Come è dove hai mosso la prima penna?
*Sono nato a Roma nel 1964 e non ricordo eventi particolari che mi hanno spinto a disegnare…mi viene naturale da quando disegnavo sui banchi di scuola durante le noiose lezioni liceali. Disegnavo con le Bic su di loro ed i segni che oggi riproduco su grandi formati sono più o meno gli stessi che disegnavo in piccolo sui banchi di formica verde; nel pomeriggio la signora delle pulizie puliva tutto ed io trovavo il giorno dopo un nuovo “foglio” su cui disegnare. Le ispirazioni da ragazzino non mancavano: ero un po’ più piccolo degli altri miei compagni e mi sentivo sempre un po’ emarginato dai più “forti” del gruppo. L’adolescenza ed un’educazione familiare un po’ bacchettona e soffocante fecero il resto: mostri e contorcimenti a go-go! Se da adolescente era l’adolescenza e la famiglia ad urtarmi, oggi mi viene naturale interpretare le sofferenze e le aspirazioni spesso negate all’animo umano. Non posso non vedere come dentro di me e intorno a me la sofferenza ed il disagio avvolgano tutti quanti noi, nessuno escluso. Questo aumento del malessere mi è troppo evidente ed è in stridente contrasto con la quantità di oggetti e cose che tutti noi possiamo oggi disporre rispetto solo a 40/50 anni fa. Non so dare spiegazioni né ovviamente cure: me ne faccio solo interprete disegnandolo.- Quindi ti ha portato questo ad esprimere le tue visioni con il tratto della bic…
– E come hai proseguito?
* Ho iniziato a disegnare seriamente (cioè con l’intento di fare mostre e vendere i miei lavori) tra i 19 ed i 25 anni e poi ho iniziato di nuovo – spinto da un mio amico editore – circa 10 anni fa, all’alba dei miei 40 anni. Il mio soggetto preferito erano e rimangono i volti dove riesco – o almeno mi sembra – di poter concentrare tutta l’essenza della mia tecnica, i miei umori, sensazioni e messaggi. È lì l’essenza dei miei lavori e non sento l’esigenza di andare oltre. Capisco che però si rischia di essere monotoni ed ogni tanto intercalo ai volti anche situazioni un po’ più complesse dove corpi e strani esseri antropomorfi si muovono, si sdraiano, si siedono o provano a slanciarsi rimanendo però sempre contorti o piegati in parte su se stessi. Non è facile perché il foglio mi sembra sempre troppo piccolo per questi soggetti, ma devo cimentarmi ogni tanto con queste situazioni.
– Il tuo è uno stile unico, le forme, le curvature, sono evoluzioni… Come sono state scelte?
*Per quanto riguarda la scelta dello stile che mi caratterizza non è stata una scelta meditata ma si è trattato di un processo naturale che, come raccontavo precedentemente, è nato dagli scarabocchi fatti con la Bic sui banchi di scuola. Poi nel tempo mi sono reso conto di essere abbastanza un unicum nel quasi infinito contesto artistico che il web ci propone e l’ho consolidato. Poi mi sono accorto che disegnare con la china ha anche molti aspetti pratici e positivi: è economico, non sporca, non hai bisogno di grandi spazi logistici, non hai bisogno di molto materiale e se devi spedire un tuo pezzo lo puoi mettere dentro un tubo e con 25 Euro lo puoi spedire con DHL fino negli USA, cosa molto più difficile con un’opera ad olio.
