Covid19, lockdown, mascherine, distanziamento sociale e la scomparsa di due categorie di professionisti: avvocati e giornalisti! Questa immagine così catastrofica è successa davvero? Una buona parte si, l’altra forse. Questa storia, che ha dell’incredibile oltre ad essere una realtà tristemente vissuta è raccontata magistralmente dall’Avvocato Marina Flocco nel suo romanzo d’esordio: “La fuorilegge”.
Il romanzo è ambientato in un futuro distopico in cui gli avvocati sono stati aboliti e le persone sono prive dei loro diritti fondamentali. La protagonista, una giovane donna, è costretta a diventare una “fuorilegge” per difendere se stessa e la sua famiglia.
“La fuorilegge” è un romanzo che fa riflettere sul valore dei diritti umani e sulla fragilità della democrazia e mette in luce l’importanza di avere un sistema giudiziario indipendente e di poter contare su avvocati che possano difendere i nostri diritti. Il libro vuole essere anche una riflessione sulla natura della democrazia. Il regime che viene descritto è una democrazia malata, in cui i diritti umani sono violati e la libertà di espressione è limitata.
Il romanzo è un thriller politico avvincente, con una trama ricca di colpi di scena, scritto in modo scorrevole e coinvolgente, che tiene il lettore incollato ad ogni pagina. L’autrice, è riuscita con parole semplici e con una trama mozzafiato a trattare argomenti talvolta “scomodi” per alcuni, ma nel contempo altamente veritieri. Proprio questi punti hanno decretato il successo di questa opera, tanto da meritarsi il “Premio Internazionale Letteratura Menotti Art Festival Spoleto” e il “Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica”.
Dopo due anni dall’uscita del libro, incontriamo l’autrice, perché oggi come non mai, nonostante pensavamo che fosse ormai finita, ci risiamo nel vortice di un nuovo piano pandemico. Una pandemia che non è ancora arrivata, ma secondo gli “esperti” è solo questione di tempo.
Marina Flocco, com’è nata l’idea del romanzo “La fuorilegge”? Era maggio 2020 ed eravamo tutti chiusi in casa per la nota pandemia da Covid19 e mia figlia, che frequentava la terza media, aveva un compito assegnato dalla sua professoressa d’italiano di scrivere un racconto per esporre il proprio punto di vista su quel virus sconosciuto, dando libero sfogo alla propria fantasia e creando un racconto fantastico, che sarebbe stato pubblicato dalla scuola per la fiera del libro prevista nelle settimane successive. Mia figlia mi ha chiesto di aiutarla, ma io non ero assolutamente in grado perché anche solo pensare ad un racconto fantastico era per me impresa del tutto impossibile. Tuttavia mi sono fatta un po’ di domande sul futuro e avendo come unica certezza che la protagonista del racconto fosse una virologa, poiché mia figlia da grande vorrebbe fare il medico, mi sono lanciata con lei in un’avventura molto divertente che si è dipanata in diverse pagine e ne è nato un racconto molto bello e originale. Da questo racconto è emersa la centralità della figura medica, mentre io sono un avvocato. E quindi è sorta una domanda apparentemente semplice: come sarebbe il mondo se gli avvocati non esistessero più?Probabilmente la domanda è stata inconsciamente provocata dal fatto che tra marzo e maggio 2020, durante la chiusura dell’intero paese, l’unica voce divulgata ventiquattro ore al giorno dai media era quella del comitato rappresentativo della comunità scientifica in una situazione emergenziale. Ma un tarlo mi rodeva nel cervello: perché mai nessun giudice, avvocato o giurista viene ascoltato in questa così assurda situazione, eppure dovrebbe accadere visto che con un decreto del Presidente del Consiglio ci hanno imposto di restare chiusi in casa, assicurandoci che sarebbe andato tutto bene. E così, quando nel mese di giugno hanno riaperto l’Italia, ho sentito l’urgenza di esprimere al mondo il mio punto di vista, ma mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, visto che sembrava che tutti avessero perso la capacità di porsi domande e ragionare lucidamente. Pensare fuori dal coro era quasi impensabile. Allora mi sono detta: sono un avvocato e l’unica arma che ho per dire la mia è la penna. Se non posso usarla come avvocato, lo farò scrivendo! E così ho iniziato di getto a scrivere una storia proiettata nel futuro, nel 2049, che prende solo lo spunto dalla situazione pandemica da Covid19. La storia dopo una settimana era già pronta, ma per trasformarla in romanzo ho impiegato un intero anno.
