».
L’opera racchiude estratti e testimonianze che a scuola purtroppo non si imparano, come ad esempio storie relative ad altri tipi di “diversità” di cui non si parla molto (i campi di sterminio per gli omosessuali e i test delle prime camere a gas sperimentate su pazienti deportati dagli ospedali psichiatrici, per citarne un paio). Qui affiora anche la grande sensibilità ed empatia di Antonio Anzilotti De Nitto, che nella vita è anche psicologo, il quale dichiara: «ciò che mi colpisce di questi tre personaggi è la potenza vitale all’interno di un contesto mortifero come quello della guerra. Al di là del contesto drammatico c’è molta vita».
“Radici” è emerso nel 2019 dalla mente e dal cuore del suo autore e lo stesso attore spiega come nel tempo, la possibilità di metterlo in scena sia stata la vera palestra affinché l’opera crescesse con lui, e ancora racconta durante l’intervista del podcast “Raccontando di” by Sissi Corrado, montata coinvolgendo anche il pubblico nella mezz’ora dopo lo spettacolo di sabato 8 febbraio: «Ho fatto in modo che l’opera crescesse con me anche per non cadere nella noia, l’improvvisazione è necessaria». Di fatto, la peculiarità registica di questa messa in scena è data dalla capacità di Antonio Anzilotti De Nitto di passare da un personaggio ad un altro con una liquidità ed una naturalezza tipiche solamente di chi studia e chi sceglie di prendere come gioco il lavoro dell’attore. Sappiamo benissimo che la traduzione del verbo “recitare” in inglese è “to play”, proprio perché, con grande serietà – intesa come dedizione – l’attore dovrebbe entrare ogni volta in contatto con il suo bambino interiore affinché possa far emergere tutta la creatività necessaria che possa dar luogo all’improvvisazione, al teatro, che diventa vita pulsante sotto i riflettori. Non a caso, grazie a questa azione catartica, Anzilotti De Nitto racconta come riesca a sentirsi del tutto centrato e in pace con sé stesso a sipario chiuso: «posso addormentarmi serenamente, mi sento davvero centrato» dice mentre fuma la sua sigaretta fuori dal teatro, e aggiunge sorridendo: «ma la vera sfida è centrarsi anche prima dello spettacolo e nella vita di tutti i giorni».