I profili amminoacidici dei cereali sono cambiati notevolmente nel corso degli ultimi anni; la qualità delle proteine è calata di molto, il glutine, già di per sé poco digeribile, è stato reso ancora più complesso da decodificare per l’organismo a causa dei processi di raffinazione che hanno permesso la diffusione sempre maggiore di cereali e prodotti raffinati, a base di farina bianca, a dispetto di quelli integrali, più digeribili e più completi ed equilibrati dal punto di vista nutrizionale.
Vicino Ansedonia in Toscana è stato trovato lo scheletro di una giovane donna vissuta oltre due millenni fa. I resti fanno supporre che la morte sia avvenuta per malnutrizione evidente e che provenisse da una famiglia agiata, in quanto dotata di un ricco corredo di gioielli.
Lo studio delle ossa è avvenuto presso il “Centro di antropologia molecolare per lo studio del DNA antico” dell’università di Tor Vergata, dove gli scienziati da un frammento di un dente hanno scovato le prove scientifiche del primo caso di celiachia noto: il DNA estrapolato dal collagene, infatti, ha rivelato la presenza dei marcatori genetici che predispongono alla patologia.
Quando si parla di celiachia non si parla di una patologia moderna, ma probabilmente di uno sviluppo nato quando è stato introdotto il frumento per la prima volta.
A condurre gli studi è stato lo staff di archeo-antropologi molecolari, coordinati dalla professoressa Cristina Martinez Labarga, professoressa del dipartimento di Biologia dell’università Tor Vergata, antropologa forense, una delle massime esperte nelle indagini sugli scheletri umani di antiche sepolture, che ha avuto modo di interrogare le ossa con le tecniche più all’avanguardia.
Si è scoperto studiando l’alimentazione dei ricchi dell’epoca, che prevedeva grandi quantità di cereali, pericolosi per i celiaci.
Grazie allo studio biomolecolare sui resti della ragazza sono stati trovati i marcatoti genetici della celiachia.
«Mentre qualche decennio fa l’incidenza della malattia era di 1 caso ogni mille o duemila persone, oggi siamo giunti a dover stimare 1 caso ogni 100 o 150 persone», spiega Adriano Pucci, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia. «Siamo dunque nell’ordine, in Italia, di circa 400 mila malati, di cui però soltanto 55 mila hanno ricevuto una diagnosi certa e seguono una dieta che può salvare loro la vita».
Paolo Miki D’Agostini