Il ponte antico a sella d’asino rimaneggiato dagli etruschi come quello che si ammira a Vulci, ad arco, a strapiombo sulla valle sottostante, già crollato per il terremoto del 1450, nel 1695 ebbe la stessa identica sorte così come nel 1738, nel 1764, ed ancora nel 1794, quando venne poi ricostruito… ma fu fatto saltare nella seconda guerra mondiale dalle mine posizionate alla base dei pilastri dai tedeschi, poi nuovamente ricostruito nel 1964 crollò in seguito a smottamenti improvvisi dell’arenaria; venne di nuovo ricostruito con tecniche nuove, ed ecco oggi, l’ammirevole e sicuro passaggio pedonale di circa 300 m che collega la terra “ferma” al borgo del “miracolo”; perché è proprio un miracolo che sorregge sullo sperone tufaceo l’antico borgo storico di Civita, nella Tuscia, costruito dagli Etruschi più di 2500 anni fa su rovine ciclopiche.
Calanchi di arenaria su cui venne edificato nei secoli il borgo di Civita
Le continue erosioni dei calanchi di arenaria dovute alle piogge, ai venti e agli sbalzi repentini delle temperature, hanno fatto sì che la tecnologia architettonica intervenisse nel consolidamento del tufo, che è la base sulla quale l’antico popolo costruì la meraviglia che ancora oggi ammiriamo.
La sapremmo conservare ancora a lungo?
Civita, la sorprendente, è come un fragilissimo bicchiere di Murano messo in bilico su un tavolo d’argilla frastagliata a lamelle seghettate, che ogni tanto si sbriciola.
Un sogno nel viterbese
Solo quando si è davanti all’arco semigotico d’ingresso al borgo con graffiti templari, la medioevale Porta di Santa Maria, con i due leoni in pietra basaltica, il peperino, che tengono teste umane tra le zampe, e la loggetta triforata con al centro, ben visibili, le due colonne, voltandoci ad osservare il percorso appena fatto per arrivare lì, ci rendiamo conto che in caso di crollo di quest’unico ponte, la nostra vita resterà in attesa dei soccorsi… dal cielo!
Porta Santa Maria
È allora che ci viene la domanda del perché proprio qui si è voluto costruire questo agglomerato abitativo da favola di “c’era una volta”. La ragione è che questa altura tufacea di “avvistamento”, sorgeva vicino ad una delle più antiche vie di comunicazione d’Italia, quella che collegava il lago di Bolsena con il fiume Tevere a sinistra, e gli Etruschi che la abitarono sulla la sponda del Rio Torbido e del Rio Chiaro.
Civita è nell’area di Bagnoregio nella giurisdizione di Viterbo e non va confusa con il paese di Bagnoregio, come troppo spesso accade. Civita, è un gioiello a se; non va confusa con Civita di Bagnoregio!
Ponte di accesso al sogno di Civita
L’antico popolo che abitava il borgo, scendeva “a valle” percorrendo cunicoli sotterranei scavati nel tufo, a gradini, verso le tre vie di uscita dall’antica città alta, che immettevano separatamente nel Bucaione, una grande galleria scavata per collegare il paese direttamente con la valle sottostante dove si poteva raccogliere l’acqua. Le mura che cingono la città sono di origine ciclopica, etrusca, romana, medioevale e rinascimentale. Solo ultimamente si stanno riscoprendo queste vie di fuga, poiché le abitazioni successive alle costruzioni etrusche hanno coperto, ostruito ed inglobato tra le loro mura abitative gli antichi passaggi.
Comunque, sembra che a Civita il tempo si sia fermato agli etruschi nel 265 a.C., per poi sentire gli echi di un impero romano di passaggio con Cesare Ottaviano Augusto, e poi lentamente riaffiorare alla “vita” nell’epoca medioevale, riemergere quindi nel 1300 con il dolce stil novo, per poi combattere, nelle foschie brumose, quei Monaldeschi orvietani, colpevoli di gravi evasioni in campo amministrativo e fiscale, che nel XV secolo avevano danneggiato l’intera comunità che liberatasi dall’infame famiglia instaurò il Libero Comune nel 1160 ca; respirare al fin, la nuova aria delle scoperte del nuovo mondo, approdare al genio architettonico del rinascimento, alle bizzarrie barocche, alle fatue passeggiate del ‘700, ed ecco… il visitatore del grand tour, e gli attuali turisti moderni. I pregi del borgo si sono sempre svelati da soli, lentamente, alle inevitabili curiosità.