Una piccola curiosità che mi diverte raccontare e che in parte spiega molti elementi grafici ricorrenti nei miei disegni: la mia più grande passione (nata da quando ero ragazzino) fu lo skateboard di cui – 40 anni fa – fui quasi un pioniere a Roma insieme ad alcuni miei carissimi amici: Claudio R., Francesco A., Massimo R. e Riccardo G. (in rigoroso ordine alfabetico). Purtroppo, vuoi per le situazioni che le vita ti presenta, vuoi per le infrastrutture assenti a Roma, questo sport l’ho più ammirato che praticato. Ma la passione per questa sport ha (per quanto possa sembrare strano e bizzarro) influenzato fortemente il mio tratto ed il mio stile: chi conosce questo sport sa che le più grandi evoluzioni vengono praticate all’interno di rampe e parchi dove pareti curve, pareti verticali, cunette, dossi e parabole si alternano. Questi elementi grafici sono tutti presenti nei miei soggetti dove – forse inconsciamente – li disegno mimetizzandoli nei miei soggetti; non averli potuti frequentare infatti rappresenta uno dei più grandi dispiaceri della mia vita e probabilmente – in parte – li disegno per averli sempre con me.
-Quanto tempo impiega a comporsi una tua opera?
*La produzione di un mio lavoro prevede due momenti ben distinti: lo studio del pezzo attraverso un bozzetto fatto a matita su un piccolo formato e la sua realizzazione con la penna a china sul formato 50×70 cm. Per il bozzetto i tempi sono variabili: posso passare una settimana a scarabocchiare senza produrre nulla di significativo come posso realizzarne uno in mezz’ora; è questione di concentrazione ed ispirazione, di silenzi e luci, di casualità ed emozioni vissute nel recente. Una volta selezionato il bozzetto di base procedo alla sua stesura e realizzazione con la china (uso quasi sempre una punta da 0,3 mm). Qui i tempi sono più precisi: circa 2,5 ore al giorno per 6 giorni, non si scampa. In questo sono abbastanza preciso nel produrre almeno un pezzo la settimana da 10 anni: lo devo e lo voglio, anche forse per recuperare il tanto tempo perso in passato.
Le mie fonti di ispirazione artistiche sono poche anche perché non voglio ritrovarmi a fare delle copie di altri; inevitabilmente c’è ovviamente un po’ di F. Bacon, un pò di H. R. Giger ed un pizzico del contemporaneo Roberto Ferri. Di Bacon ammiro la perfetta rappresentazione del moderno malessere della condizione umana. È sconcertante e splendido l’uso e il drammatico accostamento di colori assolutamente brillanti e frivoli” con il nero delle improvvise ed improbabili ombre. È lampante la rappresentazione della solitudine umana raffigurata durante momenti del viver comune in ambienti che mai penseresti di utilizzare per un’opera d’arte. I suoi volti lacerati e decomposti comunicano innumerevoli concetti: la nostra caducità, la nostra sofferenza, il mostro che è in tutti noi. Ma sono stati scritti innumerevoli saggi su Bacon, ed è sciocco che io ne parli. Personalmente è l’unico artista che mi dà, ogni volta che lo vedo, uno stimolo a disegnare qualcosa di nuovo. Ma devo limitarmi solo a sbirciarlo per qualche secondo per non rischiare di rimanerne troppo influenzato…sarebbe un guaio! Più in genere non amo l’astratto, il surrealismo o l’iperrealismo fine a se stessi. Mi piace solo qualcosa di questi stili e cerco sommariamente di coniugarli: anche in questo lavoro di sintesi Bacon era – ovviamente – un maestro.
– Perché tutte in bianco e nero?
*L’assenza del colore nelle mie opere è (quasi) una scelta obbligata: se introducessi il colore con la mia tecnica vorrebbe dire rallentare enormemente la produzione ed io sono avido di creare il soggetto “perfetto” che non sono ancora riuscito a produrre. Ho già prodotto soggetti a colori con la china (che purtroppo non ho più e non ho neanche fotografato) ma il tempo per la loro realizzazione decuplica ed io non ho più “tempo da perdere”! Ho – tra le altre cose – anche l’obiettivo di produrre almeno 1.000 pezzi (ad oggi mi sembra di averne prodotti poco più di 400) e dato che non amo fare pezzi che si assomigliano tra loro, capisci che non posso impegnare 1 mese per introdurre “solo” del colore ai miei pezzi (utilizzerei sempre penne a china, non tecniche di gouache o acquerello). In fondo poi i miei pezzi sono immediatamente riconoscibili anche per questa caratteristica cromatica, nonostante non mi sembra di essere l’unico che si cimenti con il bianco e nero! Conoscendomi so che poi tenderei a riempire tutti gli spazi con il colore non aggiungendo poi un gran che all’insieme, a parte l’aspetto decorativo fine a se stesso del colore. In ogni caso non escludo a priori il colore, ma non è ancora il momento.
