Enrica Capone, nata a Salerno, vive e lavora a Roma. Inizia la sua attività negli anni 70. Sin da piccola si denota un suo debole per l’arte, che l’ha portata molto giovane a disegnare, a copiare le illustrazioni a matita o a inchiostro. Quando un suo zio pittore le regala una tavolozza, comincia a dipingere ad olio copiando dai fiamminghi agli impressionisti.
All’università si mantiene con le riproduzioni e nello stesso periodo comincia a dipingere sperimentando materiali e tecniche. La sua ricerca si evolve verso la sperimentazione delle possibilità espressive della materia: impasti di sabbie di quarzo, bianche, di spiagge, di deserti; sabbie di vetro veneziano, lamine di piombo e di rame, fili orditi nella tela.
Il percorso artistico di Enrica Capone si è sempre articolato attraverso una ricerca costante di linguaggi espressivi che, partendo da una solida base figurativa, si sono evoluti nel tempo in un’astrazione fatta di rimandi ad un mondo fantastico di concezione quasi neo-platonica. Anche i materiali delle sue opere si sono via via arricchiti di insoliti connubi tra mezzi pittorici tradizionali e sostanze usualmente adoperate per altri scopi (piombo fuso, lamine metalliche, ecc.).
Nelle opere più recenti di Enrica si può intravvedere una sorta di ritorno alle origini ma con una maturità concettuale assolutamente innovativa.
Una delle opere rappresentative di Enrica Capone è “Amorproprio”. Opera in stucco, colla di coniglio e pigmenti. Materiali antichi come la nostra storia. L’opera rappresenta una figura femminile di spalle, dove non si vede il viso (come in tutte le figure di Enrica) per dar modo allo spettatore di identificarsi nel personaggio stesso. La donna si rivolge verso se stessa, come se si stesse annusando, riconoscendosi ed amandosi perché se non si ama se stessi non si può amare nessuno. L’ordito a destra dell’opera rimanda ad un “fare” antico delle donne: tessere . Ed anche ad un farlo insieme, un dialogo a volte silenzioso , ad un’operosità che è anche racconto, una trama.
Le sue opere sono collegate ai momenti primordiali dell’universo, dove tutto si muove con energia dando vita a nuove forme e nuovi spazi. Lo iuta ricamato e posto sulla tela riporta alla memoria un gesto antico, ritmo lento che scandisce il passar del tempo, mentre il filo diventa un segno indelebile della nostra storia e del nostro passato.
Eleonora Francescucci