Non stiamo in Toscana ma nel Lazio, nel viterbese in Tuscia, a sud del lago di Bolsena, territorio collinare solcato dal fiume Larthe, il Marta, emissario del lago di Bolsena.
l’antico fiume Larthe nei pressi di Tuscania
Tuscania è in vista del Tirreno, dove si respira l’alito dei venti salmastri della marina. Boschi di roveri, querce, salici, cespugli di cistus in fiore, myrtus communis, impervie forre, hanno mantenuto intatta la flora e la fauna.
Cistus in fiore
Il fiume Marta, scorre tra rocce ricoperte da muschi e alberi secolari che lasciano intravedere rovine di antiche abazie, rocche e ponti in pietra, segni di antichi popoli scomparsi.
Cascatelle del fiume Marta
È terra vulcanica e nei millenni non sono mancati terremoti devastanti e morbi funesti. Eppure, questa terra ospitò alcuni fuggitivi dalla caduta di Troia, dalla morte di re Priamo, ucciso dagli Achei insieme alla sua dinastia. Vennero ospitati dagli Hosci, da molti storiografi chiamati Pelasgi poiché le loro origini erano nel Peloponneso, circondato dal pelago mare, e transfughi dalla Tessaglia, l’antica Eolia: da lì, si sarebbero poi diffusi prima nell’Egeo e quindi in Occidente, evolvendosi, secondo alcuni antropologi, negli stessi Etruschi.
Tuscania abbracciata dalle sue mura
Le mura ciclopiche sin dall’antichità sono da molti considerate una traccia del loro passaggio: erano gli Etruschi, il popolo vissuto tra il IX secolo a.C. e il I secolo a.C. in un’area denominata prima Tuscia, poi Etruria, quindi Toscana. Nell’Umbria e nella Tuscia del Lazio settentrionale e centrale, ancora prima di loro, duemila anni a.C., una popolazione proveniente dal Caucaso, Daghestan, si ambienta e si adatta al popolo degli Hosci che identifica quegli immigrati come Tuski e la terra a loro assegnata viene nominata Tusknà, così come quel paleo-villaggio sarà riconosciuto e individuato da quel primitivo gruppo sociale come: Tuscana.
Quanto resta della sede medioevale del Rivellino
Gli Etruschi, Etruski, Tuski dell’Etruria, popolo colto e raffinato, amante del quieto vivere e della reciproca collaborazione, si estese anche a nord tra le attuali regioni dell’Emilia Romagna, della Lombardia sud orientale e del Veneto meridionale, con incursioni pacifiche fino a Paestum, in Campania. Alcune imbarcazioni degli Achei, così come riporta lo storico Aristotele, approdarono sulle rive del Tirreno.
Cascata del Laerthe nei boschi di Tuskanà
I rifugiati, si addentrarono nel territorio; trovandolo confortevole, ospitale e adeguato; costruirono un villaggio per riposarsi dopo le varie traversie. Aggregandosi con i Tuski e gli Hosci, antichi cugini dal sangue miceneo, usarono il tufo locale che ben presto sostituì le capanne provvisorie fatte di legno e paglia inzuppata nel fango argilloso. Plutarco, parla di civilizzatori e colonizzatori pacifici del bacino del Mediterraneo, ricordando le origini elleniche di quei fuggiaschi. Portarono con se la Mater Matuta e l’adorarono.
Mater Matuta
Nell’opera “Naturalis Historia” di Gaius Plinius Secundus, nel III libro, cap. 5, paragrafo 52, vengono nominati gli abitanti di Tuscana, i Tuscanienses, per analogia con i Tarquinienses così come in antiche epigrafi i Tuscanesi sono ricordati come Tuscanienses o meglio, Tuscanensium, di Tuscania. La diatriba sul nome ripetuto nei secoli ha fatto sì che vincesse l’odierna terminologia: Tuscania, antico borgo etrusco. L’etimologia tuska, nonostante le sue origini risalgano al protovillanoviano di 1200 anni a.C. non viene esplicata con il rinvenimento archeologico di alcuna pietra niger, con inciso il nome a caratteri bustrofedici: Tuskanà. Il nome del borgo, viene confermato solo nel 143 d.C. in un documento pergamenato che cita un soldato, chiamato Caio Claudio Menodoto, tuscanese. L’occupazione stabile del colle di San Pietro ovvero, del colle del Sole, che risale alla prima metà del ferro, è preceduta da una ventina di occasionali e isolati insediamenti nelle campagne circostanti.
Necropoli Pian di Mola
L’antico abitato tusko già presente sul colle, viene inglobato dalle edificazioni tufacee etrusche, articolandosi in due distinte fasi cronologiche riconducibili all’età arcaica e all’età ellenistica così come documentato da ricche necropoli a Pian di Mola, dove le tombe sembrano disposte come dimore dei vivi con un suggestivo effetto scenografico.
Necropoli a Pian di Mola
Nella necropoli di Peschiera, si trova la tomba a forma di casa che è unita alla roccia dalla quale è stata ricavata e che risale alla prima metà del VI secolo a.C. e sulla cui sommità vi erano gruppi scultorei con animali e nel portico statue di leoni di nenfro, antistanti ora al Museo Archeologico.
