Un po’ Francesco d’Assisi, coerente quanto convincente, nei suoi appelli a un cristianesimo inteso soprattutto come pratica della povertà evangelica e leva di contestazione delle ingiustizie sociali; un po’ Mazzini (“La Repubblica è il Regno di Dio”, recitava uno dei suoi piu’ celebri slogan, inciso poi, sugli stendardi dei suoi seguaci, la mattina di quel tragico 18 agosto 1978).E un po’ Garibaldi ( del quale quasi eguagliò’ la popolarità riscossa all’estero, nei trionfali”tour” del 1874 in Francia, insieme al suo mentore Leon du Vachat, paladino d’ un’ impossibile restaurazione monarchica oltrAlpe…). Parliamo di David Lazzaretti ( 1834.-1878), il “Messia dell’ Amiata”: l’uomo che, nell’ “Italia scombinata” postunitaria, dette vita all’ultima eresia popolare italiana. Impersonando un moto di protesta religiosa e sociale che non gli perdonarono nè la Chiesa cattolica, inizialmente portata ad appoggiarlo in chiave antisabauda, anti-Stato liberale ( e massonico), nè i governi della Sinistra liberale ( andata al potere, con Agostino Depretis, nel 1876), spaventati dal possibile collegamento tra lazzarettisti, Intenazionale socialista e primi socialisti italiani.
Al Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari,sino al 21 maggio, la figura di Lazzaretti rivive con una suggestiva mostra, curata dal direttore , Leandro Ventura, e dall’antropologa Marisa Iori , con la collaborazione scientifica di Francesco Pitocco, Coordinatore del Dottorato di ricerca in Storia e politica nell’Europa moderna e contemporanea alla “Sapienza; e organizzata insieme al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e al Comune di Arcidosso ( “patria”, a suo tempo, del “Messia amiatino”). La mostra espone, in tutto, una cinquantina di reperti: provenienti, in parte, dallo stesso Museo (inventariati, come “cimeli lazzarettisti”, nelle collezioni del vecchio “Museo delle Civiltà”, precursore del MNATP, dopo esser stati presenti all’ esposizione di Roma del 1911, per i cinquant’anni dall’ Unità), e dal “Centro studi David Lazzaretti” di Arcidosso, dal vicino Archivio Giurisdavidico di Zancona e dall’ Achivio di Stato di Grosseto. Si tratta di documenti originali dei lazzarettisti, saggi critici sul movimento ( alcuni pubblicati quando ancora il profeta era vivo), rarissime fotografie; e molti abiti originali dei “davidiani”, dalle uniformi dai colori sgargianti e fantasiosi alle coroncine di fiori indossate dalle fanciulle vestite di bianco; sino al mantello originale, rosso e blu, indossato da David proprio il 18 agosto 1878, e al cappello con piume di struzzo (con ben visibili i fori dei colpi mortali sparati, in una scena davvero da film, all’ ingresso di Arcidosso dal carabiniere Antonio Pellegrini). Completano la mostra, i filmati del Monte Labbro, vicino all’ Amiata ( sede della “Nuova Sion”, l’eremo costruito da Lazzaretti, tuttora visibile, anche se molto rovinato) realizzati da Andrea Cocchi, e due documentari, prodotti dalla Regione Toscana e da privati.
L’iniziativa è nata dalla visita fatta tempo fa, al Museo, dal cantautore e autore teatrale Simone Cristicchi, appassionato al fenomeno lazzarettista: che, fatti rintracciare i cimeli davidiani già esposti appunto a Roma nel 1911, ha proposto alla Direzione del Museo d’organizzare una nuova, piu’ approfondita, esposizione. In questi stessi giorni, al Teatro “Vittoria” di Testaccio, Cristicchi ha rappresentato “Il secondo figlio di Dio”: una pièce – scritta insieme a Manfredi Rutelli, con la regìa di Antonio Calenda – che ripercorre appunto la parabola di Lazzaretti, uomo espressione d’una religiosità popolare in Amiata forte sin dal Medioevo, e dotato d’un carisma innato, capace d’attrarre magneticamente migliaia di persone. Per due ore, Cristicchi regge la scena, interpretando il profeta ( che ricorda anche fisicamente) ma anche i suoi comprimari e nemici, e ricorrendo a documenti e musiche dell’ epoca ( scene e costumi di Domenico Franchi, luci di Cesare Agoni): sino alla tragica manifestazione non autorizzata del 18 agosto ( esattamente cento anni dopo, ad agosto 1978, il Comune di Arcidosso ha fatto pubblicamente ammenda per aver scatenato la repressione del movimento lazzarettista).
Il socialismo cristiano di David (con la creazione della “Santa Lega”, organismo con finalità assistenziali, e della “Società delle famiglie cristiane”, cooperativistica e mutualistica, che prevedeva che i suoi aderenti lavorassero e mettessero in comune strumenti e frutti del proprio lavoro, secondo l’ originario spirito delle chiese cristiane), rimasto poi operante, nell’ Amiata, sino addirittura ai primi anni del fascismo, è stato studiato da Don Bosco ( che conobbe personalmente Lazzaretti), Tolstoj, Maupassant, Gramsci ( nei “Quaderni dal carcere”), Ambrogio Donini, Eric Hobsbawm ( nel celebre saggio “I ribelli”), Ernesto Balducci ( il quale, ricordiamo nel cimitero di Santa Fiora riposa proprio davanti a David e ai suoi familiari). Il suo impegno per la creazione di scuole popolari e per i diritti delle donne ( che partecipavano a pieno titolo alla vita delle comunità davidiane) destò scalpore a lungo; e tuttora esistono gruppi e comunità che si richiamano direttamente a Lazzaretti, nell’ Amiata, in Maremma, nel Reatino e a Roma ( chi scrive, tra l’altro, riuscì a intervistare nel 2002, poco prima della morte, Turpino Chiappini, ultimo sacerdote della “Chiesa giurisdavidica”). Che David abbia evidenziato disturbi comportamentali nel fervore della sua predicazione (arrivando spesso a identificarsi addirittura col Cristo, o a proclamarsi suo fratello), sino a a forme di provocazione verso istituzioni statali e gerarchie clericali, è difficilmente contestabile, ed è tuttora materia di ricerca. Ma non va dimenticato che vari atti ufficiali – dalla perizia medico-legale disposta nel 1874 dal Tribunale di Rieti, sino agli studi compiuti su di lui, “post mortem”, da Cesare Lombroso – confermano tuttora lo stato di salute e il pieno possesso delle facoltà mentali, nella vita quotidiana, da parte del soggetto.”Un mattoide” – ricorda Arrigo Petacco ne “Il Cristo dell’ Amiata”, appassionata biografia dell’ uomo di Arcidosso – definì Lazzaretti Cesare Lombroso: precisando, però, che, allora, erano stati mattoidi anche Francesco d’ Assisi, Savonarola, Lutero, Cola di Rienzo…
Fabrizio Federici