Un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica e dell’Università di Roma Sapienza ha scoperto un possibile bersaglio terapeutico per la cura del glioblastoma multiforme, il tumore del cervello più aggressivo e maligno, caratterizzato da una sopravvivenza di appena 12-18 mesi.
Sono i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista “Brain Sciences”, condotto dal dottor Filippo Biamonte, dottore di ricerca del Dipartimento di Scienze Biotecnologiche di Base, Cliniche Intensivologiche e Perioperatorie della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, e coordinato dal professor Alessio D’Alessio, associato di Istologia del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, in collaborazione con il professor Antonio Filippini, ordinario di istologia e embriologia umana del Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico legali e dell’Apparato Locomotore dell’Università Sapienza.
Il glioblastoma multiforme (GBM) è un tumore tipico delle cellule gliali dell’encefalo che si sviluppa per lo più nel cervello, ma può nascere anche in diverse sedi del sistema nervoso centrale (SNC) quali il tronco cerebrale, il cervelletto e il midollo spinale. Solo in casi particolari il GBM non si diffonde al di fuori del SNC, ma migra all’interno del solo tessuto cerebrale. Questo tumore in Italia ha un’incidenza media stimata di 8 casi ogni 100.000 abitanti e rappresenta circa il 54% di tutti i gliomi diagnosticati.
Diversi studi hanno supposto il ruolo centrale di una popolazione di cellule staminali tumorali ritenute responsabili della resistenza del tumore ai trattamenti chemioterapici e radioterapici. Reelin è una glicoproteina molto grande della matrice extracellulare che contribuisce alla migrazione, al corretto posizionamento e alla sopravvivenza dei neuroni, principalmente durante lo sviluppo del cervello. I ricercatori hanno studiato questa glioproteina in campioni provenienti dal tumore (GBM) e dal tessuto peritumorale (circostante il GBM) di vari pazienti. La ricerca ha evidenziato una più elevata espressione della proteina reelin nel GBM rispetto al tessuto peritumorale.
Gli esperti hanno concentrato la loro attenzione sulle cellule staminali tumorali provenienti dalle due sedi, riscontrando un forte segnale dell’RNA messaggero (mRNA) di reelin e del suo adattatore molecolare DAB-1 sia nelle cellule isolate del tumore che in quelle derivate dal tessuto peritumorale. “Queste evidenze – hanno spiegano il professor D’Alessio e il dottor Biamonte – indicano che reelin nel glioblastoma potrebbe rappresentare un fattore favorevole al comportamento nefasto delle staminali tumorali e tradursi in un bersaglio terapeutico per questo tumore”.
“Il prossimo passo sarà tentare di bloccare il meccanismo di segnalazione di reelin con un anticorpo neutralizzante specifico (CR50) già nelle nostre mani, o mediante l’utilizzo dei piccoli RNA in grado di spegnere l’espressione genica della proteina, per studiare come reagiscono le cellule tumorali- concludono – ma siamo ancora in una fase sperimentale pre-clinica”, hanno dichiarato gli studiosi.
Erica Lucia Noli