Come avvocato, quanto è stato difficile per te vedere la nostra costituzione in un certo senso “violata” nel periodo del Covid? Mi sono sentita sempre più violentata come persona e come cittadina, ma come avvocato ero letteralmente scioccata dal silenzio tombale che era sceso sull’argomento, poiché secondo la voce della “scienza”, per preservare la salute pubblica, i nostri diritti più elementari erano stati messi al bando, dalla libertà personale al diritto al lavoro, al diritto di esprimere liberamente la propria opinione e al diritto di riunione. Il diritto alla salute sancito all’art. 32 della nostra Costituzione è divenuto il primo, se non l’unico diritto da tutelare, sospendendo inevitabilmente i diritti inviolabili sanciti nella prima parte della nostra Carta. Ed incredibilmente nessun giudice o avvocato era stato interpellato ad esprimere la propria opinione in TV, che quotidianamente produceva l’elenco dei morti, malati e guariti (pochi) e ci dettava regole sempre più stringenti.
Nel periodo pandemico sono stati cancellati molti diritti inviolabili sanciti dalla costituzione per “salvaguardare” la salute pubblica. L’Italia è stato uno dei paesi più despota in questo senso ed alcuni hanno parlato di “esperimento sociale”, pensi sia proprio così? Ne sono convinta. Si è senz’altro trattato di un pazzesco quanto unico nella storia esperimento sociale per valutare la reazione dei cittadini in una situazione di emergenza. Nessuno qui mette in dubbio l’eccezionalità dell’emergenza che abbiamo vissuto durante il periodo pandemico, ma è innegabile che il Governo abbia utilizzato la paura di morire come chiave di volta per imporre nuove regole di vita, che sarebbero state non solo inimmaginabili fino ad un anno prima, ma addirittura inaccettabili dalla collettività. Penso, ad esempio, al fatto che ci sia stato impedito di celebrare i funerali dei nostri defunti e che si sia dovuto limitare a quattordici il numero dei partecipanti ai funerali. La differenza è che io ho tollerato, mentre la maggior parte dei cittadini ha accettato con tranquillità tutte le imposizioni dettate dal Governo per tutelare il bene supremo della salute pubblica. L’esecutivo del nostro paese, quindi, non avrà difficoltà alcuna, in situazioni emergenziali future, a imporre un coprifuoco o restrizioni della libertà personale, essendo sufficiente richiamare quelle già note alla memoria dei cittadini. Mascherine e distanziamento sono parole ormai entrate nel linguaggio ordinario e ci scommetto che ciascuno di noi conserva ancora a casa almeno una confezione di mascherine chirurgiche pronte all’uso. Ti faccio notare che è del 18 gennaio 2024 la notizia che il Governo e le Regioni sono alle battute finali per la stesura del nuovo Piano pandemico 2024-2028, redatto sulle indicazioni pubblicate dall’OMS nel 2023, che estende il perimetro ai patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemica dettando le principali linee guida per la popolazione. Dal piano emerge che il diritto alla salute, pur non potendo in alcun caso assumere, nei giudizi di bilanciamento dei valori costituzionali, i connotati del cd. diritto tiranno rappresenta oggettivamente una vera e propria precondizione per il riconoscimento e per la elevata fruibilità dei diritti di libertà. Nella bozza del Piano si afferma che i vaccini restano lo strumento di prevenzione più efficace e si ribadisce, quale strumento normativo, la scelta del DPCM, cioè del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri senza quindi che le decisioni in materia emergenziale passino dal Parlamento. Quanto agli interventi non farmacologici per la popolazione generale, il piano annovera, per esempio, chiusura attività lavorative non essenziali, chiusura delle scuole, distanziamento fisico, limitazione degli assembramenti, limitazione degli spostamenti, permanenza a casa e uso di mascherine.
