È un nuovo, intenso, viaggio introspettivo quello che ci attende con la lettura dell’ultimo romanzo di Giovanna Breccia. Angeli caduti. L’inganno della ragione, edito da Italia Semplice, verrà presentato sabato 7 luglio, alle ore 17,30 presso la Libreria Mondadori in via Piave a Roma.
In questo suo quarto libro, l’autrice torna a scandagliare l’animo umano attraverso quella preziosa lente d’ingrandimento che rivela i meccanismi in grado di influenzare l’esistenza degli individui. Giovanna Breccia vive e lavora a Roma, dove esercita la professione di psicoterapeuta. Laureatasi in Lettere classiche, in Filosofia ed in seguito in psicologia, si è specializzata nelle più importanti correnti della psicoterapia contemporanea. Nel 1991 ha fondato l’Istituto “Andreia” ed ha promosso un nuovo indirizzo nella psicoterapia contemporanea denominato “Psicoterapia analitica integrale”. Dal 1994 è docente presso la scuola di specializzazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale “Istituto Skinner” di Roma. In Angeli caduti. L’inganno della ragione, la prosa elegante e fluida dell’autrice, non priva di improvvise rivelazioni, immerge il lettore nelle vicende di vita dei due protagonisti, guidandolo, attraverso una narrazione incalzante, alla scoperta di quelle dinamiche che conducono verso le “ingannevoli distorsioni” della ragione.
Professoressa Breccia, tra le facoltà di cui l’uomo si avvale c’è la ragione: in che modo essa può essere un “inganno”?
“La domanda che mi pone, se può mai la ragione umana ingannare, tradire la nostra comprensione della realtà, è il tema centrale attorno al quale ho costruito l’intero racconto. Pensiamo che l’uomo, a differenza di tutti gli altri esseri in natura, viventi e non, sia dotato di una facoltà superiore in grado di indirizzare le sue scelte attraverso una conoscenza della realtà non basata unicamente sulle percezioni sensoriali e su quello che comunemente chiamiamo “istinto” che guiderebbe tutti gli altri esseri. E ciò è indubbiamente vero. Abbiamo la possibilità di compiere nessi logici, conosciamo secondo le categorie kantiane del tempo, dello spazio, della causa efficiente e della causa finale. Abbiamo la convinzione di essere in un determinato tempo e in un preciso spazio e la consapevolezza dell’inizio e della fine di tutte le cose. Abbiamo innata la consapevolezza della morte. Questo non significa comunque che nel conoscere, decifrare la realtà, non operino in noi altre funzioni primordiali legate alla sfera emotiva, alle esperienze incise nel nostro cervello arcaico, quello con cui il bambino impara a conoscere e a dare un nome alle cose. Ci troviamo molte volte di fronte al mistero della realtà su due piani contemporaneamente: una lettura degli eventi operata attraverso il neocortex, la razionalità diciamo “adulta” priva delle scorie dell’emotività che ci hanno segnati nella prima epoca della nostra vita, e un altro piano dominato proprio da quelle esperienze lette e interpretate secondo la modalità di cui disponevamo nell’infanzia e nella fanciullezza. Quando poi questi aspetti predominano, il cervello emotivo, il nostro cervello arcaico, “ragiona” a modo proprio e sopravanza di gran lunga il pensiero logico-razionale adulto. Però siamo convinti di ragionare e ragionare bene. Troviamo, attraverso il meccanismo arcaico della razionalizzazione, un’ottima ragione per andare nella direzione nella quale andiamo. Ovviamente qui si innesta il discorso su quanto l’essere umano sia libero di scelta e quanto invece sia condizionato da questo suo modo di interpretare soggettivamente la realtà secondo distorsioni cognitive dovute al condizionamento infantile. Il libro verte essenzialmente sul tema della ragione arcaica ingannatrice, dominata da istinti e convinzioni primordiali incise come un’iscrizione latina sulla pietra, una ragione che tutto giustifica e permette, oggi più che mai, indebolendo, quasi annullando, il libero volere dal momento che l’istinto infantile al predominio, alla sopraffazione, sottomette “la ragione al talento”, secondo la splendida definizione dantesca. Il racconto è pertanto di grande attualità e sebbene i personaggi siano individui non comuni, le relazioni umane sono per lo più oggi impregnate da sentimenti primitivi di rivalsa, sopraffazione, sadismo, masochismo, sottomissione, infine immensa sofferenza perché nessuno vince e raggiunge quella tranquillità dell’anima che è in tutti gli altri viventi”.