La tomba a forma di casa chiamata anche “dado”
La necropoli Castelluccia è del V e del IV secolo a.C.; Scalette dell’VIII e VII secolo a.C.; Sasso Pizzuto del VII e VI secolo a.C., tombe a ripartizione in tre camere, con le aperture a finestra e i letti provvisti di cuscino, ed ancora la tomba a tumulo dell’Ara del Tufo come quelle a Vulci; San Lazzaro, del VII e VI secolo a.C..
Leoni scolpiti nel nenfro
Sono queste, testimonianze prestigiose che confermano una situazione economica e sociale florida, favorita dalla posizione strategica in corrispondenza del crocevia per l’Etruria interna.
Alla fine del VI secolo a.C. si registra a Tuscania una grave crisi politica conseguente ad una ed improvvisa pestilenza, che accennerà ad una ripresa solo nel IV secolo a.C.; lo documentano le prove archeologiche riferite alla produzione artistica.
Tuscana o meglio Tuscania, è una città non solo antichissima, ma paleoetrusca, in quanto il nome rivela l’insediamento dei Tuski, una popolazione distinta dagli Etruski. I Tuski approdarono in Italia dal Caucaso nel II millennio a.C., convivendo con le genti già lì stanziate.
Nel 281 a.C. Tuscania conquistò Tarquinia. La nuova classe gentilizia che assurge al potere, controllando vaste proprietà terriere, si identifica nelle potenti famiglie dei Curunas, dei Treptie, dei Vipinana.
Sarcofago della nobildonna della famiglia Curunas
Di Vincenzo Campanari, che amava l’arte, l’archeologia, la cultura e le antiche religioni, e seppe intèssere importanti legami con l’ambiente della Chiesa che nei territori della Tuscia avevano gran parte dei loro patrimoni, è l’idea di allestire il vasto cortile interno, della sua casa nel centro storico di Tuscania, con i ventiquattro sarcofagi della famiglia etrusca Vipinana, riproducendo il prospetto architettonico del monumento disponendo i sarcofagi in cerchi concentrici di cui quello esterno era occupato da sarcofagi maschili, e quello interno da quelli femminili, con la camera funeraria stracolma di bronzi, vasellame del tipo lekanis, kyathos per bevande, crateri, armille, unguentari, poggia testa, coppette, cinerari biconici, ceramiche, fregi e varie sculture etrusche recuperate nei suoi scavi nella necropoli di Carcarello, proprio per far capire alle intendenze comunali, quali tesori serbava il territorio di Tuscania.
Disegno di Samuel James Ainsley dell’allestimento della mostra organizzata nel giardino di Vincenzo Campanari
Tutto ciò suscitò entusiastiche descrizioni di Mrs Elizabeth Hamilton Gray (1801-1887) e di suo marito, il reverendo John Hamilton Gray (1800-1867). Mrs Elizabeth H. Gray scrisse un diario di viaggio e un’opera storica, nonostante i giudizi severi e misogeni che su di lei espresse George Dennis (1814-1898), documentate dai preziosi disegni di Samuel James Ainsley, poiché si trattò di una delle prime forme di musealizzazione dell’Ottocento.
Colle di San Pietro con l’omonima basilica
L’abitato sul colle di San Pietro, antica acropoli etrusca, ne acquista in prestigio con il rinnovamento dell’assetto urbano cui si affiancano consistenti realizzazioni murarie e idrauliche.
Pregiatissimo rosone della basilica di San Pietro al colle
Documentazione archeologica attesta che intorno al colle di San Pietro ci siano state ben dodici chiese di cui per alcune, si ha testimonianza e memoria solo negli archivi e di altre, sono rimaste poche vestigia sparse intorno.
Pregevoli sarcofagi della dinastia dei Curunas
Il culto di Bacco, nel territorio tuscanese favorevole alla crescita dei vitigni, verso la prima metà del II sec. a.C. maschera una certa avversione contro Roma.
Dioniso, Fufluns Pachies, dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito fu identificato come dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi; venne quindi a rappresentare l’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo, l’irruzione spirituale dell’esistenza intesa in senso assoluto, la frenetica corrente di vita che tutto pervade. Bacco, Dioniso, per alcuni è figlio di Zeus e Demetra, sua sorella; è il frutto di un incesto.
Nel 186 a.C. viene emanato il Senatus Consultum de Baccanalibus, un senatoconsulto per abolire i Baccanali, più appartenenti a tradizioni ellenistiche che risultano essere troppo orgiastici ed assordanti. Lo storico Tito Livio ci da una descrizione particolareggiata delle cerimonie che la legge voleva bandire. Le grandi dionisiee avevano inizio in primavera e duravano sei giorni. Marco Porcio Catone, chiamato anche Catone il Censore, iniziava a far serpeggiare le sue filosofie nelle menti dei moralisti.
Statuina bronzea fittile della divinità etrusca Fufluns Pachies – Tuscania
Il culto di Bacco, però, potrà eccezionalmente essere ammesso, grazie al legame che ha con importanti divinità femminili in ambito di fertilità.
