Roma Eur, unicum di architettura monumentale ed edifici moderni. Via Ciro il Grande 10-12, Salone delle Fontane. La struttura bianca, figlia dell’architetto Gaetano Minnucci, a tutta scena, si staglia – in altezza e in lunghezza, ad occupare lo spazio ed il cielo coi marmi, le colonne e le vetrate – nel sole che, ancora per poco, gioca con i mosaici e l’acqua delle vicine fontane, e piano, confonde la vista. Una tela coerente con la ricchezza dei suoi significati. Ma, al momento, non è quello che suscita interesse. L’attenzione è destata da altro, un quadro trascendente funzione di visioni personali e diverse. Colpisce l’andirivieni scomposto e formicolante di gente – nel piazzale antistante, vicino alle piante o alle polle artificiali, sulla dura scalinata di granito, sotto il colonnato.
Moltitudine coinvolta, curiosa, partecipante, richiamata dall’evento ad ingresso libero, fino ad esaurimento posti, organizzato – martedì 24, dalle ore 17.30 in poi – dal Comitato Gli amici dello Scarpone, per portare a conoscenza, del pubblico e della capitale, il libro La scossa dello scarpone (edito da Armando Editore) presentato dal suo stesso autore, Sergio Pirozzi, primo cittadino di Amatrice, uno dei comuni del centro Italia colpiti dalla sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso con le forti scosse del 24 agosto, del 26 e poi del 30 ottobre 2016 e ancora del 18 gennaio di quest’anno.
L’iniziativa ha lo scopo nobile e benefico di aiutare con i proventi dei diritti d’autore, derivanti dalla vendita dei libri, associazioni onlus: OBM ospedale dei Bambini Buzzi di Milano, La strada per l’Arcobaleno presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma, Associazione Arcobaleno del Cuore presso l’Ospedale SS. Annunziata di Taranto – reparto oncoematologia pediatrica.
A moderare l’incontro, segnalato in anteprima dal sito della casa editrice e dai post del profilo facebook dell’autore, è stato il giornalista Giuseppe Malara e la conduttrice Elisa Isoardi. All’invito personale di Sergio Pirozzi, hanno aderito personaggi politici e delle Istituzioni, della Protezione Civile, delle Forze Armate, della Ricerca e del mondo della Cultura, dello Spettacolo e dello Sport, già ospiti, volontari e forze in campo delle zone terremotate. Queste, in breve, le comunicazioni tecniche, a seguire quelle di pancia.
Colpiscono due splendide ovvietà. Ovvietà, perché pronostico azzeccato e splendide, perché raffiguranti valori etici sani, in un’epoca di atrofia degli stessi. Colpisce l’èthos comune, quell’espressione ideale, di altissimo valore, di solidarietà silente. L’Italia che si commuove, che fa proprie le disgrazie altrui, che si riconosce nelle sofferenze, che è pronta a contribuire privandosi di quel poco che ha per dare una mano quando occorre. Colpiscono le parole dette dalla donna sconosciuta di mezza età – una per tutti – con La scossa dello scarpone in mano, mentre si stava allontanando, diretta alla fermata dell’autobus dirimpetto, e che commossa, quasi a giustificarsi, incrociando occhi negli occhi, in una frazione di secondo durata un’eternità, ha sussurrato Perché non ce la faccio a resistere: è troppo emozionante! Con il sentito commento, si stava riferendo alle immagini del video filmato che avevano da poco riempito il Salone Severini (capienza max 600- 800 persone), prima della presentazione del libro per conto dell’autore.