– Riesci a vivere della tua arte?
*Fortunatamente non vivo con la vendita dei miei lavori, quindi posso permettermi di percorrere la mia strada e la mia ricerca senza scendere a compromessi stilistici o seguire una particolare moda o tendenza (…ma nel caos di oggi chi potrebbe stabilire quale è la “tendenza” attuale?). In ogni caso non conosco e non frequento nel modo più assoluto il mondo dell’arte ed ho l’impressione che non ci siano più mode o correnti precise come nel mondo della moda per l’abbigliamento: ognuno si veste come gli pare e con i colori che gli pare. Per me l’importante è farsi interpreti del tempo che si vive e riuscire a toccare le corde dell’osservatore; ecco, in questo credo e voglio essere molto alla moda, cercando di rappresentare il crudo ed incontrollabile attuale caos sociale ed etico che ci atterrisce e ci fa contorcere dall’ansia e dalla paura a partire dagli Stati Uniti alla Cina.
Mentre disegno la sera mi sintonizzo dalle 21:00 in poi su Focus (canale 56) nella speranza di ascoltare qualche trasmissione sull’universo e sulla fisica (meglio se quantistica): niente di meglio per spaziare un pò e ricordarmi quanto siamo piccoli e di passaggio. La musica no, mi assorbirebbe troppo (essendo rimasto legato a Led Zeppelin ed AC/DC), e non riuscirei a concentrarmi abbastanza sul disegno. Non so perché ma invece le trasmissioni di Focus sono l’ideale per disegnare e nello stesso tempo pensare e riflettere ad elementi che poi in qualche modo ritornano nei miei disegni: notato qualche spirale e orbita qua e là? Per la lettura confesso la mia ignoranza dato che mi sono fermato, in tenera età, alle letture di Edgar Allan Poe ed ai fumetti della Marvel. Poi la vita, il lavoro, la famiglia e tutto il resto degli impegni mi hanno impedito di coltivare questa attività: non ho avuto materialmente il tempo per dedicarmi alla lettura di un buon libro; non si può fare tutto nella vita.
–Esponi in molte gallerie?
*Non ho rapporti commerciali con gallerie o mercanti d’arte; per me è sufficiente essere presente su Deviantart, FB, Instagram, Saatchi…si fanno ottimi incontri anche qui e si hanno ottimi feedback da persone per lo più disinteressate. Certo essere presenti in modo attivo è un lavoro enorme ed io mi rendo conto di fare il minimo sindacale, nonostante tutto credo di passare più tempo sui social che nella vera e propria attività del disegno stesso: si, lo so, questo non è molto artistico.
-Perché la scelta di uno pseudonimo, Red Tweny?*Ahh…perché lo pseudonimo Red Tweny? Allora, “Red” perché volevo un nome cortissimo, perché mi ricordava il nome di Rhett (il simpatico protagonista maschile di Via col Vento, leggi Clark Gable) e perché il colore rosso è grandemente in contrasto con i miei soggetti in bianco e nero. Tweny invece nasce dalla estrema contrazione della traduzione inglese del numero 22 (twenty two), un numero che ricorre spesso nella mia vita, in occasioni fortunate e sfortunate. In questo caso speriamo sia di buon auspicio.
Paolo Miki D’Agostini