Tarquinia perde ogni controllo sul territorio, e Tuscania venne integrata nel sistema romano con l’apertura tra il III e il II secolo a.C. della via Clodia, importante per il collegamento con Roma ed altri centri abitati dell’entroterra, ma sarà Roma a subentrare al suo posto nell’Etruria meridionale. Nessuno storico antico ci narra quando Tuscania sia stata sottomessa da Roma: forse avvenne, intorno al 280 a.C., in modo pacifico. Tuscania, l’allora Tuscana, era una città importante nell’epoca etrusca, e non fu l’itinerario della Via Clodia a determinarne lo sviluppo nel IV sec. a C., ma fu l’importanza che Tuscana già aveva a determinarne il percorso di questo itinerario. Con la Guerra Sociale tra il 90 e l’88 a.C., si ha la fine del mondo etrusco e la sua completa romanizzazione: la città viene iscritta nella tribù Stellatina ed eretta a Municipio nel 90 a.C.. Entrare a far parte del municipium romanum, significava essere assoggettati a Roma e sottoposti agli oneri tassatori da versare alle casse, all’erario del Senato, i munus capere, ma anche godere di monumenti, edifici, templi, bagni e terme pubbliche. All’epoca di Vincenzo Campanari, vennero fatti degli scavi che portarono alla luce due statue che raffiguravano la “Giustizia” e la “Maternità”, che furono collocate nella parte alta della facciata del Palazzo del Comune di Tuscania, oltre ad una statua di Venere in alabastro volterrano.
Ruderi delle Terme Romane di Tuscania
In una foto dei primi anni del Novecento si vedono le due statue della “Giustizia” e della “Maternità”, collocate sopra la facciata del Palazzo del Comune di Tuscania.
Il particolare territorio vulcanico nasconde sorgenti sulfuree come l‘Acquaforte, che si trova a nord dell’abitato di Tuscania in località San Savino. Nel fondovalle, è il fosso dell’Acquarella dove in tempi più recenti i cittadini di Tuscania realizzarono i “bagni”, utilizzando proprio le acque calde e sulfuree del torrente. Gli anziani ricordano che da giovincelli, andavano all’Acquaforte prima a bere l’acqua e poi a fare il bagno nella piscina sulfurea, ricavata pochi metri dalla sorgente di acque sulfuree.
Alcune epigrafi, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Tuscania, ci permettono di conoscere i nomi di individui che hanno esercitato la magistratura con il titolo di quattuor vir iure dicundo, la massima autorità del municipio.
Santa Maria del riposo sede del Museo Nazionale Archeologico Etrusco di Tuscania
Dopo la conquista romana gli aristocratici etruschi si comportano da conservatori. I pochi personaggi sicuramente conosciuti di quest’epoca ostentano posizioni conservatrici, dal volterrano Aulo Caecina difeso, con il discorso giudiziario pronunciato dall’oratore romano Marco Tullio Cicerone poiché alleato di Pompeo, e conoscitore dell’arte aruspicina etrusca, a Tanusio Gèmini, forse di Chiusi, per l’accusa di aver partecipato alla congiura senatoria per l’assassinio di Giulio Cesare, fino a Silicius Curunas di Tuscania, unico giurato a votare per l’assoluzione degli uccisori di Giulio Cesare: Silicius Corona appartiene all’antica famiglia Curunas, che non solo domina in Tuscania ancora nel I sec. a.C. ma riesce anche ad inserire qualche suo membro negli ambienti politici di Roma, grazie al conseguimento della cittadinanza romana, e questo evidenzia la potenza politica e diplomatica dei Curunas.
Particolare del sarcofago Curunas
La pace augustea è il grande momento per i residui campioni rimasti dell’oligarchia etrusca.
I1 senato di Roma tra Cesare Ottaviano Augusto e Nerone riceve un esiguo numero di famiglie, che verranno premiate via via con l’onorificenza a consoli del Senatus Popolusque Romanus poiché Volterra, Perugia, Tuscania, Ferentum e Tarquinia forniranno solo senatori di origine etrusca: di moltissimi di costoro conosciamo le tombe che risalgono al IV secolo a.C., come quelle della dinastia dei Curunas, prodomi dei conti di Tusculum rientrando tra gli Optimates nel VII sec. d.C..
Strutture di epoca romana si sovrappongono ai precedenti insediamenti, così come si nota dai ritrovamenti archeologici di una domus di età augustea, tracce di opere idrauliche e abitative di età imperiale, conosciute come i “Bagni della Regina”.
