Ancora una volta sugli organi di stampa si riapre la polemica sul versamento dell’ICI/IMU da parte delle strutture della Chiesa Cattolica.
Il fine è quello di dimostrare che la Chiesa Cattolica godrebbe di una sorta di privilegio.
Nulla di più falso e per ristabilire la verità riproponiamo la circolare del Ministero delle Finanze del 26/01/2009 invitando tutti a dare massima pubblicità.
Naturalmente nessuna norma nega ai poteri dello stato (agenzia delle entrate, asl, etc.) di effettuare i necessari e doverosi accertamenti per prevenire o eliminare eventuali abusi.
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CIRCOLARE 26 GENNAIO 2009, N. 2 / DF DEL MINISTERO DELLE FINANZE
(DIREZIONE FEDERALISMO FISCALE)
Imposta comunale sugli immobili (ICI). Art. 7, comma 1, lettera i),
del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Esenzioni. Quesiti.
Pervengono alla scrivente numerosi quesiti in ordine all’applicazione dell’esenzione in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i) del D.L.gs. 30 dicembre 1992, n. 504, sulla quale si forniscono le seguenti precisazioni.
1. IL QUADRO NORMATIVO.
L’art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 504 del 1992, riconosce l’esenzione dall’ICI a “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lettera a), della l. 20 maggio 1985, n. 222”.
Occorre, inoltre, precisare che, a norma del comma 2 dell’art. 7 in questione l’esenzione “spetta per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte”.
Il quadro normativo di riferimento deve essere completato con il comma 2-bis dell’art. 7 del d.l. n. 203 del 2005 – come riformulato dall’art. 39 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – in base al quale “l’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.
Si rende, pertanto, necessario precisare in modo puntuale quando le attività indicate dalla norma di esenzione siano svolte in maniera non esclusivamente commerciale e, conseguentemente, le ipotesi nelle quali gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali possano considerarsi esenti da ICI.
2. I REQUISITI RICHIESTI PER IL RICONOSCIMENTO DELL’ESENZIONE.
La suddetta esenzione deve essere riconosciuta quando ricorrono contemporaneamente:
•un requisito di carattere soggettivo, rappresentato dal fatto che l’immobile deve essere utilizzato da un ente non commerciale di cui all’art. 73 (ex art. 87), comma 1, lettera c) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR);
•un requisito di carattere oggettivo, in base al quale gli immobili utilizzati devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente elencate dalla norma e dette attività non devono avere esclusivamente natura commerciale.
3. IL REQUISITO SOGGETTIVO.
Per quanto riguarda il requisito soggettivo, occorre precisare che l’art. 73, comma 1, lettera c), del TUIR, fornisce la nozione di enti non commerciali, individuandoli negli “enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.
La norma in esame prevede, dunque, che nell’ambito degli enti non commerciali possono essere compresi:
•gli enti pubblici, vale a dire gli organi e le amministrazioni dello Stato; gli enti territoriali (comuni, consorzi tra enti locali, comunità montane, province, regioni, associazioni e enti gestori del demanio collettivo, camere di commercio); le aziende sanitarie e gli enti pubblici istituiti esclusivamente per lo svolgimento di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie; gli enti pubblici non economici; gli istituti previdenziali e assistenziali; le Università ed enti di ricerca; le aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB);
•gli enti privati, cioè gli enti disciplinati dal codice civile (associazioni, fondazioni e comitati) e gli enti disciplinati da specifiche leggi di settore, come, ad esempio: le organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266); le organizzazioni non governative (legge 26 febbraio 1987, n. 49, art. 5); le associazioni di promozione sociale (legge 7 dicembre 2000, n. 383); le associazioni sportive dilettantistiche (art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289); le fondazioni risultanti dalla trasformazione degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate (D.Lgs. 23 aprile 1998, n. 134); le ex IPAB privatizzate (a seguito, da ultimo, dal D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207); gli enti che acquisiscono la qualifica fiscale di Onlus (D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460). Occorre precisare che nell’ambito degli enti privati non commerciali vanno ricompresi anche gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti secondo le previsioni dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense (legge 25 marzo 1985, n. 121 per la Chiesa cattolica) e delle intese tra lo Stato italiano e le altre confessioni religiose (ad esempio: legge 11 agosto 1984, n. 449, per la Tavola valdese; legge 22 novembre 1988, n. 516, per l’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno; legge 22 novembre 1988, n. 517, per le Assemblee di Dio in Italia – ADI; legge 8 marzo 1989, n. 101, per le Comunità ebraiche italiane; legge 12 aprile 1995, n. 116, per l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia – UCEBI; legge 29 novembre 1995, n. 52 per la Chiesa evangelica luterana d’Italia-CELI).