In questo tuo romanzo spariscono due ordini: gli avvocati e i giornalisti, pensi che è solo un’opera di fantasia o potrebbe succedere? Credo sia sufficiente guardarsi intorno: sta già accadendo. I veri giornalisti, quelli che ricercano la notizia nella verità dei fatti, sono una razza, ormai, in via di estinzione. Durante il periodo pandemico abbiamo, purtroppo, assistito ad un totale allineamento delle notizie, tratte tutte e sempre dalle stesse fonti di informazione. I pochi giornalisti che si sono disallineati sono stati mediaticamente linciati, allorché si sono esposti contro il pensiero unico dettato dal Mainstream e sono stati comunque progressivamente emarginati dalle piattaforme mediatiche, al pari degli esuli ed in ogni caso ghettizzati. Una volta cancellate le voci fuori dal coro, per i comunicatori di massa la strada è stata ben spianata senza ostacoli di sorta. Stesso discorso valga per quanto riguarda gli avvocati, dei quali ho ipotizzato nel mio romanzo l’estinzione nell’anno 2030, come conseguenza della loro totale inutilità in una società che di democratico non ha più nulla ed in cui il diritto di difesa non esiste più. Già durante la pandemia ho avuto la percezione che qualcosa sarebbe cambiato perché, salvo che per i processi penali, la normativa emergenziale, onde evitare il contatto tra operatori del diritto, ha sostituito le udienze in presenza con note scritte. Tuttavia con la riforma Cartabia introdotta a marzo 2023 quella norma dettata per l’emergenza Covid è divenuta normalità, perché il nostro legislatore, così facendo, e naturalmente parlo della mia esperienza nel distretto di Corte d’Appello di Roma, ha di fatto quasi cancellato la presenza degli avvocati nelle aule di giustizia. Non tutti lo sanno, ma spesso e volentieri le aule ed i corridoi del Tribunale e della Corte D’Appello di Roma sono vuoti e le cancellerie chiuse, senza tralasciare che molti colleghi si sono cancellati dall’albo e hanno proprio deciso di cambiare lavoro. Oggi, e lo dico con tanto rammarico, non sento più il Tribunale come il mio luogo di lavoro e la mia toga purtroppo è ormai appesa ad un chiodo.
Nel libro si legge una domanda che è anche una costatazione della protagonista: “Pensavo che cercare la verità fosse il primo compito di un giudice! Ho sempre creduto che fosse questa la nostra missione.” Quanto pensi ci sia del vero in questa frase, tenendo ben presente quello che è successo veramente durante il Covid? Purtroppo nessun giudice durante il periodo Covid ha avuto il coraggio di mettersi contro il Sistema, dove per Sistema intendo il castello di norme scritte e più in generale norme comportamentali imposte dall’alto a causa della situazione emergenziale in atto. Ma se questo Castello fosse costruito su delle bugie, solo un giudice potrebbe smascherarle, giusto? Ho sempre creduto che la ricerca della verità sia la ricerca del bene supremo. E tutti noi dovremmo sempre instancabilmente cercarla, anche a costo di mettere in discussione ogni nostra certezza. Non esistono più i buoni ed i cattivi e lo vediamo oggi con tutti i conflitti internazionali che dominano la scena mondiale. Cercare di comprendere la verità di quello che accade intorno a noi ha a che fare con la nostra coscienza personale e c’è anche chi trascorre la vita intera senza porsi alcuna domanda. Ma i giudici no, i giudici hanno sempre avuto sin dall’antichità un potere in grado di cambiare il destino di una persona e, così facendo, dell’intera collettività. Spesso e volentieri, infatti, le decisioni dei giudici rispecchiano i grandi cambiamenti della nostra società. Non per niente si dice di fronte alle più grandi ingiustizie: “ ci sarà pure un giudice a Berlino”. Quindi mi auguro che tutti i giudici dello Stato utilizzino i poteri loro conferiti dalla legge per cercare e affermare la verità sempre e comunque. E questo valga soprattutto per i periodi bui della nostra esistenza, dalle grandi stragi a quanto accaduto durante il periodo pandemico, per ristabilire almeno in parte un equilibrio compromesso in ultimo durante la pandemia e recuperare la fiducia persa dai cittadini nei confronti delle istituzioni.