Cunicolo interno della Tomba della Regina
Gli scavi degli speleologi e degli archeologi, escludendo che i cunicoli fossero utilizzati solo ed unicamente per funzioni idriche per la raccolta di acque solforose e calde da convogliare poi nei condotti dell’ipogeo della Regina per gli evidenti dodici cunicoli intersecantisi gli uni con gli altri con l’obiettivo di riempire la grande vasca di purificazione “battesimale”, per una estensione sotterranea che ricopre circa 300 mq, hanno fatto sì che si ammettesse la sacralità dell’ipogeo della Regina costituito, nella parte superiore da un dromos che raggiunge un’ampia camera di pianta irregolare con due pilastri al centro, fosse un luogo dedicato a divinità autoctone etrusche nella fattispecie riferente alla Madre Terra, la Mater Matuta, Gea greca, Tellus romana, Semele etrusca, attraverso le cui manifestazioni si poteva comprendere il volere degli dei. Gli archeologi e gli studiosi di etruscologia affermano che l’ipogeo della Regina è da considerarsi un vero e proprio santuario, è un luogo di culto primitivo proprio perché caratterizzato da una particolare planimetria dei cunicoli. Poiché la Madre Terra etrusca, la Mater Matuta, era il riferimento al ciclo vitale di dodici mesi, legati ai riti della fertilità, riti che gli antichi etruschi conoscevano e praticavano utilizzando luoghi enigmatici e misteriosi, gli archeologi di etruscologia non ebbero più dubbi, era questo il santuario dei riti primordiali dove si conservava l’idolo della divinità raffigurata con dodici figliolanze, che rappresentava soprattutto la catena delle esistenze, ed accoglieva sia le nascite sia i defunti, era legata ai riti di rinascita che venivano svolti nel mese di settembre e, come la nostra via crucis, gli adepti seguivano le stazioni di preghiere che comprendevano la nascita, la morte e la resurrezione. Suggestiva è l’ipotesi che lo scendere nell’ipogeo, esattamente come avviene nella cripta della Chiesa di San Pietro, rappresenti lo scendere ad inferos ovvero nell’antro buio e misterioso dal quale si esce a riveder la luce in cui il percorso dei labirinti non è altro che il percorso per la conoscenza di sé stessi e di conseguenza dell’Universo intero.
Ingresso tegolato alla Grotta della Regina
I recenti studi effettuati nell’area, in località Grotta della Regina, evidenziano potenzialità archeologiche, pari ai nuovi scavi di Pompei. Eppure la direzione del Museo Gregoriano si fregia del ritrovamento nel 1834 della statua fittile, detta dell’Adone morente, che venne rinvenuta nei pressi della Via Clodia, a poca distanza da Tuscania.
Adone morente di Tuscania
Adone è sdraiato su una klìne drappeggiata è ferito sulla coscia sinistra, nudo eccetto per gli stivali e per il mantello che vela il capo. Il giovane eroe divinizzato, conteso tra Afrodite e Persefone, muore per la ferita provocatagli da un cinghiale, nelle cui sembianze era forse lo stesso Ares ingelosito. Adone, deriva il nome greco dall’appellativo fenicio Adon, Signore; nel suo periodico avvicendarsi tra Afrodite e Persefone, incarna simultaneamente le forze produttrici della natura legate ai cicli stagionali. Nelle Adonie di Atene, in occasione del solstizio d’estate, prevaleva il carattere del compianto poi trasportato nella tomba, pianto e declamato intorno al simulacro del dio.
Il suggestivo riferimento simbolico ad Adone, la cui morte e successivo ritorno alla vita erano temi di solenni celebrazioni sia a Biblo in Fenicia, sia nell’Etruria di età ellenistica con riti, miti e simbologie provenienti dalla Grecia e dall’oriente ellenizzato, che si combinano con la complessa visione religiosa dell’oltretomba etrusco.
Nel 400 d.C. ci furono le invasioni barbariche; nel 574 Tuscania venne occupata da re Alboino, il longobardo, e fu centro fiorente nel Medioevo fino a divenire la sede episcopale di riferimento dell’Alto Lazio. Fa fede a questo il fatto che tra le dodici chiese siano rimaste in ottimo stato solo le due chiese di Santa Maria Maggiore e di San Pietro. I longobardi, furono i padroni per circa due secoli di tutta l’area.
Il sito collinare riprese a popolarsi nell’VIII secolo con il rifiorire delle attività e con la ristrutturazione di nuove abitazioni e nell’XI secolo con l’edificazione della suggestiva basilica di San Pietro, a tre navate: la navata centrale, che è anche la più antica, è impreziosita da un pavimento cosmatesco a decorazioni geometriche e divisa dalle altre due da un muretto su cui sono stati ricavati dei sedili in pietra. La maggior parte degli affreschi e delle pitture è andata perduta. Notevole la cripta a sala divisa da ventotto colonne di ripiego provenienti da edifici romani o medievali che sostengono la copertura divisa in piccole volte a crociera. Insieme alla basilica venne edificata la fortificazione muraria ecclesiastica.
È da ritenersi Tuscania un importante centro etrusco spirituale.
Porta di Tuscania
Il nucleo antico di Tuscana si è formato sull’arce, nominato colle del Sole, contrapposto al centro spirituale dell’ipogeo della Regina, santuario dedicato alla dea etrusca Semle, Selene, madre di Dioniso ovvero, la Luna.