Le acque del Rio Chiaro e del Rio Torbido ancora oggi abbracciano il picco di tufo situato a 520 m s/m, e per secoli hanno fornito l’umile comodità dell’elemento liquido agli antichi abitanti del borgo. Solo nel 1604 l’architetto Michele Sammicheli alleviò dalla fatica del salire e scendere i mille gradini etruschi verso il Bucaione gli abitanti del borgo ideando il pozzo centrale, che fu costruito da Ippolito Scalza. Oltre a ciò che rimane della tomba etrusca ritenuta l’eremo del Santo, la casa di San Bonaventura, che custodì il primo convento francescano della zona, distrutto in seguito dal terremoto, è da visitare la Cattedrale di San Nicola, dove è racchiusa nella teca d’argento la reliquia di San Bonaventura, il braccio benedicente, oltre ad una Bibbia in pergamena miniata del XII sec.
San Bonaventura, il cardinale filosofo, è citato da Dante nel canto XII del Paradiso: «Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che ne’ grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura». San Bonaventura è considerato, dal 1274, il secondo fondatore dell’Ordine francescano e uno dei Padri della Chiesa. Poco distante è il mulino del XVI sec., il Palazzetto di Giustizia con le sue prigioni. Per gli amanti dell’esoterismo si ammira il gioiello gotico, suggerito dai Templari, la Chiesa dell’Annunziata, rimaneggiata in epoca romanica, ricca di opere pittoriche, affiancata dal campanile ricostruito nel 1735. La Chiesa di San Donato del V sec, che sorregge il campanile a torre del XII sec., alla cui base sono inglobati due sarcofagi etruschi in pietra basaltina, è costruita su un tempio pagano di epoca imperiale, è in puro stile romanico, ed è conservato il Cristo ligneo del XIV sec. ritenuto miracoloso. Si racconta che durante la peste del 1499, il Crocifisso parlò ad una donna rassicurandola sull’imminente fine della pestilenza. Il Cristo è opera di Donato Niccolò di Betto de’ Bardi, figlio di un cardatore di lana di Firenze, detto il Donatello, oltre all’affresco di Pietro Vannucci detto il Perugino, il massimo esponente della pittura umbra del XV secolo, nato fra il 1448 ed il 1450 a Città della Pieve, sotto il dominio di Perugia. Sotto gli altari laterali della Chiesa di San Domenico sono conservati i corpi di Santa Vittoria e di Sant’Ildebrando. I Colesanti, i Bocca e gli Alemanni hanno lasciato qui nel borgo i loro palazzetti rinascimentali con le scalette esterne, i profferli, che permettono di raggiungere il piano nobile. Nel palazzetto nobile degli Alemanni, famiglia del Cardinale Giovanni Girolamo Albani, Governatore di Bagnoregio, è ospitato il Museo Geologico e delle Frane.
Nel caso si arrivasse al di fuori del flusso turistico, in mesi ed orari non contemplati dalle “visite”, ciò che colpisce è il “silenzio” e l’eco del proprio respiro. È una sensazione surreale dove si respira l’aurea del tempo. Il profumo del pane, sprigionato dall’unico forno a legna, ci guida alla ricerca di Trattorie e Ristorantini che sono ben mimetizzati tra archetti e fiori di gerani e petunie, serti di rose e glicini ma, individuati, è consigliabile assaggiare i piatti tipici del borgo: fettuccine ai fegatini, bruschette al paté di rigagli di pollo, focacce, capretto al forno, polletti alla diavola, spaghetti “leccabaffi”, maccheroni al sugo di capretto, lepre alla cacciatora, pappardelle al cinghiale, vino bianco fresco di grotta della casa, vino rosso civitese a temperatura ambiente. Crostate di visciole, bombolotti alla crema d’albicocca, pesche al vino. Caffè all’antica tradizione, tisane alle erbe e fiori della zona. Abbiamo così varcato la soglia di un mondo insolito, fantastico, quasi irreale. Sarà un caso che il regista giapponese Hayao Miyazaki abbia scelto come location proprio questo magico borgo per il suo film “Laputa, il Castello nel Cielo”, le avventure del gatto NineNineNine, film di animazione, un capolavoro!
Giuseppe Lorin
fonte: art. di Giuseppe Lorin pubblicato su: Periodico Italiano Magazine – pim 30 lugl-agosto 2017 da pag. 48