Durante il Covid si è parlato molto di inserire un microchip e che addirittura questo fosse parte del vaccino, nel tuo libro succede proprio questo una legge che obbliga a microcippare i nuovi nati, pensi che nella vita reale possa succedere a breve? Si, penso che ciò che ho ipotizzato nel mio romanzo potrebbe accadere nel breve periodo. Quello che però mi amareggia maggiormente è che, visto il generale andazzo e la tranquillità con cui i cittadini vengono portati ad accettare regole apparentemente inaccettabili, ho il timore che il microchip sottocutaneo ai nascituri non sarà nemmeno oggetto di imposizione per legge, ma una spontanea adesione dei cittadini che, nella stragrande maggioranza, non percepirà l’inserimento del microchip come un’illegittima invasione del proprio corpo, ma come uno strumento per vivere meglio nel bene della comunità. Avere un microchip sotto pelle vorrà dire per molti pagare con comodità tutti i conti senza più utilizzare carte di credito o entrare in un’autovettura senza neanche più premere pulsanti di apertura e portare con sé il proprio smartphone. Ciò che sfugge a molti è che questa è la strada segnata per un futuro in cui saremo apparentemente liberi, ma inevitabilmente schiavi. E dove c’è schiavitù c’è sempre un padrone con potere di vita e morte dei propri schiavi.
Nel romanzo il vaccino ha avuto un buon esito, nella realtà invece si sta parlando anche di “effetti avversi”, qual è il tuo punto di vista in merito? Come avrai letto, ho parlato di vaccini che hanno funzionato dopo quasi 10 anni di sperimentazione perché il Covid, nella storia che ho inventato, continuava ad imperversare ed a subire molteplici variazioni, per cui ci sono voluti molti anni perché i vaccini funzionassero senza effetti collaterali. E‘ chiaro che un vaccino, come quello prodotto in tempi record dalle farmaceutiche senza il dovuto rispetto dei tempi dettati dai trial clinici che vanno da un minimo di tre a cinque anni, e somministrato alla popolazione mondiale garantendo che avrebbe prodotto la certa immunizzazione dal virus, senza quasi alcuna distinzione di età e sesso, non poteva che provocare effetti collaterali perché fondamentalmente noi non siamo tutti uguali. Soprattutto, ferma restando la necessità di tutelare i malati, i fragili e gli anziani, non si sarebbe dovuto, a mio modesto parere, procedere alla sperimentazione di massa, soprattutto su bambini, giovani ed in generale su tutti gli adulti sani che avrebbero potuto affrontare e combattere il virus con farmaci già esistenti, nonché con le innovative terapie adottate in tutto il mondo da medici e scienziati all’avanguardia. Credo che ancora una volta, come sempre in questi casi, abbiano senz’altro prevalso forti interessi economici rispetto al bene dell’umanità.
Questo romanzo ha già avuto grande successo ed è stato premiato nel 2022 allo “Spoleto Art Festival” e nel 2023 al “Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica”, stai già pensando ad un nuovo romanzo? Poi anticiparci qualcosa? Sono molto orgogliosa dei premi ricevuti, subito dopo la pubblicazione del romanzo ma, quando inizi a scrivere e ci prendi gusto, non riesci davvero a fermarti. Sto, infatti, lavorando ad un nuovo romanzo che ha per protagonista una professoressa di latino e greco che si trova a fare i conti con una generazione di alunni devastati dal periodo pandemico trascorso. La gestione del problema Covid ha provocato non solo effetti avversi dal punto di vista fisico su migliaia di persone sane che hanno sviluppato patologie anche gravi in maniera imprevedibile (tra cui purtroppo mia mamma), ma credo che il peggior danno sia stato provocato ai giovani adolescenti, la cui crescita e sviluppo fisico e emotivo sono stati arrestati per almeno due anni, con gravissime conseguenze sotto il profilo relazionale e psicologico. Da qui, quindi, l’idea del romanzo, che ha già un titolo, che non ti svelerò, nato dalla constatazione di come sia cambiato anche il rapporto con la scuola e tra professori e alunni. Per fortuna dei ragazzi protagonisti della storia, la loro professoressa è talmente in gamba da indurli sempre a pensare ed osservare la realtà con spirito critico. Trattandosi di un thriller come il mio primo romanzo, la professoressa ed i suoi alunni si troveranno a gestire una situazione di pericolo imminente ed irreparabile, le cui conseguenze, senza il loro intervento, sarebbero devastanti per l’umanità intera. Anche in questo romanzo la vicenda si dipana dalla nostra Italia a diverse città europee ed è ancora una volta una storia al femminile, ma l’aiuto degli uomini risulterà decisivo per le protagoniste. Il vantaggio di scrivere è poter raccontare quello che vuoi. Ed io sono felice di farlo.
Eleonora Francescucci