Sul colle del Sole conosciuto poi come colle di San Pietro, vennero edificate due basiliche, Santa Maria Maggiore, collocata in basso ed orientata al solstizio di inverno, e la basilica di San Pietro, in sommità del colle, orientata al solstizio di estate; una alla base del colle, l’altra sulla sommità. Il passaggio da una chiesa all’altra equivaleva ad un percorso ascensionale della liturgia.
San Pietro sul Colle del Sole
Le chiese doppie, venivano utilizzate nell’area mediterranea tra il IV e il V secolo, con il compito di scenario per le rappresentazioni sacre della liturgia pasquale. Il borgo di Tuscania, rispettando una antica tradizione, celebra la Passione di Gesù Cristo con una solenne processione la sera del Venerdì Santo che trasporta per le vie del paese l’immagine dell’Addolorata seduta sotto la croce, ai piedi del Cristo morto. La processione parte dalla Chiesa di San Giovanni Decollato in Piazza Matteotti, mentre le finestre e i balconi delle case sono illuminati e gremiti di persone.
Chiesa di San Giovanni decollato
La processione si apre con i penitenti incappucciati e vestiti con lunghe tuniche bianche, che trasportano i simboli della Passione, con alle caviglie pesanti catene. Poi seguono le donne, vestite di nero, con il volto coperto da un velo, che portano in mano le candele. Segue la banda musicale e infine il clero. Sostenuta dagli Araldi sul trono di luci, è la Madonna Addolorata che terminata la cerimonia, rientra nella chiesa di San Giovanni decollato.
Santa Maria maggiore con i quattro simboli degli Evangelisti
La basilica di Santa Maria Maggiore, edificata alle pendici del colle di San Pietro, fu consacrata il 6 ottobre 1206. Architettonicamente, si notano sovrapposizioni di stili e derivazioni che rendono difficile anche stabilirne l’effettiva datazione. Distanziata dalla chiesa si fa notare la tozza torre campanaria di cui restano il basamento e due ordini di finestre: la sua costruzione risale al XII secolo anche se alcuni suoi elementi e determinate caratteristiche, come per esempio la collocazione in fronte alla facciata e la sproporzione delle misure, ne anticiperebbero la data di costruzione. Sulla facciata principale si aprono tre portali finemente decorati: quello centrale è realizzato in marmo bianco e fiancheggiato da due colonne con due leoni, seguono le quattro colonne in marmo bianco, e le figure di Pietro e Paolo scolpite negli stipiti. Nella parte superiore si sviluppa la loggia a dieci arcate e il ricco rosone con due ordini di dodici colonne ai cui angoli si scorgono quattro sculture in marmo bianco, incastonate nei blocchi tufacei, simboli dei quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni: un Angelo, un leone, un toro e un’aquila.
Interno della chiesa di S. Maria maggiore
L’interno, a pianta basilicale con tetto a capriate, è a tre navate divise da sei campate. Tra gli elementi più interessanti c’è l’abside, percorsa da un affresco duecentesco di scuola romana con influssi bizantini raffigurante i Dodici Apostoli. La lettura filosofica e religiosa presenta Santa Maria Maggiore posizionata nel basso del colle, è il sole bambino che con Maria, madre matutina, accoglie i fedeli al sorgere del sole. Durante il solstizio di inverno il sole, al suo lento salire in alto nel cielo, illumina con i suoi raggi l’altare e il trono episcopale dando così modo per compiere l’investitura divina del vescovo. In San Pietro, sulla sommità del colle, la salita del sole in cielo e la vittoria della luce nel compimento del solstizio d’estate. Cristo pantocratore è circondato da Angeli e ha in mano il mondo.
Sacro cammino iniziatico, che dal basso con il Sole bambino nel solstizio di inverno, raggiunge il massimo dello splendore nel solstizio d’estate, manifestando il Solstizio Eterno. Sull’abside della basilica di San Pietro è rappresentata l’Ascensione, cosa insolita per le chiese medievali. L’osservatore vive l’Ascensione dall’interno, e non solo come spettatore: Ego sum Lux Mundi.
Il colle di San Pietro può essere considerato il colle del Sole, il Colle della Luce, ed è per questo che sulla facciata della basilica di San Pietro, una decorazione rappresenta il Sole trinitario che oscura il Vultus Trifrons pagano.
Arco del XVI secolo nella chiesa di Sant’Agostino
Nel XIII secolo, 1200, si assiste alla diffusione dell’attività costruttrice di abitazioni del libero comune che arriveranno fino al colle di Rivellino dove ancora oggi si ammirano resti archeologici dell’antico Palazzo Comunale costruito tra gli anni ghibellini 1253 – 1263, con il Bargello e la sottostante basilica di Santa Maria Maggiore, presso la quale venne rinvenuto lo specchio etrusco.
