Valter Catoni è un uomo e un artista pieno di sorprese. E’ un importante dirigente d’azienda e un imprenditore illuminato. Nel corso degli anni i suoi interessi professionali hanno spaziato in vari settori tra cui i trasporti, la logistica, la comunicazione, l’informatica, le reti in franchising e la consulenza per aziende.
Lo incontro nel suo studio di Trastevere, luogo che in una seconda fase della sua vita, è diventato il basamento su cui fondare una dimensione artistica più intima, affinata nel tempo da passione e impegno. Oggi infatti, oltre a essere un imprenditore fuori dagli schemi, è anche una figura di spicco del panorama culturale italiano. E’ fotografo, scrittore (ha pubblicato due romanzi di successo con Mondadori), è un artista poliedrico dalla personalità curiosa che lo ha portato a confrontarsi con diverse forme di espressione. Una cifra stilistica molto personale che nella mostra “Dipinti e parole” (presso gli spazi di Micro fino al 18 giugno) unisce la pittura a una raccolta di frasi dense di significato, che permettono allo spettatore di inquadrarlo a tutto tondo in una visione d’insieme.
Dopo il successo della mostra a Parigi presso il Louvre des Antiquaires, l’accento del progetto espositivo romano sottolinea una pittura tra parola e materia, nell’esaltazione del colore puro tra impegno sociale collettivo e la sfera più privata.
Gli ho rivolto qualche domanda per saperne di più.
Mi piacerebbe cominciare questa intervista dai tuoi inizi. Facciamo un salto nel tempo. Che bambino eri? Un bambino difficile, cresciuto in un quartiere difficile. Rissoso e attaccabrighe per pura difesa, non era facile coltivare la passione per l’arte nel mio quartiere in quegli anni. Se mi fermavo a leggere un libro di poesie nel cortile, delle case popolari in cui vivevo, poteva capitare che ti davano del frocio e quando capitava andava a finire a pugni e calci.
Quando è nato Valter Catoni artista? Da bambino, avrò avuto circa dodici anni, associavo alcuni miei pensieri a fogli imbrattati di colore a tempera, ricordo una professoressa di educazione artistica che mi stimolava a continuare. Non l’ho fatto ma lei mi spiegò che quello che facevo aveva un senso…che ancora non ho compreso. La vita mi ha portato altrove ma in quei giorni e in quella scuola, per la prima volta sentii l’adrenalina scorrermi nelle vene quando usavo i colori e le parole. Non un senso di pace ma una strana frenesia.
Nella tua lunga carriera hai sperimentato molti ambiti. Sei stato dirigente, imprenditore, scrittore, fotografo, pittore. Hai diretto anche una galleria d’arte. A quale dei tuoi risultati sei più grato? A tutti per motivi diversi, ogni tanto una attività prendeva il sopravvento sulle altre una specie di commedia recitata da un unico attore con tante maschere.
Quali sono gli artisti che più ammiri? C’è un’opera che consideri un “capolavoro”? Eludo la domanda dicendole qual è l’artista che più mi sta antipatico: Andy Warhol. Lo incontrai in strada nel centro di Roma, era il 1977, lo riconobbi, era impossibile non riconoscerlo. Mi avvicinai volevo solo salutarlo, lo chiamai nemmeno si voltò, lo chiamai ancora non mi degnò di uno sguardo. In compenso venni preso e allontanato in malo modo da un signore con una evidente ipertrofia muscolare. Grande artista Warhol ma forse non era la giornata o il momento giusto. La versione del 1910 dell’Urlo di Edvard Munch per me e per moltissimi altri è un capolavoro talmente conclamato che nemmeno azzardo a dirne i motivi. In certi casi è meglio tacere.
Quanto conta la creatività per chi è alla guida di un business? L’uomo realizza ciò che riesce ad immaginare in ogni campo: dalla scienza al business, figuriamoci nell’ambito artistico. Anche se nell’ambito artistico tutto è più complesso, si è soli, e spesso si ha pudore anche solo a raccontare dove la creatività ci sta portando.
