L’incontro con Erika Capobianco è di quelli che danno senso al mio lavoro. Erika oggi è una donna e un’artista libera – soprattutto libera e scevra di pregiudizi- che si lascia alle spalle un percorso lungo e difficile.
L’ho conosciuta nel 2019 in occasione della mostra “In senso Inverso”, titolo che avevo scelto per sottolineare la sua arte spontanea e svincolata da ogni pretesa, che non si piega al lucro o alle logiche commerciali. Fin da subito ho avuto l’impressione di avere davanti un’anima delicata, filtrata da una sensibilità speciale, non perfettamente a suo agio nel mondo. Riservata e timida – artista a sua insaputa – avrebbe preferito nascondersi, piuttosto che apparire. Malgrado le sue riserve, la mostra che fu anche il suo debutto, andò benissimo. Era piaciuta al grande pubblico la sua arte straripante, quelle figure imprecise, quel vortice di disagio e spaesamento.
Completamente priva di formazione (è un’autodidatta) mi ricordava l’arte dei primitivi, dei bambini, dei folli. Per ragioni curatoriali la classificai come Art Brut, pur definendosi lei stessa estranea a qualsiasi corrente artistica. E come tutti gli artisti “irregolari” anche Erika è un’outsider, una che ignora le tecniche, che non fa disegni preparatori e che non segue modelli ereditati. Pur avendo vissuto vicende drammatiche, ha affrontato la vita come meglio poteva, trovando nella pittura un mezzo catartico di salvezza. Nel tempo anche la poesia è diventata una seconda possibilità di fuga e di cura, un esercizio terapeutico che come la pittura, inconsapevolmente ha trasformato la sua sofferenza in arte. Sono parole in libertà, senza forma o metriche particolari, parole che “mi danzano dentro” come lei stessa racconta in questa preziosa intervista.
CONVERSAZIONE CON ERIKA CAPOBIANCO, L’ARTISTA CHE HA TROVATO SOLLIEVO NELL’ARTE
Raccontami qualcosa della tua infanzia, e della tua famiglia di origine
Famiglia caratterizzata da una marcata instabilità psichica e una certa anaffettività dei genitori. La mia infanzia non poteva essere del tutto felice perché su di me già incombeva il marchio della diversità e dello stigma.
Qual è un ricordo importante che ti porti dietro e che ti fa emozionare?
Il primo giorno che mi trasferii in campagna in un vecchio casolare tra i boschi. Pensavo di essere arrivata in paradiso (compresi in seguito che l’inferno te lo porti dentro).
Conosco la tua storia difficile, di donna e di artista. Se ti dovessi presentare a chi non ti conosce, cosa diresti?
Che sono un essere complesso che ha sempre vissuto a modo suo infrangendo tutto quello che poteva infrangere. Che ho attraversato meravigliosi campi fioriti e orridi oscuri, che mi sono rotolata nel fango e in qualche modo ne sono uscita pulita. Il fato mi ha fatto enormi doni, tra cui l’arte.
Chi è Erika oggi? E cosa ti piace di lei?
Una persona apparentemente tranquilla che però ha dentro sempre una enorme inquietudine. Oggi però mi sento piu libera e per libertà intendo “il superamento della paura”. Se devo trovarmi un pregio direi una certa capacità di empatia
C’è la tua storia nella tua pittura? Quanto del tuo background è rimasto nel tuo lavoro?
La mia pittura attinge continuamente al mio vissuto, lo studia, lo elabora.
Come ti sei formata da autodidatta?
Ho sempre patito la mia “incapacità” di disegnare in maniera verosimile, accademica, ma stranamente anziché desistere ho continuato a credere che la pittura fosse il mio mezzo. Nessuna lezione, o corso, ho sempre seguito l’urgenza e l’istinto.
Da dove nascono le tue opere? Puoi raccontarmi la loro genesi e il loro sviluppo?
Mettermi davanti a una tela bianca è sempre una sfida, oltre che una grande emozione. Inizio quasi sempre scrivendo sulla tela delle parole, dei versi (non necessariamente miei) che poi copro con il colore. Anche se invisibili agli occhi quei pensieri restano lì. Il fondo è sempre molto elaborato con sovrapposizioni di strati di colori e segni. Poi, miracolosamente, nascono le mie figure strampalate. Inserisco collage di materiali che fanno parte del mio quotidiano (bugiardino degli ansiolitici, involucri dei cibi etc) un po’ perché amo riciclare, un po’ per infilarci dentro la vita. A volte i lavori sono eseguiti di getto, altre pensati e rimaneggiati a lungo.
Il tuo giardino ha per te un forte potere rivitalizzante. Quanto ti ispira la natura?
Non dipingo quasi mai soggetti botanici ma dal giardino imparo l’evoluzione delle cose, il germogliare della vita e il suo ineluttabile marcire. E poi i fallimenti del giardiniere somigliano a quelli dell’artista.
Alcuni artisti si esprimono per un’esigenza personale senza alcuna considerazione per il pubblico, ma solo per una propria necessità interiore. Tu crei solo per te stessa o anche per chi guarderà i tuoi lavori?
Per carità..se solo immagino che qualcuno guarderà ciò che sto facendo, mi perdo…
A quali artisti contemporanei ti senti più vicina?
Onestamente non conosco molto l’arte. Sono stata associata all’ Arte Brut, a Basquiat e altri artisti….non saprei.
Figurazione e inconscio: quando nei tuoi lavori finisce uno e inizia l’altro?
Le immagini della mia pittura credo vengano direttamente dall’inconscio, tanto che a volte inizio con un astratto ma poi immancabilmente delle figure mi appaiono, e io le seguo, do loro consistenza. A me serve anche per provare a far ordine nel mio caos interiore. Cerco di dar spazio ad un bambino ferito, ad un essere dall’identità incerta, ad un un emarginato, a un angelo caduto.
Oltre a dipingere ti esprimi anche con la scrittura. Che rapporto hai con le parole?
Mi sembra di non trovare mai quelle giuste. In realtà la scrittura non è il mio strumento, ma a volte le parole mi danzano dentro e allora le scrivo, ma senza pretese.
Due parole su di te
Sono nata vari decenni fa nella periferia romana da una famiglia numerosa, modesta ma particolare.
Posso dire di aver vissuto a modo mio facendo scelte difficili delle quali ho orgogliosamente pagato le conseguenze. Non ho mai saputo disegnare e questo mi ha fatto soffrire, ma non mi ha indotto a desistere
Sapevo che comunque la pittura era il mio mezzo espressivo. Anche in questo campo ho fatto a modo mio infischiandomene delle regole e dei giudizi. Credo di poter dire che la libertà sia la mia cifra.
Nella pittura metto i sogni (che per me sono una vita parallela), il mio vissuto complesso, I numerosi esseri speciali che ho incontrato. Tutto senza filtri: direttamente dal mio mondo interiore.
Il mio rapporto con la creatività è conflittuale come quello tra due innamorati, stiamo vicini, ci allontaniamo, ci amiamo e ci odiamo. Le tecniche che uso sono svariate, acrilici, tempere, pigmenti, collage di quello che mi capita tra le mani e altro ancora. Non ho una preparazione accademica e credo sia meglio così, perché non voglio gabbie o briglie.
La domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto che ti facessi…
Secondo te i miracoli avvengono? Io rispondo di si, perché nella mia vita ne sono avvenuti alcuni e in fondo anche questa intervista è un piccolo miracolo, oltre che un regalo inatteso.