4. L’UTILIZZAZIONE DELL’IMMOBILE.
L’art. 7, comma 1, lettera i), del D. Lgs. n. 504 del 1992, come già illustrato, riconosce l’esenzione agli immobili “utilizzati” dagli enti non commerciali.
E’ necessario rammentare che l’art. 59, comma 1, lett. c), del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, riconosce ai comuni la possibilità di stabilire con regolamento che l’esenzione in questione “si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”.
Al riguardo la Corte Costituzionale con le ordinanze n. 429 del 19 dicembre 2006 e n. 19 del 26 gennaio 2007, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 59, comma 1, lettera c), del D. Lgs. n. 446 del 1997 per violazione degli artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione, ha affermato che detta norma non innova la disciplina dei requisiti soggettivi richiesti dall’art. 7, comma 1, lettera i), del D. Lgs. n. 504 del 1992, in quanto l’esenzione deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività ivi elencate.
L’art. 59, comma 1, lettera c), pertanto, ha il solo scopo di attribuire ai comuni, in deroga a quanto previsto all’art. 7, comma 1, lettera i), del D. Lgs. n. 504 del 1992, la facoltà di stabilire unicamente che l’esenzione in questione si applichi soltanto ai fabbricati, escludendo dall’agevolazione le aree fabbricabili ed i terreni agricoli.
5. IL REQUISITO OGGETTIVO.
Affinché venga rispettato il requisito oggettivo richiesto dall’art. 7, comma 1, lettera i) del D. Lgs. n. 504 del 1992, occorre che gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali devono essere in concreto destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività:
•assistenziali;
•previdenziali;
•sanitarie;
•didattiche;
•ricettive;
•culturali;
•ricreative;
•sportive;
•indicate dall’art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, vale a dire le attività di religione e di culto, che sono “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”.
Bisogna innanzitutto sottolineare che ai fini del riconoscimento dell’esenzione la Corte di Cassazione in varie sentenze (Cfr.: sentenze n. 10092 del 13 maggio 2005, n. 10646 del 20 maggio 2005) ha affermato che non rileva l’attività indicata nello statuto dell’ente, anche se rientrante tra quelle agevolate, ma l’attività effettivamente svolta negli immobili. Infatti, la lettera della norma implica che l’esenzione può essere riconosciuta solo se correlata all’esercizio, effettivo e concreto, nell’immobile di una delle attività indicate nella norma agevolativa.
Peraltro, è opportuno aggiungere che la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5485 del 29 febbraio 2008, ribadendo quanto già affermato nelle sentenze n. 20776 del 26 ottobre 2005 e n. 23703 del 15 novembre 2007, ha sostenuto che “la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale”.
Occorre, inoltre, verificare che ogni immobile sia utilizzato totalmente per lo svolgimento delle particolari attività richiamate dalla norma di esenzione. Ciò comporta che l’esenzione non può essere riconosciuta nei casi in cui l’immobile sia destinato, oltre che ad una delle attività agevolate, anche ad altri usi (Cfr. fra tutte: Corte di Cassazione sentenze n. 5747 del 16 marzo 2005 e n. 10092 del 13 maggio 2005).
La norma di esenzione, infatti, è di stretta interpretazione, per cui, secondo la Suprema Corte, non può essere applicata al di fuori delle ipotesi tipiche e tassative in essa indicate. Pertanto, laddove “sia risultato accertato in fatto che, benché la destinazione sociale dell’ente soggettivamente esente, rientri nel paradigma della norma agevolativa, ma in concreto si associ ad essa attività diversa, non contemplata, l’esenzione non può essere riconosciuta, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche d’interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile” (Corte di Cassazione sentenza n. 10646 del 2005).
In tal senso si era già espresso il Consiglio di Stato il quale, nel parere n. 266 del 18 giugno 1996, aveva sostenuto che “ove si tratti … di un intero immobile destinato solo in parte, seppure prevalente, alle finalità favorite dalla legge, il carattere restrittivo della ripetuta norma che richiede l'”esclusività” della destinazione, impedisce comunque l’attribuzione della agevolazione fiscale”.
Occorre a questo punto soffermarsi sulla disposizione del comma 2-bis dell’art. 7 del
d.l. n. 203 del 2005, in base alla quale l’esenzione “si intende applicabile alle attività… che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.
E’ necessario innanzitutto sottolineare che un’attività o è commerciale, o non lo è, non essendo possibile individuare una terza categoria di attività.