Anche nei libri scritti da lei precedentemente, molte volte la natura sembra avere un vantaggio rispetto all’essere umano. Un concetto che, in qualche modo, troveremo anche nel suo nuovo romanzo?
“Rispondo a questa domanda molto volentieri. Già in quanto ho affermato è implicita la distanza tra la natura e l’uomo. La natura segue le sue leggi e basta. Non ha la condanna umana della libertà di scelta e la consapevolezza di un inizio e di una fine. È esente dal gioco di potere. I riferimenti alla natura sono sempre presenti nei miei libri proprio perché essa è dotata di una sua particolare linearità e, oserei dire, bontà. Anche qui, soprattutto la protagonista femminile è ancorata al ricordo della terra della sua infanzia, e si ristora nel ricordo della libertà a contatto con le cose semplici della natura. In ogni mio libro l’essere umano, sicuramente dotato di un’intelligenza superiore rispetto all’andamento meccanico dei fenomeni naturali, tuttavia trova nel rapporto con la natura quella spontaneità e serenità di cui è carente proprio a causa della distorsione cognitiva di cui è vittima e del pessimo uso della libertà che ne consegue”.
Dalla sua scrittura emergono solitamente rinvii letterari e filosofici che non possono non ricondurci alla sua formazione anche classica. Può indicarci, nel caso ci siano, le letture che in qualche modo sono state più importanti per questa sua ultima opera?
“Certamente gli studi dei classici, gli infiniti libri che ho letto e ho amato, hanno formato la mia personalità e per me non è possibile non riferirmi costantemente a quanto è entrato dentro di me come linfa vitale. Sicuramente questo libro, scritto proprio mentre rileggevo per l’ennesima volta I Fratelli Karamazov, ha risentito di quest’opera in cui le domande sulla libertà umana, sull’esercizio del libero arbitrio concesso da Dio all’uomo, sono centrali, come del resto è centrale il contrasto fra la turbolenta irragionevolezza istintiva del personaggio di Dmitrij e la fredda razionalità di Ivan. Ma altri ricordi, altre più lontane letture mi hanno sicuramente influenzata. Di certo i miei approfondimenti filosofici giovanili sul rapporto fra libertà e predestinazione, il De fato ciceroniano, Aristotele e i dibattiti dei postaristotelici in merito, mi hanno decisamente condizionato”.
I due protagonisti di Angeli caduti mettono in atto dei comportamenti che riconducono al rapporto che potremmo definire tra persecutore e vittima: un gioco di potere che non prevede un vincitore…
“Quest’ultima domanda richiederebbe una lunga spiegazione. I terapeuti, le persone che hanno compiuto un percorso di analisi possono comprendere più facilmente cosa si intenda per “rapporto simbiotico” e cosa sia il “gioco psicologico” nel quale, una volta che l’essere umano si trova chiuso nel triangolo fra i tre grandi ruoli nevrotici dell’esistenza, rappresentati, come descrisse benissimo Karpman, dal salvatore, dal persecutore e dalla vittima, non riesce più ad uscirne. Si assiste ad una continua alternanza di ruoli che costituisce proprio il “guadagno”, per così dire, ovviamente momentaneo e illusorio, del gioco di potere. In realtà colui che perseguita, colui che salva, colui che è vittima non sono che poli di un medesimo asse ove l’alternarsi delle posizioni è costante e simultaneo. Tali giochi nevrotici di potere, ampiamente giustificati dalle distorsioni cognitive dovute al condizionamento infantile, nascondono una mancanza totale di insight, sono Gestalt ripetitive e improduttive ove dietro l’apparenza di esseri umani adulti si celano bambini ansiosi, desiderosi di riscatto da complessi primordiali di inferiorità, abbandono, insignificanza del proprio esistere. Ecco dunque il senso di incompiutezza del gioco di potere, l’interdipendenza simbiotica dei suoi protagonisti, il sentimento finale della caduta. Siamo stati creati per essere intelligenti, pieni di luce, portatori di luce, e invece, quando siamo accecati dal nostro bisogno di riscatto, di potere, precipitiamo nel nulla. Allora siamo Angeli Caduti”.