ROMA – In occasione dell’iniziativa “Più libri, più liberi” tenutasi dal 5 all’8 dicembre al Palazzo dei Congressi, Armando Palmegiani, scrittore ed esperto della scena del crimine, ha presentato il suo terzo libro “Omicidio a Piazza Bologna” e ci ha svelato i suoi segreti letterari.
Tre libri, quattro casi di cronaca nera, morte e sospetti: il tutto all’ombra del Cupolone. Come nasce l’idea e cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo arrivato?
Devo anzitutto precisare che i libri sono una creazione a quattro mani: le restanti due appartengono a Fabio Sanvitale, giornalista investigativo. Con Fabio siamo molto in sintonia, conosciamo abbastanza bene la cronaca italiana e ogni volta che parliamo nascono tantissime idee: abbiamo già gli argomenti per i prossimi 4-5 libri. Ovviamente prendiamo in considerazione delitti di cui possiamo reperire tutti gli atti ufficiali e di cui è possibile ancora dire qualcosa di nuovo, mai detto prima. Sono due caratteristiche fondamentali nelle nostre scelte, caratteristiche che troverete anche nell’ultimo arrivato.
“Una storia di sicari, mandanti e servizi segreti” è quello che si legge dalla copertina. Servizi segreti: c’è forse la volontà di raccogliere quel sasso che il colonnello De Grossi lanciò nel 1994?
Ma no, nonostante abbiamo conosciuto ed intervistato De Grossi lui, pur non volendo svelare nulla ai nostri lettori, tira fuori una spiegazione dell’omicidio, ma non “la” spiegazione. De Grossi è stato uno dei servizi segreti e da qui una parte del sottotitolo, nulla di più.
Leggendo “Un mostro chiamato Girolimoni” si viene catapultati negli anni Venti ed è presentato il primo serial killer pedofilo nazionale: quanto è difficile la ricostruzione dei fatti e del crimine a distanza di così tanti anni? E di quali mezzi ci si avvale?
È molto difficile trovare gli atti originali delle indagini dell’epoca. Si inizia sempre dalla lettura di tutti i giornali, che consideriamo la base della nostra ricerca storica, sebbene alcune volte riportino grosse imprecisioni. Poi, con un minimo d’esperienza, conoscenza degli archivi e dei tribunali, molto intuito ed un pizzico (più di un pizzico) di fortuna si riesce a trovare il materiale giusto.
In “Morte a Via Veneto” sono analizzati due celebri delitti consumati in quello che era il cuore della Dolce Vita romana. Sia nel Caso Bebawi che nel Caso Wanninger gli elementi di prova da lei riportati, nero su bianco, portano a conclusioni contrastanti con le soluzioni giudiziali dell’epoca. In cosa sbagliavano gli inquirenti di allora? E in cosa sbagliano quelli di oggi?
In particolare, è clamoroso quello che abbiamo trovato per il caso Bebawi: processi, libri, articoli, trasmissioni tv, nessuno si era accorto di un particolare che avrebbe ribaltato il processo in primo grado. Lo sbaglio che fecero allora gli inquirenti è lo stesso che si potrebbe fare oggi. Quando si leggono gli atti di un caso importante, che tradurrei in “molte pagine di atti”, bisogna farlo con attenzione, notando anche le più piccole incongruenze. Esattamente quello che non venne fatto allora: passò in secondo piano che il medico legale rinvenne nel corpo un ulteriore proiettile, che riportò esclusivamente in una riga della relazione. Questo particolare che scoprimmo ci indusse ad analizzare con più cura le immagini del fascicolo di sopralluogo e capimmo tutto. Ecco, questo è quel “poco di più di un pizzico di fortuna” di cui avevo accennato.
Al giorno d’oggi serie tv, film e talk show rendono il pubblico partecipe di omicidi e casi irrisolti; ingrediente essenziale è la figura del criminologo. Per gli scettici: esiste davvero questa qualifica professionale? E quanto di diverso c’è rispetto a quello che vediamo nel piccolo schermo?
Ci sono differenze procedurali e di sostanza. Le prime sono quelle che ci colpiscono di più: gli investigatori televisivi possono analizzare tutte le prove senza ricorrere alle garanzie difensive, loro possono tutto! Le seconde riguardano la sostanza: il criminologo è una figura centrale ed insostituibile nelle indagini televisive, nella realtà italiana, invece, lotta ogni giorno per far capire la propria professionalità. Da questo punto di vista la strada da percorrere è molto lunga.
Ora pretendiamo un aneddoto.
Non posso far altro che raccontare dell’amicizia che mi lega a Sanvitale: così radicata che ci divertiamo incredibilmente. Le nostre conversazioni telefoniche lasciano gli altri attoniti: generalmente ci offendiamo in tutti i modi immaginabili, accusandoci reciprocamente di incompetenza ed altre cose innominabili, ma in realtà abbiamo una stima reciproca unica, personalmente non mi immaginerei a scrivere con un’altra persona.
“Morte a Via Veneto” ha confermato il “non c’è due senza tre”. Progetti letterari futuri?
Siamo già sul pezzo: abbiamo scelto la base e stiamo cercando parte degli atti mancanti. Si tratterà ancora di storie ambientate a Roma. La “Sovera”, nostra casa editrice, crede molto in noi e col tempo si è creato un rapporto splendido. Ormai radicata consuetudine: alla presentazione di ogni libro Claudia Iacometti, la titolare, già si informa sul prossimo argomento da trattare. I nostri lettori si ritroveranno con una piccola enciclopedia del crimine sullo scaffale!
di Maria Teresa De Galitiis