A cura di Vincenzo Capretto
Ho sentito la necessità di scrivere questo articolo perché continuo a vedere, sentire sempre più morti di un male che ancora, nel ventunesimo secolo, viene considerato meno di un raffreddore: la DEPRESSIONE.
La depressione è una malattia
La depressione è una malattia, una malattia, e non mi stancherò mai di dirlo, non è uno stato, non è un capriccio; una malattia alla stregua di qualsiasi altra, se non peggiore, perché non c’è ancora una cura chiara e specifica. Ne sono a contatto sempre di più e vi posso assicurare che è una malattia che si sta allargando a macchia d’olio, e sarà il male del secolo come il cancro…
Il problema siamo noi
Ma il problema non è solo la patologia di per sé, ma siamo NOI, tutti noi che continuiamo a ignorarla e ammettiamo la sua esistenza solo quando colpisce a uno di noi, perché sia chiaro la DEPRESSIONE, come una neoplasia, può colpire chiunque: il ricco, il povero, il bambino, il giovane, l’adulto e l’anziano.
La depressione può essere combattuta?
Si certo può essere combattuta o gestita, ma con l’aiuto di tutti noi e non solo di psicologi e psichiatri, sicuramente determinanti; non solo con la volontà della persona che viene colpita da questo male subdolo, ma da chiunque si trova nella sfera della vita del MALATO, in un modo o in un altro può fare qualcosa. Troppo, troppo spesso ho sentito frasi testuali del tipo: “sta facendo finta”, “non ha nulla”, “se lui è depresso io che devo dire che ho…”, “vabbè quindici giorni di malattia dal lavoro e gli passa tutto”, “ma poi come fa ad avere la depressione se ha tutto”, “sarà perché si è separato”, “sarà perché non tr…”, “state lontano da quello è pazzo”, “quello è strano”. Potrei continuare per un bel po’. E queste sono le frasi che si sentono alle spalle di chi è depresso, ma capite che queste sono anche le frasi che ascolta il potenziale depresso futuro.
Chi è il depresso?
Chiariamo un’altra cosa, senza tecnicismi che lasciamo agli esperti, depresso non è solo colui che ha lo sguardo cupo, basso, che non vuole parlare con nessuno, che è asociale, depresso è anche colui che sorride, colui che svolge una vita normale, colui che apparentemente non ha nulla e forse neanche sa di sapere di esserlo; è pure colui che fa di tutto per nascondere la sua malattia. Purtroppo, la depressione può colpire in forme sempre più diverse e disparate. Può arrivare improvvisamente e magari andare via, ma poi può ritornare.
Come reagisce il depresso
Chiunque venga colpito da questo male, può reagire in maniera differente e, come detto, può perfino non capirlo. C’è una piccola parte che preferisce il silenzio, la solitudine e provare a uscirne da solo o al massimo farsi seguire da uno psicologo. Per sua scelta. Poi ci sono gli altri due casi, statisticamente i più frequenti. Il primo, la stragrande maggioranza, quelli che vorrebbero dirlo al mondo intero, ma hanno paura, perché è la società che gli impone il silenzio, per la considerazioni che tutti hanno di questa malattia invisibile. E magari la sorte vuole proprio che sia uno di quelli che fino a poco tempo prima “sparlava” alle spalle del malcapitato. Quindi conosce benissimo il pensiero degli altri. E veniamo alla terza categoria, ma non meno importante: chi si confida con il collega, l’amico, il parente e giustamente va anche dal suo medico di base, tendenzialmente è costretto suo malgrado ad ascoltare frasi del tipo… “devi reagire”, “tutto dipende da te”, “passerà. Sai quanti problemi ho io”, “se non ce la fai rivolgiti a uno specialista”, “vabbè dai non hai voglia di lavorare”, “caccia gli attributi e reagisci”, “è tutto nella tua testa” (certamente e dove?), “nessuno ti può aiutare se non te stesso” “pensa a chi combatte con un tumore” “ma quando torni a lavoro, su dai” … Anche qui potrei continuare, ma preferisco fermarmi. Frasi che non fanno altro che peggiorare la sua situazione. Hai una ferita, un tumore, un intervento da fare? Tutti solidali. È lì, è evidente. Sei depresso? Non hai nulla. Nulla, non si vede. Ribadisco questo concetto, checché se ne dica al contrario davanti a una morte, è questo il vero pensiero. Il medico di base? Non tutti per fortuna. “Prendi queste gocce e vedi che andrà meglio”. Come dire, Ponzio Pilato.
Cosa possiamo fare?
Dobbiamo far comprendere a tutti, con i media, con conferenze, con articoli, con trasmissioni, anche conversando tra di noi, che la depressione è una malattia, e che non è un problema parlarne, per chi ne soffre. Non è qualcosa di cui vergognarsi. Le persone che si confiderebbero, aumenterebbero a dismisura, ve lo posso assicurare, ma chiaramente non basta questo. Provare a fargli sentire la nostra vicinanza, non con frasi ovvie e banali, lasciarlo sfogare, stare anche in silenzio, che spesso ha pure più effetto e se proprio non si sa cosa dire, anche “un forza, ci sono se hai bisogno di qualcosa” o semplicemente un “come stai” ogni tanto. Se di persona anche un sincero abbraccio, un caffè. “Trascinarlo” a fare qualcosa. Non abbandonatelo neanche se siete certi che vada da uno psicologo, da solo non può fare miracoli, come neanche i farmaci dello psichiatra. Vi assicuro che è tutto vero a chi pensa che loro devono avere la forza di uscirne da soli, devono farsi seguire da qualcuno, ma anche noi possiamo fare tanto, soprattutto quando sappiamo o sospettiamo qualcosa. Dopo è tutto inutile. Quando veniamo a sapere che quella persona non ce l’ha fatta più, che l’unica strada per uscirne, è stata mettere fine alla sua vita, per favore, abbiate il buon senso di tacere e non versare neanche una lacrima o chiedervi come sia stato possibile, perché forse anche se inconsapevolmente, avete con i vostri NON gesti, con le vostre NON parole, fomentato, alimentato quel gesto estremo.