“La Verità dei Temp” di Francesco Boer si apre con una provocazione, riprendendo una teoria più volte discussa e ufficialmente improponibile. Il libro però mostra da subito un approccio completamente diverso.
«Quando affermo che l’undici settembre è opera degli americani non sostengo che gli U.S.A. siano i mandanti o gli esecutori del disastro, ma intendo piuttosto che loro sono i narratori della storia, la voce che racconta quella fiaba così potente da incantare l’intero mondo. L’undici settembre non è semplicemente un avvenimento catastrofico, ma è anche e soprattutto l’eco, il cambiamento epocale con cui il popolo ha risposto all’attentato. È una risposta corale, in cui il canto ufficiale e il controcanto popolare si fondono in movimento complesso, eppure coerente.»
L’evento in sé, per quanto catastrofico e orrendo, è solo la punta dell’iceberg. L’attentato è infatti l’innesco di una narrazione collettiva: un dramma che coinvolge un’intera nazione, e indirettamente tutto il mondo.
Il tema conduttore del libro è proprio il rapporto fra realtà e immaginazione, fra il mondo e il modo con cui lo comprendiamo e lo raccontiamo. Un rapporto che non è semplice derivazione lineare: le storie nascono come descrizione della realtà, ma è anche vero che questi racconti hanno un’importante conseguenza, a volte fin troppo concreta. L’undici settembre ne è l’esempio lampante: la narrazione sorta in reazione alla tragedia ha avuto una lunga serie di ripercussioni, sia nella politica internazionale che nella vita quotidiana.
Eventi reali che creano storie, narrazioni che causano nuove svolte, che a loro volta creano nuovi eventi, e così via. Un ciclo che si autoalimenta, portando a derive inaspettate.
Il libro prosegue indagando con questa chiave di lettura diversi argomenti: le scie chimiche, il finto allunaggio ricostruito nei set di Hollywood, gli Illuminati e le tecniche di controllo mentale, e molti altri ancora. Già molto si è scritto per sostenere o demolire queste tesi. Considerarle come narrazioni collettive permette di andare oltre questa dicotomia, cercando il significato che la storia vuole esprimere. Non ciò che si dice, dunque, ma quello che si vuole dire.
Anche le storie meno credibili nascono infatti da un bisogno profondo, che la popolazione avverte pur non riuscendo a tratteggiarne i contorni precisi. Come nell’analisi freudiana, bisogna cercare di andare oltre il contenuto manifesto per giungere al contenuto latente.
Si giunge così a una scoperta inattesa. L’impalcatura che sorregge le narrazioni contemporanea è formata dagli stessi archetipi su cui sono stati intessuti i miti e le leggende del nostro patrimonio culturale.
La psicologia collettiva è retta da immagini arcaiche. Gli aspetti più simbolici degli eventi attirano maggior attenzione e vengono raccontati con maggior trasporto. I simboli archetipici dispongono la narrazione con una forza magnetica di cui spesso non ci si accorge, ma che proprio per questo si infiltra ovunque.
Se l’immagine delle torri che cadono ci colpisce così tanto è perchè corrispondono a un simbolo profondamente radicato nella nostra cultura: dalla torre di Babele all’arcano della Torre nei tarocchi, la catastrofe che distrugge le ambizioni e le sicurezze umane.
Similmente, le scie chimiche sono segni nefasti che compaiono nel cielo. Il cielo naturalmente non è solamente uno spazio atmosferico, ma è anche un potente simbolo che rappresenta la mente umana.
«Il cielo è come uno specchio, che ci mostra ciò che succede in terra. È un rapporto antico: se il corpo corrisponde alla terra, il cielo è legato all’anima. È un legame simbolico, impalpabile ma non per questo meno attivo. Pensaci: quando c’è una bella giornata di sole, anche al tuo interno splende una luce che rende tutto più gioioso. Viceversa, quando il cielo si fa grigio è come se anche nella psiche si raccogliessero le nubi d’un temporale, fatte di tristezza, preoccupazioni e oscuri presentimenti. Non è un caso che si usi la parola “sereno” sia per una giornata assolata che per uno stato d’animo allegro e spensierato.»
Colpisce così la somiglianza delle scie chimiche con gli aùguri dell’antica Roma, che traevano gli auspici interpretando il volo degli uccelli. Anche oggi, in fin dei conti, si osservano i segni lasciati da quei grandi uccelli d’acciaio, e il pronostico che ne deriva è a dir poco minaccioso.
“La Verità dei Tempi” non è un saggio scritto in forma canonica. I capitoli del libro infatti si sviluppano nel dialogo tra due amici. E’ un mezzo per ribadire il rapporto fra realtà e immaginazione, che è appunto un dialogo, un’interazione che arricchisce e modifica due metà che non sono affatto isolate. Ma è anche un modo con cui l’autore vuole spronare il lettore a entrare attivamente nella discussione. Non è una soluzione già pronta, ma un invito a scoprire da sé nuove prospettive, uscendo dalla visione superficiale a cui siamo abituati, per scoprire le strutture profonde che governano la nostra percezione della realtà. E, chissà, forse anche un invito a superare le divisioni e le distanze, per riscoprire l’incontro e il confronto personale.