Giornalista, scrittore, conduttore televisivo romano, Pierluigi Battista è da anni uno dei protagonisti del panorama culturale italiano. L’Espresso, Epoca, La Stampa, Panorama e Il Corriere della Sera (nelle ultime due testate ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore) sono alcune delle tappe del prestigioso cursus honorum di Battista che ha visto anche parentesi televisive su RAI 1 e LA7. Acuto osservatore della società e della politica italiana ha scritto libri di successo e tra questi “Mio padre era fascista”, in cui riapre le ferite di un rapporto irrisolto con il padre fascista, e gli concede idealmente l’onore delle armi. Incontriamo Pierluigi Battista nella splendida cornice di Palazzo Mattei di Giove, sede del Centro Studi Americani, dove ha appena presentato, in un incontro organizzato dal network di professionisti e imprenditori Talking Business Lab https://www.talkingbusiness.it/ , il suo ultimo libro “A proposito di Marta”, edito da Mondadori: un divertente e al tempo stesso profondo dialogo con la figlia su tanti argomenti legati alla vita di tutti i giorni, dal cibo alla medicina, dal vintage alla cultura. Un libro prezioso che fa sorridere ma anche pensare e rappresenta un viaggio nel mondo per molti aspetti misterioso dei cosiddetti “Millennials”, definizione che identifica tutti i nati a cavallo tra il 1980 e il 2000.
Come è nata l’idea di scrivere “A proposito di Marta”?
Il libro non è nato da un progetto razionale ma dopo aver constatato una differenza sempre più radicale tra me e mia figlia nel modo di vedere le cose: dalla lettura di un libro alla visione di un film, dal gustare un cibo al rapporto con la medicina. Ho voluto insomma provare a raccontare quali differenze abissali ormai dividessero la sua generazione dalla mia. Il mio obiettivo è stato quello di capire come va il mondo di adesso, quale direzione ha preso, quale linguaggio parla, quali immagini lo appassionano in uno strano intreccio tra sfera personale e sfera pubblica. Ho provato a captare i segnali di un mondo differente dal mio. Non peggiore ma differente e lontano e, in un certo senso, forse anche migliore.
Quali sono i temi legati a questo dialogo che l’hanno maggiormente colpita?
Il rapporto con il cibo si è rivelato molto interessante. La mia generazione e ancor di più quella dei miei genitori, erano gastronomicamente italo-centriche. Ignoravamo, nella grande maggioranza, quello che c’era dall’altra parte del mondo e per provare cucine diverse e sapori diversi dovevamo recarci all’estero. Avevamo una diffidenza che mia figlia giudica oggi una cosa da primitivi, ricca di stereotipi verso le tradizioni gastronomiche straniere. Lei e i suoi coetanei però non riescono pienamente a godere della straordinaria varietà di ristoranti e cucine presenti oggi, viste le preoccupazioni salutiste e le tante mode che complicano molto il rapporto con il cibo.
Come si è sviluppato il dialogo tra lei e Marta in relazione al mondo del lavoro e dell’azienda? Quali elementi sono venuti fuori?
Il tema della precarietà è molto presente ed ha riguardato anche la nostra generazione per la quale, ed in questo caso parlo della mia esperienza di giornalista, non era una circostanza rara iniziare a lavorare gratis per imparare un mestiere. A differenza di oggi però il giovane aveva la certezza quasi assoluta di un’assunzione che, se si fosse dimostrato meritevole, prima o poi sarebbe arrivata. La condizione esistenziale di Marta e dei suoi coetanei sembra invece legata ad una precarietà “a vita” e a salari perlopiù molto bassi e la preoccupazione emerge in modo evidente. Sanno bene che stanno pagando contributi per una pensione che forse non avranno mai..
Quali suggerimenti si è sentito di dare a sua figlia in merito al tema del lavoro?
Ammetto di non aver dato suggerimenti precisi se non generiche esortazioni a non mollare e a darsi da fare e purtroppo bisogna dire che non hanno tutti i torti a sentirsi scoraggiati visto che la “jobless society” è una realtà soprattutto in Italia. In questo scenario appare comprensibile la loro reazione che spesso si concretizza in una fuga dall’Italia e in un totale distacco se non addirittura disprezzo nei confronti della politica.
La cultura è un tema importante per l’Italia, primo paese al mondo per numero di siti UNESCO, cosa può dirci del dialogo con Marta su questo argomento?
Bisogna sfatare il mito dei giovani che non leggono più essendo completamente assorbiti dai social network. Un mito alimentato da una generazione che spesso legge a malapena un libro all’anno e da decenni compra giornali in numero molto limitato rispetto alla popolazione. I giovani infatti sicuramente non leggono più i giornali ma sono attenti ai libri e sfruttano le possibilità immense offerte dalla rete per assorbire contenuti e informazioni relative a mostre, musei, musica. Un tesoro che noi certamente non avevamo.
Qual è il legame tra questo libro e il suo “Mio padre era fascista”?
Non c’è un legame particolare tra i due libri ma ho compiuto sicuramente una riflessione sulla figura del genitore. Mio padre, con il quale ho avuto un rapporto anche conflittuale, era più “padre” di me nel senso che i figli allora dovevano imparare ad obbedire e c’erano ruoli ben stabiliti oltre ad una certa sordità verso le loro ragioni. Nei confronti di mia figlia il rapporto si è rovesciato. Sono meno “padre” e forse ho perso qualcosa ma ponendomi nei suoi confronti in modo curioso e con il desiderio di conoscere meglio il suo mondo credo di aver fatto qualcosa che la generazione dei nostri genitori non ha mai fatto.
di Emidio Piccione