Parlare dell’Italia, facendo un percorso fra i suoi vini è come intraprendere un viaggio ricco di storia, cultura, vitigni, tantissimi vitigni soprattutto autoctoni. E proprio di questi che si occupa la guida “Vinibuoni d’Italia” del Touring Club Italiano di tutti quei vitigni che sono che sono propri di un certo territorio.
L’Italia vanta almeno quattrocento varietà autoctone, con centinaia di denominazioni, migliaia di produttori e decine di migliaia di vini frutto della paziente ricerca e riscoperta dei vignaioli che amano riprendere la cultura e la tradizione del proprio territorio.
Incontriamo Mario Busso, Curatore Nazionale di “Vinibuoni d’Italia”. Vive a Canale, terra di arneis e nebbiolo, come poteva quindi, non occuparsi di vini? Giornalista specializzato nel settore enologico e del turismo enogastronomico, Mario Busso, da una vita studia e ricerca vitigni, con particolare riguardo alla loro storia e al territorio.
Mario Busso, per la prima volta, dopo vent’anni, è stata scelta Roma come location per presentare la nuova guida “Vinibuoni d’Italia”. Da cosa nasce questa idea di presentare il vostro lavoro proprio nella Capitale? Roma non è stata una decisione dell’ultimo momento, anzi è un pensiero che avevamo da almeno un paio di anni. Durante il lockdown ne abbiamo parlato più approfonditamente e l’abbiamo scelta essenzialmente perché Merano è molto decentrata e questo faceva si che la presenza dei produttori fosse minore. Il tempo ci ha dato ragione infatti, qui a Roma la partecipazione è stata più consistente, proprio perché è una città arrivabile da qualsiasi parte d’Italia. Consideriamo anche, che il Teatro di Merano contiene circa trecentoquaranta posti, mentre noi avevamo la necessità di coprirne almeno seicento, calcoli alla mano avevamo duecento in esubero. In realtà a Merano non venivano mai, perché la ritenevano decentrata, mentre a Roma hanno accettato subito l’invito. Visto questi dati, penso proprio che Roma, diventerà la nostra sede anche dell’anno prossimo e degli anni a venire.
Come già abbiamo detto sono passati vent’anni, ci racconta gli esordi di questo evento e di questa guida che sono poi diventati dei punti di riferimento del mondo vinicolo italiano? La prima edizione di questo evento la facemmo a Bologna in collaborazione con l’azienda di bicchieri Spiegelau, nei loro locali, poi l’anno successivo ci spostammo ad Alba e poi dal terzo anno in poi definitivamente a Merano ed è continuato per diciassette anni. L’evento è il momento in cui avviene la presentazione della guida, ma anche della premiazione di quei vini che hanno superato i 93 centesimi di degustazione. La presentazione della guida è l’occasione giusta per premiare queste aziende.
Questo evento nazionale, dopo tutte le chiusure che si sono state, è stato accettato di buon grado dai produttori? Sicuramente, la categoria che ha patito meno il lockdown è stata proprio quella vinicola, perché in effetti si è continuato a bere. Il vino si poteva comprare online al supermercato, che ormai vende anche i vini più importanti tant’è che c’è stata un’impennata nella vendita. Al di là di un piccolo fermo, all’indomani del lockdown sono partiti in picchiata e sono tutti li con le cantine praticamente vuote.
Durante l’evento di Roma, sono state premiate delle aziende perché sono state certificate “eco friendly”. Come si stanno approcciando le aziende italiane proprio sul settore della sostenibilità? Le aziende vinicole in modo particolare l’agroalimentare sta affrontando molto seriamente questo problema. Mi ricordo che quando istituimmo questo premio l’icona che identifica l’azienda “eco friendly” era presente più o meno su un quinto o forse anche meno di aziende. Oggi più della metà di quelle inserite nella guida hanno la certificazione. Stanno sempre più indirizzandosi verso un’attenta analisi di sostenibilità ambientale molto preciso e molto attento.
La vostra guida in realtà è molto diversa da altre che trattano lo stesso argomento, in quanto proprio come specificato è “l’unica guida dedicata ai vini autoctoni”, può spiegarci questa particolarità? E’ vero l’impostazione della guida è diversa dalle altre perché appunto diamo spazio esclusivamente ai vini che vengono prodotti da vitigni autoctoni e pertanto all’interno non si trovano vini tipo Chardonnay, Merlot o Cabernet, non perché non siano buoni, anzi in Italia se ne producono di ottimi, ma essendo vini internazionali che noi troviamo dal Cile all’Australia, abbiamo deciso di dedicarci alle produzioni che caratterizzano meglio l’Italia ovvero i vini autoctoni. Oggi i produttori operano su circa 400 vitigni autoctoni ed è un patrimonio che se anche mettessimo Grecia, Francia e Spagna insieme, non li avrebbero, ciò significa che è il patrimonio su cui i produttori devono lavorare, perché proprio il mercato, soprattutto quello internazionale sta premiando. Già vent’anni fa, al suo nascere, la guida, ha voluto richiamare l’attenzione sulla necessità di preservare i tratti storici e caratteristici dei vigneti italiani e ritornare a privilegiare vini che fossero interpreti del vitigno e del territorio. Dato che l’Italia, in quel momento stava perdendo la sua matrice tipica per correre dietro alle valutazioni delle guide, abbiamo detto buttiamo là un sassolino e il sassolino oggi è diventato molto più grande.
Il vino italiano come si posiziona rispetto all’Europa? Dal punto di vista quantitativo oggi siamo il primo produttore. Dal punto di vista qualitativo non ci sono paragoni, nel senso che parlare prima la Francia e poi l’Italia non va bene, il valore aggiunto che ha la Francia è che riesce a spuntare prezzi maggiori. Dal punto di vista della qualità e della differenziazione della tipologia dei vini, oggi l’Italia ha un’offerta migliore degli altri stati.
Concludendo, come vede la situazione del vino italiano per il futuro? Assolutamente positivo, soprattutto perché abbiamo dei vitigni che sono introvabili per diversità e unicità. Grazie alla biodiversità, la varietà di climi e la complessità dei terreni, il vino italiano è un patrimonio raro, invidiato da tutto il mondo.
Agostino Fraccascia