Intervista Prof. Adriano Redler, Direttore del Dipartimento Integrato di Chirurgia Generale “R. Paolucci” dell’Umberto I Policlinico di Roma e Preside Facoltà di Medicina e Odontoiatria presso l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”
Pass Rosa è un progetto, per abbattere liste di attesa e costi oltre che offrire una campagna di prevenzione anticancro ad un target di donne per fascia d’età più a rischio – dai 25 ai 55 anni -, al Policlinico Umberto I di Roma, di cui è responsabile il Prof. Adriano Redler, in qualità di Direttore del DAI R. Paolucci.
Prof. Redler, ci racconta brevemente quando è nato il progetto Pass Rosa e perché?
Pass Rosa nasce, circa quattro anni fa, per ottenere degli esami specialistici soprattutto per le donne che lavorano, costrette ad un giorno di presenza per fare l’esame richiesto, quale l’esame al seno, quello alla tiroide oppure alle arterie. Ho pensato di trovare un modo che potesse favorire queste donne, che il più delle volte trascuravano un controllo proprio per questione di tempi lunghi. E’ molto importante invece controllarsi ad una certa età lavorativa in cui spesso si manifestano queste malattie alla tiroide, alla mammella, alle vene varicose e alle arterie. A questo proposito, si è cercato di unificare in un pomeriggio e in un ticket gli esami in modo da abbattere i tempi, per chi lavora, e i costi. Per quanto riguarda il personale specializzato, avevo una grossa risorsa: c’erano tutti i giovani che erano preparati a fare le ecografie ed esperti anche di chirurgia. Poi ho trovato anche l’ospedale disponibile a favorire un’iniziativa di questo genere.
Le dispiace specificare quali sono nel dettaglio le prestazioni offerte dal servizio dell’iniziativa e a cosa servono?
Una visita endocrino-chirurgica, una visita senologica, una visita angiologica, un’ecografia della mammella, un ecocolordoppler della tiroide, dei vasi epiaortici, dell’aorta addominale e degli arti inferiori. Fanno parte di una serie di esami specialistici preventivi antitumorali per le donne, ma non di patologie femminili, ovvero di tutto ciò che non riguarda l’apparato urogenitale delle donne, bensì tutte quelle altre patologie presenti nella sfera femminile quali sono la malattia del seno, della tiroide, delle vene. La donna che lavora solitamente va incontro a questi problemi. Quindi è stato un elemento e uno stimolo importante consentire di fare una visita preventiva da effettuare nel corso di un’unica giornata, di un unico pomeriggio: in due ore si possono fare tutti questi esami e avere un controllo preventivo sulle condizioni di organi che spesso, nelle donne, si ammalano.
Quale la procedura da seguire per usufuire del check-up dedicato? E’ complicata? Quali sono i costi?
La procedura è molto semplice: basta prenotarsi telefonicamente e dopo un certo numero di giorni si possono fare gli esami, l’orario è pomeridiano. Solitamente si inizia alle 14.00, per un numero di otto persone – senza calendarizzare l’orario – e impegnando un pomeriggio: in solo quattro ore si possono fare alle otto pazienti prenotate tutti gli esami specialistici suddetti. Naturalmente eventuali esiti e consulti sono sempre rilasciati in tempi brevi. Il costo di tutto è in un unico ticket di € 50,15.
Quindi, quali sono in parole povere i vantaggi dell’utenza e quali invece quelli del servizio pubblico sanitario e ospedaliero?
Il Pass Rosa è stato condiviso da subito dalle donne. Perché? Perché la donna che lavora, che ha figli non può perdere cinque giornate per fare un esame multiplo. Questo pacchetto di esami, per l’ospedale rappresenta un fattore moltiplicatore: perché sono tutti esami che poi la regione paga, ovvero il di più per questi esami è pagato dalla Regione; altro vantaggio riguarda le pazienti che potrebbero essere futuri clienti dell’ospedale non delle cliniche private o degli istituti – capita, infatti che se si va in uno studio privato, per esempio, a fare l’ecografia automaticamente consigliano la clinica privata, invece con questa iniziativa si facilita l’accesso al servizio sanitario pubblico, all’ospedale di questi pazienti ed eventualmente anche il mantenerli, fidelizzarli al servizio sanitario nazionale. Inoltre grazie a questo progetto si fa anche ricerca. Per esempio con l’ecografia, che è un esame innocuo fatto con uno strumento funzionante ad onde sonore, non danneggia le cellule, e permette indagini strumentali non invasive, ma con cui si riconoscono particolari situazioni di rischio. Grazie ad un finanziamento disponiamo di un nuovo macchinario molto preciso. Utilizzando l’ecografia su un certo numero di pazienti abbiamo fatto un determinato numero di ricerche. E proprio perché questo presidio ospedaliero è anche un’università, non è sua prerogativa il solo atto assistenziale, in ogni iniziativa si vede anche la capacità della formazione, ovvero di spiegare ai giovani specializzandi, ai giovani medici l’uso di una tecnologia moderna che può essere utile e di aiuto nella diagnostica quotidiana durante il compimento della professione e per la ricerca stessa. Sono tutte le nuove tecnologie che permettono di studiare il nodulo quando c’è, se compare o non compare, se compare piccolo, quanto è grande. Proprio perché si è universitari, quindi non si è solo medici che curano la malattia ma anche professori e ricercatori – del resto qui c’è didattica e formazione, ovvero medici che si formano, specialisti, personale medico infermieristico e, come ho detto c’è la ricerca che è parte integrante dell’insieme: si abitua il giovane che la ricerca in un reparto clinico si fa sull’atto chirurgico, si fa sulla diagnostica, si fa sulla malattia.