Specchio con immagini di un rito etrusco
Lo specchio fu prestato e venne esposto al Museo Archeologico di Firenze, di ottima fattura ma soprattutto con una rara immagine di una divinità etrusca, Velth, Vertumnus, dio che assiste a un rito di aurispicina del giovane Tarconte, colui che governerà la città etrusca. Questo ritrovamento ha fatto pensare a molti archeologi che potesse indicare la presenza in questi luoghi del centro di raduno delle lucumonie etrusche. Attribuzione che ogni luogo della Tuscia tende a darsi così come recenti scavi nel territorio di Orvieto e conseguenti risultanze fanno pensare che lì nella piana sottostante l’arce della basilica di Santa Maria Maggiore di Tuscania, fosse la sede del Fanum Voltumnae ovvero, il grande santuario federale degli Etruschi, raggiunto annualmente dalla popolazione della Tuscia, unico momento in cui la confederazione etrusca si riconosceva nazione. Tutti gli studiosi di etruscologia discutono sull’ubicazione del Fanum Voltumnae, poiché nessuno ha la più pallida idea di dove si trovasse anche se supposizioni riguardevoli portano in quest’area tanto invidiata. Questo posto doveva essere raggiunto dalla gens etrusca almeno una volta nella loro vita. Era la Mecca etrusca!
Resti archeologici a Tuscania dell’ipotetico Fanum Voltumnae
Tuscania aveva un teatro del 1700 che andò distrutto, a causa di un crollo, nel 1954. Il nuovo teatro si basa su un progetto degli anni Sessanta, rivisitato nel 1992 per rispondere alle nuove normative e per allargare il palco e la funzionalità delle macchine di scena. Il nuovo teatro Rivellino, prende il nome da un resto delle mura della città.
Vista dal Rivellino, antica fortificazione
Le vicende storiche si intrecciano con episodi di intolleranza contro le egemonie di signorie guidate da: Paolo Orsini, Angelo di Lavello Tartaglia, Francesco Sforza ed a questi si contrappose la spada del nipote del cardinale Giovanni Vitelleschi ovvero, Bartolomeo Vitelleschi che nel 1443 restituì la città al potere della Chiesa, e la Chiesa lo ricompensò il 21 luglio del 1449, accogliendolo di nuovo nel serto ecclesiastico dopo la sua rinuncia esplicita fatta il 14 luglio 1449, e consegnata a papa Niccolò V, al secolo Tomaso Parentucelli, duecentottavo papa eletto nel 1447, per il suo passato scismatico. Il papa, lo stesso anno, gli affidò nuovamente la diocesi di Corneto e Montefiascone. L’assedio di Tuscania ed il saccheggio nel 1495 delle truppe francesi di Carlo VIII decretò il definitivo abbandono del colle. L’abitato si consolidò nelle nuove postazioni del Cinquecento che si arricchirono di palazzi nobiliari, di chiese e di monumenti, sotto la definitiva protezione dello Stato della Chiesa e dei suoi papa re.
È di quegli anni la riscoperta e la valorizzazione delle origini etrusche e dei rituali distinti tra la vita e la morte. Le necropoli assurgono alla filosofia della rinascita: la più celebre è la Madonna dell’Olivo, piccolo santuario, dove le tombe di ricchi funzionari di Tuscania vennero allineate per propiziarsi la protezione della Madre celeste.
Necropoli della Madonna dell’Olivo
Questo tempio, riveste particolare importanza nella fede cristiana dei tuscanesi in quanto è qui che, il martedì successivo al Lunedì dell’Angelo, si celebra la messa, permettendo l’ingresso al mausoleo, normalmente chiuso. Il tempio, dalle caratteristiche architettoniche greche, è a poca distanza dal centro urbano, nel costone sulla vallata del Marta, si articola su tre gradoni con monumenti funerari riferibili all’età ellenistica.
Uno degli ingressi alle sepolture dei Curunas
I più rilevanti sono le sepolture della famiglia Curunas, il Sarcofago delle Amazzoni e la Grotta della Regina.
Sarcofago delle Amazzoni
Le facciate monumentali in tufo grigio erano adornate da leoni rampanti dei quali tre, in nefro, sono rimasti e sono in mostra nel Museo Nazionale Archeologico di Tuscania.
Nella Grotta della Regina è la tomba
La Grotta della Regina è similare alla tomba di Porsenna a Chiusi ed è caratterizzata da una fitta serie di labirinti con una trentina di cunicoli.
Un’antica leggenda narra della giovane Regina Hosha, la regina dell’antico popolo degli Hosci, che venne immortalata in un rilievo colorato scoperto nel 1842 dall’archeologo, critico d’arte etrusca, committente, viceconsole d’Inghilterra, scrittore George Dennis(1814-1898), antesignano di Vittorio Sgarbi, amico di Vincenzo Campanari, ospite nel suo palazzetto a Tuscania. L’archeologo inglese,visitò la Grotta rimanendo affascinato da quanto visto; in quella occasione parlò di un dipinto rinvenuto sulle pareti che rappresentava un volto di donna incorniciato da capelli dorati che, secondo la tradizione popolare, raffigurava la Regina Hosha, che disperata dalla morte del suo giovane amore, si gettò dal ponte di pietra, annegando nel fiume Larthe.