Quanto ha influito il successo nel tuo bagaglio artistico e personale? A parte l’aspetto economico, molto poco. Ho compreso l’importanza di avere un metodo. La prontezza nel fissare un’immagine, un’idea, una frase, un’emozione o addirittura un odore. Se non lo faccio subito corro il rischio di perderli per sempre. L’atto creativo si nutre in maniera inconscia di questa specie di archivio.
Ami anche scrivere. Due parole su Catoni scrittore…Da grande lettore mi sono trovato, per caso, a scrivere romanzi e come per la pittura, in cui amo le superfici graffiate e graffianti, così per i romanzi mi piace scrivere storie intense, a volte crude. Ruvide appunto.
Come è nata l’idea del primo libro? E del secondo? Il primo non lo so… è il frutto del freddo di un dicembre a San Pietroburgo, faceva talmente freddo che il mio medico mi consigliò di non trascorrere molto tempo all’aperto. In albergo una sera accesi il computer e la storia ebbe inizio. Ho impiegato tre mesi a scriverlo, poi ho passato altri sei mesi a correggerlo. Il secondo ha una genesi meno istintiva ed è ispirato ad un furto di dipinti avvenuto in un importante museo di Parigi. Una storia complessa che si snoda tra dipinti falsi e musei, in una Parigi afosa e misteriosa.
Che libro hai sul comodino? I vangeli, un’ edizione che oltre al testo riproduce diverse fotografie dei luoghi In cui i fatti narrati si sono svolti, un surrogato del mio desiderio di visitare la Terra Santa.
Tra le tante passioni c’è anche la fotografia. Cosa fotografi? La mia passione è fotografare i muri dove qualcuno, o il tempo, ha lasciato un segno. Il dettaglio di un graffito, le muffe multicolori di una parete in cui l’umidità ha lavorato per mesi o anni, o una vecchia insegna pronta a scomparire per sempre. Questi sono i miei soggetti preferiti.
In questa mostra “Dipinti e Parole” hai unito arte e poesia. Puoi raccontarmi la genesi di queste opere?E’ il lavoro di diversi anni in cui riporto su tela, tramite diverse tecniche, le parole che a volte mi rimbalzano in testa senza trovare una via d’uscita. Alcune opere sono dettate dalla fantasia, altre rappresentano la mia memoria privata, e altre ancora la memoria collettiva. Esiste comunque un filo conduttore: lo scorrere del tempo.
Qual è il compito dell’artista nella società contemporanea? Difficile questa domanda, posso dare una risposta esclusivamente personale. Io provo a riproporre ciò che ricevo attraverso i sensi, le emozioni, i ricordi e molto altro ad un pubblico sempre più disattento, usando i mezzi che mi sono congeniali. Qualche volta ci riesco.
L’intelligenza artificiale per l’artista contemporaneo rappresenta un pericolo o un’ opportunità?L’intelligenza artificiale così come ce la raccontano, ha soltanto un’ elevata capacità di analisi dello scenario e tramite il calcolo, l’utilizzo di algoritmi e molto altro, è in grado di suggerirci la scelta migliore per raggiungere uno scopo. L’idea di una vera intelligenza artificiale, in cui l’immaginazione si fonda con la capacita di analisi e il sentimento, per un artista potrebbe generare una forte alterazione emotiva che può trasformarsi in creatività. L’idea diventa creatività, l’utilizzo non credo.
A quale progetto stai lavorando al momento? Provare a fissare su tela la contemporaneità con le sue aspirazioni, contraddizioni, ansie, paure e i poco frequenti momenti di gioia e serenità.
L’ultima domanda è di rito. Cosa non ti ho chiesto che vorresti raccontare? Mi sarebbe piaciuto mi avessi chiesto cosa mi rende felice e ti avrei risposto, messo da parte le faccende personali, avere delle ossessioni. Una continua voglia di progettare e realizzare, e una volta finito senza nemmeno compiacermi un attimo per quanto fatto immaginare, un nuovo progetto e poi ancora e ancora…