All’ingresso, nel Foyer (capienza max 200-250 persone), dove si potevano acquistare le copie, l’area, oltre lo stand, era occupata da una gigantografia della copertina dell’opera sul fondo, al centro delle due scale che salgono, nel brusio ordinato di altri gruppi misti di persone. Il popolo de La scossa dello scarpone non ha un’età predominante, non c’è un divario di genere. Voci passanti farfugliavano muovendosi in ogni dove. Nun vedo pe’ niente, quanno se ne annamo? M’hai letto ner pensiero; T’o dico io che famo! Mo famme pija er libro, è mejo; J’avete fatta a veni’!; Quanti semo! Avecce na ssedia!: Famme senti’, sta’ a parla’. Una parte del pubblico era mobile, l’altra stanziale. I primi erano in piedi, i secondi seduti. L’effetto era quello di un insieme plastico. Come misurare l’apporto deliberato della gente all’evento? Perché valutare e calcolare quantitativamente i presenti? L’indicatore di gradimento dell’invito gratuito a partecipare, può essere espresso da un valore numerico o piuttosto da un valore relazionale? Nonostante le motivazioni alla presenza, possano essere diverse, ci piace soffermarci sulle motivazioni umane: ma è possibile quantificarle? Il metro da scegliere è sempre di proprietà del sarto. L’oggetto di indagine, gli atteggiamenti e la classificazione spettano allo storico, al ricercatore sociale e al filosofo. Il dato certo dell’affluenza sarà in mano agli organizzatori e alle forze dell’ordine. E qui si può mettere il punto senza obbligo di asserzione alcuna, riprendendo il filo interrotto dalle riflessioni, sperando che questa lettura, questa traduzione non rendi impotente o, al contrario, esalti il messaggio rivolto all’indaffarato lettore.
Eccolo qua, quello che salta agli occhi: è l’accoglienza dedicata all’uomo di montagna, come – e non solo in quest’occasione – si è spesso definito, e definirà anche nel corso dell’incontro, Sergio Pirozzi, per indicare, fiero, il legame a filo doppio alla gente, al territorio e al paese di cui è sindaco, ma non nativo, Amatrice. Rafforza il concetto quando più tardi dirà Il popolo di montagna ha nel proprio DNA lo scarpone, perché è abituato a combattere le avversità del clima e della terra, oppure quando parla di quei luoghi che potrebbero rischiare di diventare sterili borghi da cartolina per colpa di politiche sbagliate e non paesi da tenere in vita, anche se piccoli, rispettandone le dinamiche e le necessità. Sergio Pirozzi, sindaco e mister, al contempo padre e marito, fenomeno antropocentrico: un uomo e la sua storia, capace di tirare a sé la folla, visti i numeri portati all’evento di martedì passato, che non ha appeso gli scarpini al chiodo (racconterà di scarpini a sei tacchetti per rimanere ben piantato al suolo) e che, con dimestichezza ed esperienza, li alterna agli scarponi per non scivolare e non perdere l’equilibrio e rimanere con i piedi per terra, saldo e fermo in piedi come dichiara alla platea. Ed è stato, ed è importante disporre di simili certezze per prendere quelle decisioni di un certo livello e di una certa forza morale quando si è in prima linea, quando si ha a che fare con incontrollabili catastrofi naturali e drastiche conseguenze. La sua conferma, nella sciagura è stata, ha ribadito deciso Pirozzi, Che noi siamo un grande popolo, un popolo straordinario. Un popolo capace di slanci incredibili. Spontaneo è stato ricordare Marco – un ragazzo volontario che ha prestato il suo aiuto nei luoghi del terremoto, ed ha perso la vita facendo ritorno a casa, a Torino. Per il sindaco le vittime di Amatrice, sono non 238 ma 239. Sergio Pirozzi ne ha spiegato quindi il motivo, Marco è una persona che rappresenta l’Italia perché è venuto a fare il volontariato, ed è morto per noi.
Gli applausi non mancano. La comprensione si spreca. La stima è tattile. Di fronte a tali calamità naturali e simili tragedie, tutto passa in secondo piano. Il terremoto insegna che in 20 secondi si spazza una vita: ricordi, amici, tutto quello che si è costruito frutto di lavoro di generazioni, continua il primo cittadino.