Il fiume Larthe, il Marta, era attraversato da ponti etruschi
Nelle adiacenze della Grotta della Regina, si aprono le sepolture dei Curunas che gli archeologi, negli anni Sessanta, hanno mostrato al pubblico con i defunti raffigurati a banchetto sui coperchi. È proprio nell’ipogeo della Regina che sono stati rinvenuti 21 sarcofagi, mentre nella necropoli suddivisa in tre gradoni tornarono alla luce 38 sarcofagi appartenenti a sette generazioni dei Curunas, dal 340 al 100 a.C., tra cui il Sarcofago delle Amazzoni, purtroppo arrivato a noi privo di coperchio ma decorato su tutti e quattro i lati: tre scene di Amazzonomachia ed una scena di lotta tra animali.
Particolare del sarcofago delle Amazzoni
Il Sepolcro di Pian della Mola, a nord est del colle di San Pietro, detto anche colle del Sole, sul fosso del Maschiolo, con una imponente sfilata di tombe rupestri, alcune delle quali a forma di casa con tetto a due falde, è riferibile al VI secolo a.C..
Di eccezionale interesse è la tomba a casa preceduta da portico a quattro colonne ioniche e fastosamente decorata con elementi scultorei.
Ingresso alla tomba dei Treptie a pian di Mola
Il complesso accoglie la tomba dei Treptie, risalente al II secolo a.C..
Disegno di Samuel James Ainsley dell’interno di una tomba a Tuscania
Sul fronte opposto, la necropoli della Peschiera conserva apparati architettonici del periodo arcaico ellenistico come le tombe a casa di tipo rupestre con tetto displuviato, frutto di una committenza di medio ceto sociale; notevole la tomba del Dado.
Tomba del Dado scolpita direttamente nel tufo, chiamata “Dado” poiché gli archeologi trovarono un dado nel suo interno, simbolo del destino
Eguale struttura si riscontra nel complesso funerario dell’Ara del Tufo, adiacente alla Madonna dell’Olivo, che presenta altresì, modelli di tombe a tumulo.
Accanto alla chiesa di Santa Maria del Riposo, ricca di pitture cinquecentesche, sorge l’ex convento francescano, attualmente adibito a Museo Archeologico Nazionale Etrusco.
Una vetrina al Museo Archeologico Etrusco a Tuscania
Nelle quattro sale del pianterreno e nelle otto al piano superiore si possono ammirare i reperti delle tombe etrusche delle necropoli Madonna dell’Olivo e Carcarello, con una interessante raccolta di sarcofagi e suppellettili che ben rappresentano lo stile di vita e i costumi di questa zona dell’Etruria, nei secoli IV e III a.C.. Non mancano ritrovamenti più recenti, soprattutto provenienti dalle zone di Pian di Mola e Ara del Tufo e che si riferiscono al periodo tra il VIII a.C. e la piena età romana.
Il Museo Archeologico di Tuscania, allestito nel già Convento della Madonna del Riposo, costruito dai benedettini nel XIV secolo sui resti di un primitivo cenobio francescano e successivamente rifatto nel XV secolo al tempo in cui era abitato dai padri carmelitani e successivamente occupato dai frati francescani, ospita i corredi delle sorprendenti necropoli di Tuscania. Il chiostro è arricchito da affreschi del Seicento sulla storia della Vita di San Francesco. Nelle quattro sale sono conservati gli arredi tombali delle famiglie Curunas e Vipinana. La collezione comprende numerosi sarcofagi in terracotta (II-I secolo a.C.), sarcofagi etruschi in nenfro il tufo vulcanico compatto grigio scuro, utilizzato come pietra da costruzione per tutta l’epoca etrusca, corredi funerari e una raccolta di ceramiche (dal XII al XVII secolo) recuperata durante i lavori di restauro delle case medievali di Tuscania.
Nella prima sala si ammirano i Sarcofagi Curunas risalenti al 320 a.C.. Gli uomini e le donne, dalle espressioni sorridenti con i corpi semisdraiati a banchetto, appaiono come se stessero in una sala da pranzo a loro familiare. Tra i corredi funerari sono di pregevole esecuzione uno stamnos falisco con raffigurazioni di Afrodite e un elmo di bronzo del IV secolo a.C.
Nella seconda sala, altri Sarcofagi Curunas comprendono cinque generazioni dal 310 al 190 a.C.; il più antico è quello di una defunta supina, avvolta in un mantello. Nella teca sono apprezzabili alcune maschere fittili, statuette di attore e due specchi con scene mitologiche.
Nella terza sala è il raffinato Sarcofago delle Amazzoni.
Nella quarta sala sono riuniti i sarcofagi della famiglia Vipinana relativi al periodo che va dal 310 al 170 a.C.. Al piano soprastante seguono le altre stanze. La parte nuova del Museo recentemente restaurato e ingrandito accoglie i ritrovamenti della necropoli di Gaudocinto dove gli scavi effettuati nel 2005 hanno portato alla luce grandi tumuli con camere funerarie decorate da lastre fittili del tipo dell’Acquarossa vicino Viterbo. Tra le decorazioni architettoniche delle case, spiccano tre raffinati gruppi scultorei in nenfro similari a sculture di Vulci, che raffigurano giovani che cavalcano ippocampi.
