Il bon ton non è un insieme di regole fisse, piuttosto una serie di consuetudini che conosciamo bene e che siamo pronti ad osservare nel momento più opportuno. Il concetto di buone maniere, infatti, è strettamente legato a quello di flessibilità. Basti pensare all’uso del cellulare. Non andrebbe posato sulla tavola quando si è in compagnia ma, considerata l’utilità anche lavorativa che ha assunto negli ultimi anni, si può optare per una via intermedia, attivando il silenzioso. Buona educazione significa anche saper trovare soluzioni in tutte le situazioni.
Di questo e molto altro, abbiamo parlato nel corso della serata, organizzata martedì 13 aprile, dal Rotaract Club Roma e dalla sua Presidente, Giulia Capezzuoli Ranchi. Relatrice dell’evento online è stata la Professoressa Lucia Custodi, orvietana, autrice di numerosi libri fra cui, non a caso, Bon Ton 3.0, Edizioni Thyrus. “Bon ton” è un termine denso di significato, che possiamo descrivere utilizzando tre verbi: scoprire, stupirsi ed educare. Scoprire le regole della buona educazione; stupirsi perché la buona educazione spesso è inaspettata; educare ovvero guidare e formare qualcuno, in particolar modo adolescenti e giovani, così da aiutarli a sviluppare una propria maturità.
La seconda parte della serata è stata dedicata ad alcuni consigli pratici per affinare le buone maniere. Immaginiamo, ad esempio, di invitare a cena degli amici. Come ha spiegato la Professoressa Custodi, la mise en place è un’arte e la tavola deve essere apparecchiata nel modo più armonico possibile. Ovvero, bisogna sempre ricordarsi che non vi devono essere più di 60 o 70 centimetri di distanza fra un piatto e l’altro e che il centrotavola non deve essere il protagonista, ma piuttosto un oggetto discreto e proporzionato. E ancora, mai più di dodici commensali al tavolo perché questo impedirebbe la possibilità di colloquiare (al limite si può pensare a una cena buffet o ad aggiungere più tavoli); mai le candele, con le uniche eccezioni previste per Natale e una cena romantica. Da ultimo, non dobbiamo dimenticarci di chiedere ai nostri ospiti se hanno intolleranze alimentari e, a proposito di conversazione, cerchiamo sempre di evitare argomenti troppo intimi o particolarmente tristi, scegliendo piuttosto di parlare di libri, film, attualità.
Capitolo a parte merita l’abbigliamento. È il primo biglietto da visita di una persona e ne condiziona, ad un primo livello superficiale, i giudizi che gli altri danno su di lei. Forse è anche per questo che spesso impieghiamo così tanto tempo per scegliere gli abiti da indossare?
Lucia Custodi, nel corso del suo intervento, ha chiarito come l’abbigliamento debba essere adatto all’età e alla circostanza. Non bisogna essere schiavi della moda, ma servirsene per valorizzare il proprio aspetto fisico. Fra le regole base della “vera eleganza” non può mancare la scelta di un abbigliamento sobrio, all’insegna del less is more. Perché, come direbbe Coco Chanel “prima di uscire, guardati allo specchio e levati qualcosa”. Inoltre, “no” all’eccesso di accessori (troppo vistosi o troppo firmati) e alle imitazioni; sì invece alla cura dei dettagli, evitando di indossare capi logorati o macchiati.
Di bon ton si discute da anni, anzi centinaia di anni. Dal trattato Galateo overo de’ costumi scritto, poco dopo il 1550, da Monsignor Giovanni Della Casa sulle regole del buon costume. L’ecclesiastico fiorentino, ritiratosi nell’abbazia di Sant’Eustachio presso Nervesa, nel trevigiano, dedicò quest’opera all’amico Galeazzo Florimonte (latinizzato Galatheus) vescovo prima di Aquino, poi di Sessa Aurunca e noto per i suoi modi cortesi. Fino ai manuali usciti negli anni Settanta e firmati dalla giornalista e scrittrice Lina Sotis. Come mai le buone maniere non passano mai di moda? Perché, spiega la Professoressa Custodi, “il bon ton è come il rock, spacca”.
Gaia Pandolfi