Cercare di deragliare la rabbia non paga, spargere le responsabilità altrove non riporta indietro i cari scomparsi, alimentare l’indignazione di chi si sente escluso e defraudato ne svuota le coscienze, essere profondamente addolorati non è lo stato d’animo che apre nuovamente all’esistenza. La realtà ha pesato come un imponente macigno sul senso della vita, sulla quotidianità perduta, al contempo è stata buona leva per scardinare dolore e sussultare d’orgoglio. Quello che poi è accaduto dentro ognuno, appartiene a quanti hanno visto e vissuto e sofferto. E, fortunatamente, più avanti qualcosa si è acceso. E più oltre si è potuto ricominciare. Perché si può ricominciare sempre, anche dal nulla. E’ nel DNA dell’essere umano.
Ma Sergio Pirozzi live, com’è? L’impressione che si ha è quella di essere di fronte concretamente al coach – che sprona la squadra a bordo campo, negli spogliatoi e durante gli allenamenti e il pre gara e post partita col tono di voce modulato in base all’intervento, che sia d’incitamento o di melina – ma anche quella di essere faccia a faccia con un terzino fluidificante, dalla buona visione di gioco e precisione nel passaggio. Di quelli che non mollavano mai dirà il sindaco, dal fondo del salone sotto l’immagine del suo libro, bloccata alla parete. Non me ne vogliano per questa metafora calcistica estemporanea, adottata marginalmente per dare il nome e definire parte dell’essenza di una persona e, spesso, anche qualcosa della realtà stessa che la determina. L’immagine legata al mondo del calcio è del resto ispirata dalle parole dello stesso Pirozzi, il quale ha asserito di essere un mister e ancora Mi ritengo un mister, anche se in aspettativa forzata. Ma era chiaro che dovevo allenare la mia gente. Perché un mister non abbandona la propria squadra quando perde, cioè il mister va via quando ha vinto il campionato. E’ sempre così. Troppo facile scappare quando perdi una partita. E, sai, la storia del mister insegna che dietro la maglia, dietro la felpa c’è una storia di uomini, di donne. C’è il senso di appartenenza. E le felpe sono lì con lui, immobili a destra e sinistra del palco, non parlano, ma suggeriscono. A questo punto, Giuseppe Malara, il giornalista moderatore dell’incontro, professionalmente ha cercato di intervenire con un Mister… che è stato smorzato all’istante da Pirozzi, con uno sguardo buono di dissenso e la mano in segno d’attesa al suo indirizzo, proclamando: Fammi finire perché vado a braccio…, ed ha continuato il periodo, fra l’onda dei sorrisi divertiti che ha esondato la sala tutta, rammentando la sua esperienza di 13 anni a Rieti, da calciatore prima e da allenatore poi, facendo salire in C la squadra di casa, dopo 62 anni, e ritornando alla sua Amatrice appena possibile.
Come si fa con il registro dell’appello, dopo aver citato leader della politica nazionale presenti e motivazione per gli assenti, Pirozzi non ha dimenticato di avere parole di ringraziamento per tutti gli esponenti politici, confidando di aver avuto un buon rapporto con chiunque di loro perché hanno onorato il desiderio, ha scandito bene affinché potesse essere stato udito oltre l’ultima fila, di rispettare il dolore della mia terra. Nessuno di loro si è permesso di speculare sul dolore di una comunità, per cui li ringrazio di cuore. Plauso concorde.
La foto dell’autore è bella e fatta. Così del suo pubblico. Pochi aneddoti per la sintesi, a grossi linee, dell’attività amministrativa e l’estratto biografico di circa dieci minuti, a coronamento del pomeriggio di un paio di giorni fa. Nemmeno una riga per la politica già trattata da media e social. Eccetto una dichiarazione, a conclusione di Sergio Pirozzi, in merito al libro che racconta un’Italia che pochi conoscono, nessuna sinossi dell’opera dedicata alla famiglia. Bisognerà leggere, a buon fine, le centosessanta pagine.
Maria Anna Chimenti
Contributi video interviste Presentazione de La scossa dello Scarpone