In questo libro Sergio Spaccavento – creativo pubblicitario, autore televisivo, radiofonico, cinematografico – dialoga “tra il serio e il faceto” con i suoi ospiti e domanda loro: si può ridere di tutto?
A rispondere saranno Maccio Capatonda, Renzo Arbore, Elio, Moni Ovadia, Pif, Greg, Nino Frassica, Claudio Bisio, Michela Giraud, Lercio, Nicola Vicidomini, Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Piero Chiambretti, Leo Ortolani, Saverio Raimondo, Vauro, Immanuel Casto, Mauro Casciari, Mike The Meme, Leonardo Coen fondatore di Repubblica, il magistrato Valerio de Gioia e molti altri ancora.
Dopo Maccio Capatonda – con cui l’autore ha lavorato in molti fortunati progetti e che cura con la sua nota originalità la prefazione – il primo ospite dei dialoghi sulla libertà di ridere è Renzo Arbore maestro nell’arte del paradosso e della goliardia, che si spinge a molte riflessioni e ricordi.
Come quelli legati al film il “Pap’occhio” – di cui scrisse la sceneggiatura con Luciano De Crescenzo nel lontano 1980 – e della censura che lo colpì, con il ritiro dalle sale cinematografiche e il sequestro per “vilipendio alla religione cattolica e alla persona del S.S. il Papa”; di Indietro tutta e della satira dei quiz, della parodia della mercificazione del corpo femminile con le ragazze coccodè, dell’abuso dei brand come sponsor con Cacao Meravigliao e dei fortunati anni di radio con Gianni Boncompagni.
Poi il libro prosegue con i racconti di Elio, di quando nel 1990 il singolo “Born to be Abramo” di Elio e le storie tese venne ritirato dal commercio, e di quando nel 1991, sul palco del 1 Maggio all’insaputa degli organizzatori, portarono la canzone “Sabbiature” – nella quale attaccavano Andreotti – causando non pochi scossoni politici in Rai.
Ma c’è anche la testimonianza di Moni Ovadia – perla di rara bellezza – che l’autore porta a riflessioni inconsuete sull’iconografia cristiana e le immagini senza sorrisi dei nostri santi; che ci parla, tra le altre cose, del suo umorismo yiddish, del fatto che la satira non dovrebbe veicolare la diffusione di pregiudizi e stereotipi razziali “in quel caso ci sono i tribunali”.
L’immenso Nino Frassica, che tra le altre cose, precisa di non fare satira ma solo comicità surreale, perché quello che lui vuole è “provocare una risata fine a se stessa, che ha a che fare più con la poesia che con la cronaca, qualcosa che non sia databile e che possa essere fonte di riso anche fra vent’anni”.
C’è anche Greg, del duo capitolino Lillo e Greg, che con le sue riflessioni passa con disinvoltura dalla romanità scanzonata dei suoi sketch (”C’hai il naso così lungo che quando dici di no a tavola sparecchi!” battuta da non fare a un interlocutore con quel difetto fisico!!), a temi più complessi e trasversali come il ruolo della satira nella politica, soffermandosi, ad esempio, sulla mutazione umoristica di Putin nei diversi mandati, che ha iniziato con barzellette un po’ volgari trasformate poi in storielle sarcastiche, diventate oggi quasi parabole. Tecnica usata anche da Berlusconi il quale, ai tempi, fu anche censurato al Parlamento europeo. Ma del resto, Greg ci ricorda che i potenti usano spesso la satira proprio a loro vantaggio: “nel Ventennio lo stesso Mussolini faceva in modo che girassero delle barzellette su di lui per lambire le fesserie un po’ evidenti”.
Poi è la volta di Pif, con cui si parte dalla censura che si abbatté sul film Il grande Dittatore di Chaplin – parodia satirica del nazismo che attaccava direttamente Hitler e del Discorso all’umanità che risulta tristemente contemporaneo – per poi raccogliere la sua speranza sul film La mafia uccide solo d’estate: “che l’idea di prendere in giro Totò Riina, i mafiosi e i politici collusi facendo nomi e cognomi precisi, abbia smosso la coscienza di qualcuno”.
Ma quindi si può ridere anche della mafia? “Si può ridere della mafia. La cosa fondamentale è che la satira non offenda la tragedia”.
L’autore, infine, attraversando le diverse forme della comicità contemporanea non dimentica l’umorismo “di confine“ come quello delle vignette di Charlie Hebdo e dei fenomeni sorti sui social network, quali la community Spinoza e Mike The Meme della pagina facebook “Pastorizia Never Dies” che sembra aver sdoganato il black humor “a colpi di meme e commenti a volte non proprio memorabili”.
Alla fine di questo viaggio tentando di tirare le fila del discorso, l’autore si domanda: che cos’è la satira?
Offre il suo punto di vista anche il giudice Valerio de Gioia che richiama alcune sentenze che la definiscono – ammesso che essa, data la sua stessa natura, possa essere racchiusa in categorie codificate – un genere letterario, una forma libera del teatro, attraverso la quale si critica la vita sociale, la politica, la religione, la morale comune, utilizzando il paradosso e così seminando dubbi, smascherando ipocrisie, attaccando i pregiudizi e mettendo in discussione le convinzioni consolidate.
La satira denuncia impunemente in modo corrosivo, destruttura le convinzioni, mette in discussione con modalità amare e scanzonate il potere; è un’arma sociale che rivendica a sé un’estrema serietà di intenti e un ruolo essenziale per la formazione della collettività, anche grazie allo stile non aulico che la caratterizza: ponendosi come coscienza alternativa del mondo, alimenta un pensiero divergente e non si adagia sulle mode correnti.
La stessa Corte di Cassazione l’ha intesa come manifestazione di pensiero, talora di altissimo livello, che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.
Alle stesse conclusioni sembra essere arrivato anche Sergio Spaccavento che – dopo aver traghettato il lettore in un viaggio davvero stupefacente, la cui bellezza risiede nell’averci consentito l’accesso a personaggi chiave della comicità contemporanea (così diversi tra loro ma in fondo tutti uguali di fronte alla censura e ai problemi etici che la risata impone) – alla fine si chiede: “Allora io posso ridere di tutto? Sì, ma in un perimetro ben circoscritto, con l’attenzione al contesto e alla sensibilità altrui, provvisto di una “coscienza comica” e di buona educazione e di coraggio, solo e quando quell’umorismo, anche truce, possa fare del bene nel mondo”.