Riuscite a corrispondere le richieste del servizio proposto?
No, non riusciamo a corrispondere le richieste perché queste sono numerose e poi perché si ha la restrizione delle risorse: personale che va in pensione e non è sostituito e giovani che decidono di andare all’estero, perché si ritrovano a trentacinque anni, dopo la laurea, la specializzazione e il dottorato di ricerca, a percepire un assegno come ricercatori di 1000/1100 €. C’è un turnover violentissimo.
Quali le prerogative per il futuro? Si può mantenere l’attuale check-up e, eventualmente, aggiungere ulteriori esami? Da ieri, ovvero da quando è nata l’iniziativa, ad oggi quali sono le problematiche riscontrate lungo il cammino?
Più che mantenere questo tipo di check-up e, eventualmente aggiungere ulteriori esami, se non c’è il sostegno dell’azienda nel trovarmi ruoli, funzioni, contratti per tenermi le risorse, cioè i giovani, penso che sarò costretto a ridurre il servizio. Ho già dovuto farlo temporaneamente per formare altri giovani che siano in grado di dare risposte serie e valide in base alle richieste che dobbiamo eseguire. Quindi a differenza di come è partito il progetto, oggi si è costretti a dei periodi di sospensione del servizio in quanto l’equipe di giovani, responsabili delle prestazioni di prevenzione assistenziale del Pass Rosa, si smembra per andare a lavorare all’estero, e io sono costretto a ricomporre una nuova squadra di cui possa essere sicuro e che possa dare le stesse garanzie di validità. Di conseguenza questo richiede tempo e si riprende il lavoro solo quando i ragazzi sono tutti pronti e in grado di dare la risposta giusta.
Perché non si è pensato di garantire una maggiore distribuzione sul territorio del progetto per tutelare la donna?
Ho cercato di diffondere l’idea agli altri ospedali, ma purtroppo non ha avuto il riscontro sperato per le problematiche di cui si parlava prima (i presidi ospedalieri mancano di personale, voglia e interesse, inoltre non essendoci l’università, non c’è la ricerca e quindi non ci sono i giovani che posso sostenere un progetto di questo genere). Questa idea che poteva essere un’idea da poter diffondere dovunque ha avuto una modesta situazione.
Quali sono i risultati di questo percorso anticancro per le donne dai 25 ai 55 anni? Si può avere una stima della prevenzione fatta dal progetto in percentuale in questi anni?
Oggi i tumori si prendono in tempo perché è cambiata la diagnosi, è cambiato l’approccio con il malato e quindi bisogna favorire tutto ciò che è prevenzione e per portare prima possibile il malato, se serve, al tavolo operatorio. Dall’andamento di questo progetto, che noi ormai mettiamo in opera da più di tre anni, abbiamo rilevato un 3-4 % di malati che sarebbero diventati molto seri e molto gravi se non ci fosse stata la possibilità di fare prevenzione. L’iniziativa ha avuto un grande successo. Si, devo dire che i risultati conseguiti sono molto positivi perché ci hanno permesso di scoprire vari momenti di malattia sia venose sia arteriose sia della mammella e della tiroide e addirittura scoprire nel 3-4% malattie gravi e irrisolte che avrebbero avuto delle serie manifestazioni cardiache.
Ricorda un caso particolare di cui vuol parlarci?
Ce ne sono tanti di casi particolari, di donne che sono venute casualmente a farsi vedere e che poi hanno scoperto di avere un tumore della tiroide e che ci hanno ringraziato, anche ragazze giovani. Donne ucraine soprattutto, perché erano a Černobyl’ all’epoca dell’incidente nella centrale nucleare, nell’aprile del 1986. Una di loro, che era venuta a farsi vedere, aveva un piccolo nodulo che era un tumore. Un’altra ragazza, invece era la moglie di un calciatore che aveva disputato una partita giocando contro i postini italiani a Kiev proprio in quei giorni in cui c’è stato il disastro nucleare a Černobyl’, e, inoltre, uno di quei giocatori della squadra dei postini italiani, era stato mio paziente e lo avevo operato proprio di cancro alla tiroide. Pensi che coincidenza.
Un consiglio per gli utenti e per gli addetti ai lavori in base alle sue esperienze…
Questo progetto è una cosa utile, come del resto può essere utile tutto ciò che si fa nell’interesse del pubblico, e a garanzia del successo sta il fatto che alla base c’è coordinazione e programmazione. Noi abbiamo avuto dei numeri incredibili: ci sono richieste per anni ed è nostra prerogativa andare sempre incontro alle richieste anche perché solo così si possono evitare i costi della malattia, con la prevenzione. Naturalmente avendo cura di fare in modo che si aprano spazi e si moltiplicano punti e fattori di cui si diceva poc’anzi e che sono determinanti per compiere al meglio il lavoro di prevenzione e raggiungere gli obiettivi prefissi per la tutela dei pazienti.
Maria Anna Chimenti