Pertanto, se non è possibile individuare attività qualificabili come “non esclusivamente di natura commerciale”, si può sostenere che quest’ultimo inciso debba essere riferito solamente alle specifiche modalità di esercizio delle attività in argomento, che consentano di escludere la commercialità allorquando siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale sottese alla norma di esenzione.
Infatti, la combinazione del requisito soggettivo e di quello oggettivo comporta che le attività svolte negli immobili ai quali deve essere riconosciuta l’esenzione dall’ICI non siano di fatto disponibili sul mercato o che siano svolte per rispondere a bisogni socialmente rilevanti che non sempre sono soddisfatti dalle strutture pubbliche e che sono estranee alla sfera di azione degli operatori privati commerciali.
Ciò è particolarmente evidente per le attività svolte in regime concessorio o in convenzionamento e/o accreditamento con l’ente pubblico, in quanto si tratta di attività inserite in maniera completa ed esclusiva nel servizio pubblico gestito direttamente da un’istituzione pubblica.
L’esenzione in esame, infatti, trae la sua giustificazione, da un lato nella “meritevolezza” dei soggetti e delle finalità perseguite, e, dall’altro, nella rilevanza sociale delle attività svolte.
6. LE ATTIVITÀ PREVISTE DALLA NORMA DI ESENZIONE.
Sulla base di questo inquadramento giuridico, appare opportuno, anche al fine di orientare l’attività dei comuni e dei contribuenti, effettuare una mera ricognizione dell’ambito di riferimento normativo vigente che consenta di individuare le attività meritevoli di usufruire del regime di favore in materia di ICI.
A) LE ATTIVITÀ ASSISTENZIALI
Le attività assistenziali sono quelle riconducibili alle attività previste dall’art. 128 del
D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, secondo il quale per “servizi sociali si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”.
Bisogna, inoltre, tener conto della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e cioè la legge 8 novembre 2000, n. 328, che all’art. 1, comma 4, dispone che gli enti locali, le regioni e lo Stato “riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Il successivo comma 5 prevede che alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono:
•soggetti pubblici;
•organismi non lucrativi di utilità sociale;
•organismi della cooperazione;
•organizzazioni di volontariato;
•associazioni ed enti di promozione sociale;
•fondazioni;
•enti di patronato;
•altri soggetti privati.
Si intendono svolte con modalità non esclusivamente commerciali le attività convenzionate o contrattualizzate per le quali sono previste “rette” nella misura fissata in convenzione. Siffatta circostanza, infatti, garantisce uno standard di qualità e pone un limite alla remunerazione delle prestazioni rese, assicurando che tali prestazioni non siano orientate alla realizzazione di profitti.
Relativamente alle attività per le quali l’ente pubblico ad oggi non ha sviluppato un organico sistema di convenzionamento, la modalità di esercizio deve prevedere:
a) prestazioni gratuite o con compenso simbolico (es.: mensa per poveri);
b) prestazioni con rette, ma a condizione che l’attività non chiuda con un risultato
superiore al pareggio economico.
B) LE ATTIVITÀ PREVIDENZIALI
Le attività previdenziali sono quelle dirette all’esercizio di previdenza obbligatoria. Al riguardo la risoluzione del 25 giugno 1994, prot. n. 1242, ha precisato che “non possono farsi rientrare nell’ambito di applicazione della norma esonerativa in discorso gli uffici, siano essi amministrativi che tecnici, atteso che per essi non sussiste il delineato rapporto di stretta immanenza con lo svolgimento delle … attività” tassativamente indicate nell’art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 504 del 1992.
C) LE ATTIVITÀ SANITARIE
Le attività sanitarie sono quelle riconducibili nell’ambito disciplinato dal D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, dirette ad assicurare i livelli essenziali di assistenza definiti dal DPCM 29 novembre 2001.
Devono considerarsi svolte con modalità non esclusivamente commerciali le attività accreditate o contrattualizzate o convenzionate dalla regione e che, pertanto, si svolgono, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico; tale circostanza garantisce uno standard di qualità e pone un limite alla remunerazione delle prestazioni rese, assicurando che tali prestazioni non siano orientate alla realizzazione di profitti.
Ciò comporta che l’esenzione dall’ICI, non può essere riconosciuta alle strutture sanitarie non accreditate.
D) LE ATTIVITÀ DIDATTICHE
Le attività didattiche sono quelle disciplinate dalla legge 28 marzo 2003, n. 53, tra le quali rientrano, in generale, le attività che conferiscono titoli riconosciuti.
