“Non basta il gesto della singola squadra, o della Federazione. Credo serva un intervento anche del legislatore per valutare la rilevanza penale che possono avere gesti e parole come quelle nel video.
Oggi il reato di apologia del fascismo è molto circoscritto e legato a una situazione in cui si debba dimostrare la volontà di ricostruire il partito fascista, sennò è un gesto e rimane lì, specialmente quando si palesa in un gruppo”. Così in un’intervista alla Gazzetta dello Sport Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche che già ieri era intervenuta sull`episodio del falconiere della Lazio beccato a inneggiare al Duce.
Per Di Segni il problema non è solo della Lazio, ma molto più ampio: “Un punto di partenza però c’è. Unaar e la presidenza del Consiglio hanno preparato un piano di lotta all’antisemitismo. Riguarda anche il calcio, ma è fermo sulla scrivania della presidenza del Consiglio. Basta chiacchiere.Abbiamo contattato le squadre, alcune hanno risposto: il Bologna, il Milan e la Fiorentina. A loro e a chi vorrà aderire abbiamo proposto di rivedere i propri codici di condotta, di valori e di prendere misure.
Non tutti hanno risposto, non vuol dire che non condividano questo impegno, ma non si può più aspettare”.
Di Segni però rimprovera la Lazio, quella di Lotito che nel 2017 promise: “ogni anno porteremo 200 tifosi nei campi di sterminio. Non li abbiamo visti: si è pure aggiunto l’alibi del COVID.
Questo potrebbe essere un punto da cui partire: resto convinta che chi incontra i sopravvissuti allo sterminio sviluppi un consapevolezza e una sensibilità diversa. E non li troveremmo in questi video. Nessuno mi ha chiamato dalla Lazio. Se ci fosse un invito a nuove iniziative stavolta vorrei prima vedere qualcosa di molto concreto. Venire con i fiori – come voleva fare la Meloni e mi sono battuta perché non avvenisse – non è il modo per un cambiamento culturale. Non è davanti alle telecamere che si esplicita un impegno”.
Francesca Ruggiero