Nel 1971, il 6 febbraio, a Tuscania ci fu un tremendo terremoto, 4.46 della scala Richter, che provocò 31 vittime. Arrecò ingenti danni al patrimonio urbanistico e artistico della città. L’attuale centro storico di Tuscania, che si estende nel piano sottostante del colle di San Pietro, seppur mirabilmente restaurato, ha visto un progressivo e inarrestabile spopolamento degli abitanti verso le aree periferiche, fuori delle mura castellane. I turisti ancora oggi si trovano a percorrere un quartiere musealizzato, fatto di antiche chiese, aristocratici palazzetti, vicoli, archi, torri, portali, scale esterne chiamate profferli, fontane che si illuminano di improvvisi squarci di paesaggio campestre sui colli di San Pietro e Rivellino.
Serie di sarcofagi rinvenuti da Vincenzo Campanari e figli
Notevoli i panorami osservati dal Belvedere, da piazza Tor di Lavello e dal Monastero di San Paolo. Suggestivo è attraversare le porte di Poggio Montascide e di San Marco che si aprono lungo le mura tardo-medioevali ricche di torri e singolari elementi architettonici. La piazza del Duomo, al cui centro è la fontana grande a vasca barocca, ed è questo che un tempo era considerato il centro di tutta la comunità di Tuscania.
Cattedrale di San Giacomo e fontana grande
Su questa piazza si affacciano eleganti palazzi d’impronta nobiliare e la Cattedrale di San Giacomo, del 1563, dove il Rinascimento esternamente ha la sua gloria architettonica mentre nel suo interno si avvertono gli influssi dirompenti delle profonde trasformazioni del Settecento; il campanile venne ideato e costruito nel 1781 dall’architetto di Viterbo, Domenico Lucchi. Il duomo custodisce un pregevole tabernacolo marmoreo del Quattrocento, un polittico di scuola senese di Andrea di Bartolo del XIV secolo, un San Bernardino di Sano di Pietro del XV secolo ed un trittico quattrocentesco di Francesco d’Antonio Zacchi detto il Balletta. A piazza Bastianini, è il Museo d’Arte Sacra, in locali attigui alla cattedrale di San Giacomo e presenta paramenti sacri, argenti, pissidi e ostensori, oltre a pregevoli miniature e volumi dell’Archivio capitolare che vengono esposti in occasioni di mostre. Notevole è la Chiesa di Santa Maria delle Rose, di architettura romanica lombarda, fiancheggiata da un campanile a base quadrata. Nell’interno, a tre navate, si nota una poderosa ancona lignea di Giulio Pierino d’Amelia del 1581.
Del XIV secolo è la Chiesa di San Marco i cui restauri hanno riportato alla luce alcuni affreschi del 1300 come l’Annunciazione, una Madonna con Bambino, un Santo Vescovo.
Tra le altre chiese del centro storico si segnalano quella di San Silvestro del XIV secolo e ricostruita nel Seicento, mantenendo intatto l’affresco trecentesco dell’Albero della Vita. La chiesa di San Francesco, con la cappella De Sparapane che conserva un notevole affresco quattrocentesco della Crocifissione.
Palazzetto medioevale con balconata
La serie di Palazzi Nobiliari, restaurati subito dopo il terremoto del 1971, portano il nome di famiglie dell’aristocrazia tuscanese. Palazzo Fani, in via della Libertà 24, mostra nel salone di rappresentanza, prestigiosi affreschi interni.
Salone degli eventi di Palazzo Fani
A seguire, Palazzo Maccabei, Spagnoli, Campanari che è riconoscibile per alcuni coperchi di sarcofagi allineati sul muro di cinta. Appoggiato al palazzetto del Comune di Tuscania è la Chiesa dei Santi Martiri, Secondiano, Valeriano e Marcelliano, patroni di Tuscania, edificata nell’Ottocento, e la Chiesa di Santa Croce con l’affresco trecentesco che raffigura la Salita di Cristo al Calvario, oggi adibita a sala per conferenze con annessi gli ambienti della Biblioteca Comunale. Personaggio del secolo scorso che visse a Tuscania dal 1902 al 1996, fu il pittore, poeta e saggista Giuseppe Cesetti, la collezione del quale è ospitata nel castello di Montebello.
Tra le molteplici trattorie si distingue Kyathos, in via della Rocca 31.
Ambiente accogliente e familiare grazie alla disponibilità dei proprietari
La trattoria Kyathos, offre piatti della tradizione tuscanese oltre al Tagliolino cacio e pepe e tartufo; ai Lombrichelli Curunas; alla Carbonara Etruska con guanciale, uova & ricotta; oltre alla Trota del Larthe con insalata di patate condita con odore d’aglio, olio e prezzemolo; arrosti vari tra pesce, pollo, manzo e contorno, con opzioni alimentari di piatti Vegani, Vegetariani, Affettati, Formaggi vari, Kyathos offre la sorpresa della Regina.
Tavolata al Kyathos in tempi no covid
Per concludere è qui il Dolce della Regina Hosha, sbriciolata con ricotta e visciole, e panna a richiesta.
Giuseppe Lorin