“Siamo in guerra, Vincenzo, una guerra di tutti contro tutti. Io comunque non dico che in battaglia occorra solamente il cannone, c’è un tempo per le armi e un tempo per la diplomazia. Mi auguro che quando verrà il tuo, di tempo, se lo vorrai, ci sia spazio anche per altri strumenti più pacifici di quelli odierni.”
È proprio una guerra quella raccontata da Roberto Robert ne Il Fetore dei Soldi, edito da Silele Edizioni. Una guerra di potere e supremazia tra i dirigenti del Banco Popolare Brembano, in una torbida vicenda che vede protagonisti numerosi personaggi. La famiglia Egli, innanzitutto, fondatrice e proprietaria della banca, che affida le sue sorti nelle mani dell’audace rampolla Diana pur di evitare il fallimento. Dragomira, giovane truffatrice dell’Est Europa che suo malgrado si troverà coinvolta una faccenda spinosa legata agli intrighi del Banco. Molti altri, tra dirigenti, onesti impiegati, criminali e umili lavoratori, si faranno avanti per i propri tornaconti. Un sapiente intreccio di vite ed eventi, mescolati insieme in un vortice di azioni, complotti, crimini e alleanze al cui centro troviamo l’unico elemento che li accomuna: il denaro. Il denaro che, pur non donando la felicità come crediamo oggigiorno, dona innegabilmente molte soddisfazioni; il denaro che corrompe l’animo e spinge a fare gesti estremi inseguendo il sogno di fare “la bella vita”; il denaro che spinge a complottare, a organizzare, a mettere l’uno contro l’altro… e vince chi ne ottiene di più.
L’autore ci dona una lettura complessa e impegnativa, a causa degli aspetti finanziari ed economici di cui è infarcita, ma che analizza assai duramente – e realisticamente – una realtà quotidiana che opprime il nostro Paese, e probabilmente l’umanità intera. Il fetore dei soldi ci mette senza dubbio in guardia contro il demone dell’avidità, che spinge ogni uomo a dure lotte per il potere.
Come nasce quest’opera letteraria?
L’evidente gioco di parole contenuto nel titolo del libro, che richiama un noto motto latino, un famoso film tratto da un romanzo americano e un recente saggio pubblicato in Italia, credo faccia comprendere perché sia stato scritto. Oggetto della narrazione è la continua, spasmodica, feroce ricerca, da parte di molti tra i personaggi, della maggior quantità di denaro possibile, da ottenere con ogni mezzo. Di fatto, i soldi divengono il motore del racconto, il fine ultimo attorno al quale ruotano speranze e ossessioni.
L’ambientazione in una banca a questo punto appare scontata, sebbene molte delle vicende narrate non si svolgano solo all’interno dei tradizionali sportelli frequentati dalla clientela, bensì anche in luoghi a volte inaspettati.
Scritto seguendo la classica struttura che vede un protagonista e un antagonista – in questo caso, entrambi giovani donne appartenenti a ceti sociali profondamente diversi – e il conflitto che ne scaturisce, la trama si sviluppa mostrando dapprima la furibonda lotta che avviene per il controllo della Banca popolare (ovviamente immaginaria) guidata da Diana Egli, ultima erede della dinastia svizzera proprietaria dell’istituto da oltre un secolo, e successivamente l’irrompere sulla scena di Dragomira Munteanu, misteriosa donna proveniente dall’Est Europa in fuga dai fantasmi del proprio passato. Diana e Dragomira nelle pagine finali si scontreranno così in un singolare duello, tutto giocato in chiave femminile, durante il quale ciascuna metterà in gioco ciò che ha di più prezioso: la banca di famiglia la prima, la sua stessa vita l’altra.
Il libro attinge a piene mani alla cronaca degli ultimi anni, dove la crisi economica ha dato il colpo di grazia a istituti bancari già in difficoltà da spregiudicate gestioni finanziarie. Sarà agevole per il lettore riconoscere all’interno delle pagine precisi riferimenti all’attualità italiana: manager che usano la banca come propria cassa personale, politici maneggioni, un apparente suicidio; ma anche l’affollarsi inferocito dei clienti che protestano davanti alle filiali, e le dolorose vicende di persone schiacciate dai debiti. Un rimescolarsi di molte vicende, quindi, accomunate dal persistente odore del denaro che, contrariamente al detto popolare, giunge addirittura a trasformarsi in fetore.
Quale messaggio vuoi trasmettere a tutti coloro che si ritroveranno tra le mani questo libro?
Di banche e banchieri, in Italia, negli ultimi anni si è parlato molto di frequente, anche se spesso in maniera non del tutto corretta; d’altronde, il fatto che la maggioranza degli italiani possegga competenze economiche assai scarse è noto da tempo.
Quest’opera appartiene al genere del romanzo noir; ciò non toglie che, come in miei precedenti libri, contenga alcune venature storiche e saggistiche, soprattutto nella prima parte, che possono aiutare a comprendere cosa sia davvero accaduto in molti istituti bancari finiti in crisi. Per accompagnare il lettore in questo percorso mi sono avvalso del prezioso contributo di un amico docente universitario, Mario Comana, che nella prefazione ha esposto in modo assai accessibile i motivi che hanno condotto molte banche a un passo dal fallimento.
Naturalmente, dato che la storia è ambientata a Bergamo, terra dove da sempre le banche giocano un ruolo fondamentale, ho dovuto muovermi con grande accortezza: nomi, luoghi ed eventi sono stati scelti con cura, cercando di evitare il più possibile riferimenti troppo precisi a fatti realmente accaduti. Anche in Bergamasca, sebbene le circostanze non abbiano avuta troppa eco a livello nazionale, si sono infatti verificati alcuni casi finiti sotto l’occhio della magistratura, con il conseguente avvio di procedimenti penali ancora in corso.
Per quanto riguarda il messaggio finale, sarebbe davvero semplicistico ridurlo al comune pensiero che ‘il crimine non paga’, in quanto la chiusura del romanzo, nel momento in cui definisce colpe e responsabilità di alcuni, ne lascia impuniti altri che, passata la bufera, si mostrano pronti a ricominciare le loro immorali attività.
Progetti futuri?
Dopo le feste natalizie inizierò il mio quinto noir, che avrà per oggetto un tema attuale e assai drammatico: la violenza di genere che spesso, come ci riportano quotidianamente le cronache, ogni anno sfocia purtroppo in centinaia di aggressioni, ferimenti e femminicidi. Credo sarà una sfida assai impegnativa, soprattutto perché da maschio dovrò riuscire a spogliarmi di tutti i miei pregiudizi senza però scivolare né nella lacrima facile, né tantomeno nella asettica neutralità.
Poi vorrei dedicarmi anche a un altro progetto più lontano nel tempo: scrivere gialli – o per meglio dire, polizieschi puri – senza però abbandonare i miei amati noir, il genere narrativo per il quale mi sento maggiormente portato.
Mi piacerebbe creare un personaggio investigativo legato a Bergamo e inserirlo in una serie che si prolunghi negli anni… forse non diverrò il Camilleri, il De Giovanni o il Carofiglio orobico, ma per me sarebbe davvero un grande traguardo.