Il ruolo dell’assistente sociale come consulente familiare nella gestione di uno o più conflitti genitoriali all’interno di una separazione che essa sia consensuale o giudiziale, pone al centro del suo intervento la famiglia. La famiglia è il pilastro portante della società, che dovrebbe offrire, rifugio e cura ai suoi membri. L’assistente sociale opera la sua competenza tecnico-professionale nel contesto della consulenza familiare all’interno dei consultori familiari che sono presenti nel territorio.
Quando però due partner che si dividono non riescono a gestire i loro rapporti in maniera civile e costruttiva ma si lasciano sopraffare dal dolore o dalla conflittualità, la separazione si trasforma in un evento drammatico che mette a rischio la salute psichica ed il benessere fisico, psichico e sociale dell’intero nucleo familiare. Spesso, troppo spesso la famiglia si trasforma per i suoi membri, da luogo di condivisione ed affetti a dispensatrice di sofferenza.
L’assistente sociale con gli operatori sociali che si occupano della famiglia conoscono molto bene i danni devastanti prodotti da una separazione conflittuale. È dunque il corpo sociale e non solo il corpo familiare, che deve essere investito del compito di affiancare la famiglia separata nel cammino diretto alla rielaborazione del dolore ed alla conseguente rinascita. È proprio all’interno di questa prospettiva sociale che operano quei professionisti che a livello istituzionale e/o libero professionale, si interfacciano con la famiglia ed in particolare con quella separata. Tra questi professionisti hanno un ruolo centrale: l’assistente sociale ed i mediatori familiari, che esercitano la loro professione con strumenti tecnici e ruoli spesso diversi ma sotto l’egida di valori e principi comuni.
Il mediatore familiare e l’assistente sociale sono legati da un sapere come insieme di tecniche organizzative, un saper essere inteso come maturità e capacità di relazione; un saper fare inteso come capacità di applicare le conoscenze tecniche acquisite; un saper definire come capacità di applicare le tecniche acquisite come capacità di adeguarsi alle istanze di una società in continua evoluzione e mutamento. Questi professionisti entrambi operano in forza di una legittimazione formale, ossia attraverso il riconoscimento dell’esercizio della professione e del mandato sociale-professionale ed in più sono tenuti a rispettare un codice etico-deontologico, quale insieme di principi e valori che orientano il fare professionale.
La più grande affinità tra le due scienze è rappresentata dalla valorizzazione dei bisogni degli utenti, che vengono considerati centrali nella mediazione familiare ed oggetto del servizio sociale professionale. Esortano le parti a riattivare la comunicazione tra loro, lavorando sulla loro autonomia e sull’empowerment, qui l’assistente sociale aiuta quindi i coniugi a trovare autonomamente proprie soluzioni e decisioni per riorganizzare la nuova situazione familiare in maniera soddisfacente per entrambi.
Gli scopi del servizio sociale e della mediazione familiare sono anch’essi comuni, l’assistente sociale ha però valenza onnicomprensiva, il mediatore familiare opera solo all’interno del conflitto familiare. In questo contesto l’assistente sociale ha confini meno limitati, con un’attività di tipo valutativo, in quanto indirizzata ad una diagnosi per la quale sono necessari colloqui con il minore e la famiglia, indagini, visite domiciliari e consulenze sociali. Cambia il linguaggio, altissimo nei casi trattati dall’assistente sociale; è necessario che gli assistenti sociali (che dell’alta conflittualità sono professionisti) lavorino primariamente per ridurre il conflitto. Gli strumenti utilizzati dall’assistente sociale sono più complessi e ricordiamo: le visite domiciliari, la documentazione e la cartella sociale, il sistema informativo, riunioni e lavoro d’equipé. Solo il colloquio è l’unico strumento in comune tra le due professionalità, utilizzato però con obiettivi diversi. L’assistente sociale ed il mediatore familiare usano il colloquio per raccogliere una serie di informazioni al fine di valutare la situazione dell’utente e di comprenderne i bisogni. La valutazione della situazione dell’utente, effettuata dall’assistente sociale con l’aiuto del colloquio e di tutti gli strumenti di cui può avvalersi a questo fine, è invece volta a realizzare un progetto d’aiuto costruito ad hoc e/o proprio su misura dell’utente/cliente. Tale progetto rappresenta il risultato di un lavoro di mediazione tra le diverse istanze dei soggetti coinvolti (utente-assistente sociale- istituzione) e gli obiettivi del progetto stesso.
L’assistente sociale può essere definito come “mediatore per eccellenza”ed è il professionista più adatto a diventare mediatore familiare. L’assistente sociale nell’accesso alle parti: vede che qui l’assistente sociale si interfaccia con una famiglia conflittuale o su mandato del giudice o perché la situazione gli è stata segnalata da altri soggetti (scuola, altri componenti della famiglia etc.). In caso di alta conflittualità familiare molto raramente le parti contattano l’assistente sociale per libera e/o autonoma scelta. Il mediatore familiare è sempre volontario. Solo l’assistente sociale opera sulla base di un mandato istituzionale. Entrambi in virtù di un mandato sociale-professionale. L’assistente sociale ha funzioni di aiuto, di controllo nei confronti dell’utente (specie quando si relaziona con famiglie altamente conflittuali in virtù di un mandato del giudice).
In conclusione per quanto riguarda l’obbligo della privacy ed il rapporto con il giudice, qui l’assistente sociale è tenuto a svolgere una serie di ulteriori attività a supporto dell’autorità giudiziaria, tra cui l’elaborazione di relazioni, segnalazioni, il monitoraggio dell’intervento, la stesura di un resoconto finale scritto che fornisce chiarimenti in merito alla situazione problematica nonché è tenuto eventualmente a testimoniare (cosa di fatto molto frequente). Il mediatore familiare, di contro, è tenuto alla riservatezza sul contenuto degli accordi e non può essere chiamato a collaborare con il giudice. E’ utile ribadire l’importanza di entrambe le professioni come strumenti di promozione di una cultura il cui conflitto familiare e non, non viene ignorato, bensì affrontato e trasformato in un’occasione di riflessione, crescita e conoscenza reciproca.
Antonella Betti