Diceva Bruno Munari che la creatività collega rigore e fantasia. Così Antonio Pallotta, artista isernino classe 1981, con il suo progetto “Interarting” si apre alla sperimentazione ludica e crea una nuova fruizione dell’arte, che accorcia le distanze tra opera e spettatore. La parola d’ordine è interagire. Chi guarda una sua opera è invitato a rapportarsi in maniera attiva, a intervenire nell’opera stessa e a diventarne co-autore.
Verrebbe da dire “Vietato non toccare” perché le sue opere, immediatamente riconoscibili, tanto giocose quanto funzionali, trovano proprio nell’esperienza tattile il loro più ampio significato e – per dirla ancora con Munari- “conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita”.
Ho incontrato virtualmente Antonio in occasione della mia fortunatissima rassegna “Un artista al giorno” iniziativa online nata in pandemia, che ci ha tenuti “vivi” nei duri mesi della chiusura. Un incontro diventato poi reale, tanto che una delle sue opere interattive è oggi parte della mia collezione. L’ho voluto intervistare per conoscere meglio la sua storia e la sua visione.
La leggerezza del pensiero creativo
Ciao Antonio. L’ironia e il gioco sono un riferimento ricorrente nelle tue opere. Che bambino eri?
Provo a dire delle cose serie in maniera semplice e leggera, altrimenti sai che noia! I miei riferimenti bibliografici non sono proprio di semplice lettura: Nietzsche, Benjamin, Derrida, Deleuze, Heiddeger, Foucalt, Artaud. La mia arte è tutta intrisa di riferimenti a questi autori. Devo per forza dissimulare attraverso il gioco, l’ironia, la provocazione. Ma non è un ripiego, non lo è mai stato. Arrivo alle cose per intuizione e poi provo ad approfondirne i temi, scoprendo delle affinità trasversali. Non parto mai dall’arte come intenzione. È la curiosità in generale che mi spinge ad essere un “poeta”. Ero, appunto, un bambino curioso. Ricordo di quella prima macchinina che mi regalò la mamma e che dissezionai in tante parti “per capire com’era fatta!”
Quali sono stati i tuoi primi interessi artistici?
Mi sono avvicinato all’arte attraverso la scrittura che poi si è trasformata in una specie di appuntamento fisso, perché mi sono ritrovato a scrivere poesie con una certa sistematicità. Parliamo degli anni delle scuole superiori in cui ho cominciato a sentire il bisogno di “dire delle cose”. Nel tempo si sono evolute, sono diventate anche altro. Prima pittura, poi scultura e installazioni, ultimamente architettura disegnata.
Due parole su come sono nate le Interarting
Interarting nasce verso la fine degli studi universitari, tra il 2009 e il 2010. Restai affascinato dalle teorie dei gruppi dell’architettura radical come Archigramm, Archizoom, degli architetti Metabolisti, delle teorie di Munari, e in particolare dei principi che Cedric Price postulò a proposito del Fun Palace, una grande macchina teatrale ad assetto variabile, con la quale lo spettatore poteva “interagire” cambiandone la configurazione in tempo reale. Ecco perché interarting si declina al gerundio, perché mi dà molto l’idea di qualcosa che sta accadendo ora e adesso.
Tra le altre cose dirigi anche una galleria, possiedi opere di altri artisti che stimi?
Da poco ho deciso di iniziare a collezionare, e questo deriva anche dalle donazioni spontanee che gli artisti ogni tanto mi fanno, soprattutto per via del PACI – Premio Auditorium Città d’Isernia. Un evento di cui sono l’ideatore e l’organizzatore dedicato all’arte, all’architettura e alla poesia, che si tiene da dieci anni ormai a Isernia. Nelle mie intenzioni c’è la volontà di continuare a raccogliere per poi donare tutto alla città di Isernia in modo che possa disporre in futuro di una pinacoteca di opere permanenti.
Preferisci la riproduzione in serie o il pezzo unico?
Conta l’idea e di come questa si presti ad essere un pezzo unico o una riproduzione in moduli. Avendo a che fare con una quadricromia di colore, anche se per me rosso-giallo-verde-blu è una unica entità cromatica, solitamente dello stesso pezzo faccio 4 moduli.
Nei tuoi lavori il linguaggio gestuale ha altrettanta importanza, è quello che tu hai definito “il gesto libero”. Hai dichiarato la tua ispirazione alle tavole magnetiche di Grazia Varisco. In che modo la sua poetica ti ha influenzato?
Ho realizzato un’opera che ho chiamato Analogic Desktop che è un omaggio alle tavole magnetiche della Varisco. Non solo lei, ma tutto il gruppo T di cui era una delle fondatrici, è un precedente importante per la mia ricerca. Loro sono stati i primi ad introdurre la variabile tempo nella componente spaziale, rendendo quindi l’arte anticompositiva, antiformale, se si intende con questo dire con una forma prestabilita e compiuta una volta per tutte. Nella maniera analogica e non meccanica, richiedendo quindi l’intervento dello spettatore che diventa autore e intercettando quelle teorie contro la produzione di “fatti storici” di cui ampiamente parlano Carmelo Bene, Antonin Artaud, Deleuze ecc. Quel tipo di interazione analogica che riscopre il gesto libero della danza. Quella che distrugge la rappresentazione dell’immagine e la sua fruizione ad una certa distanza di sicurezza fatta di tabù, dogmi, metafisica, di lettura psicologica. Una danza che recupera il significato originario del corpo proprio riposizionandolo al centro del mondo. Interazione della ripetizione, come di quella insuperabile che si stabilisce in natura fra uomo e donna e il cui risultato è la differenza della vita.
Che ruolo ha la partecipazione nell’arte contemporanea?
L’arte è uno starter eccezionale, propellente esplosivo, serve a scuotere le coscienze, ad aumentare la visione periferica delle cose sulle cose. Dovremmo abituarci a farla e non a subirla. Ecco, per partecipazione io credo che sia fondamentale educarci a nuove esperienze immersive, di condivisione non soltanto di consumo del “prodotto artistico” come merce di scambio. La partecipazione deve favorire l’incontro, l’”apertura dell’opera” per dirla con Umberto Eco, deve diventare un processo, un flusso, in cui tutti devono poter entrare. Ma non basta il biglietto!
Ultima domanda, per me di rito. Che cosa vorresti dire che non ti ho chiesto?
Che il non detto certe volte è di una vertigine sconvolgente!