Ai fini dell’applicazione della norma di esenzione è necessario che:
•l’attività sia paritaria rispetto a quella statale; detta circostanza implica una serie di obblighi (ad esempio, l’accoglienza di alunni portatori di handicap, l’applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, l’obbligo di pubblicità del bilancio, le caratteristiche delle strutture e l’adeguamento a standards previsti) ed offre la garanzia del rispetto delle caratteristiche che la legge ritiene imprescindibili nell’insegnamento;
•la scuola adotti un regolamento che garantisca la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni. Il regolamento potrà prevedere criteri di selezione nel caso in cui le domande di iscrizione siano superiori alle disponibilità di posti, ma non potrà stabilire limiti all’accesso (ad esempio: l’esclusione degli alunni che non hanno conseguito una certa media);
•l’attività non debba chiudere con un risultato superiore al pareggio economico o che eventuali avanzi di gestione siano reinvestiti totalmente nell’attività didattica.
Da quanto esposto consegue che sono escluse dall’esenzione le scuole non paritarie, in quanto non offrono un servizio assimilabile a quello pubblico sotto il profilo dei programmi di studio e della significatività sociale, quelle non aperte a tutti alle medesime condizioni e quelle che non reinvestono totalmente gli eventuali avanzi di gestione nell’attività didattica.
E) LE ATTIVITÀ RICETTIVE
Nelle attività ricettive devono essere comprese la ricettività turistica non alberghiera e la ricettività sociale.
Dall’esame delle disposizioni che disciplinano la materia – in particolare la legge 21 marzo 1958, n. 326, che regola i complessi ricettivi complementari a carattere turistico-sociale, attuata con il D.P.R. 20 giugno 1961, n. 869; le disposizioni regionali sulla ricettività complementare o secondaria, che fissano le caratteristiche delle strutture, la tipologia dei gestori e la tipologia degli utenti – risulta che, per ottenere l’esenzione dall’ICI, devono sussistere le seguenti modalità di esercizio delle attività ricettive.
Per la RICETTIVITÀ TURISTICA sono richieste:
•l’accessibilità limitata, come regolata dalle prescrizioni delle leggi regionali; ciò avviene, in particolare, quando l’accessibilità non è rivolta ad un pubblico indifferenziato ma ai soli destinatari propri delle attività istituzionali (ad esempio: alunni e famiglie di istituti scolastici, iscritti a catechismo, appartenenti alla parrocchia, membri di associazioni);
•la discontinuità nell’apertura; proprio per la sua natura, l’attività ricettiva non deve, infatti, essere svolta per l’intero anno solare.
Per la RICETTIVITÀ SOCIALE (il cosiddetto housing sociale), è necessario che:
•le iniziative mirino a garantire soluzioni abitative per bisogni speciali (ad esempio: centri di accoglienza, pensionati per parenti di malati ricoverati in ospedali distanti dalle proprie residenze, comunità alloggio); si tratta di attività attraverso le quali gli enti rispondono al bisogno di sistemazioni abitative temporanee;
•le attività ricettive siano dirette a sostenere i bisogni abitativi di categorie sociali meritevoli (ad esempio: pensionati per studenti, per lavoratori precari, per stranieri e strutture simili) anche per periodi protratti nel tempo; si tratta, in sostanza, di attività caratterizzate dall’attenzione a situazioni critiche.
E’ indispensabile sottolineare che per entrambe le fattispecie è determinante anche l’entità delle cosiddette “rette”, che devono essere di importo significativamente ridotto rispetto ai “prezzi di mercato”.
In definitiva sono escluse dall’esenzione dall’ICI:
•le strutture alberghiere da chiunque gestite;
•le strutture, in possesso di autorizzazioni per “ricettività complementare”, che si comportano da albergo.
F) LE ATTIVITÀ CULTURALI
Nelle attività culturali a cui fa riferimento la norma di esenzione sono comprese quelle che rientrano nelle competenze del Ministero per i beni e le attività culturali, e cioè musei, pinacoteche e simili e, con riguardo all’ambito dello spettacolo, i cinema ed i teatri.
Per quanto attiene alle modalità di esercizio di dette attività occorre precisare che, al fine del riconoscimento dell’esenzione dall’ICI, negli immobili destinati ad attività museali, anche se a pagamento, non devono essere, però, svolte attività non museali di natura commerciale (come ad esempio: vendita di libri o di oggettistica nei book-shop, somministrazione di cibo e bevande nelle caffetterie).
Per l’attività dei cinema, l’esenzione deve essere riconosciuta ai locali con qualifica di “sala della comunità ecclesiale o religiosa” che l’art. 2, comma 10, del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 28, definisce come “la sala cinematografica di cui sia proprietario o titolare di un diritto reale di godimento sull’immobile il legale rappresentante di istituzioni o enti ecclesiali o religiosi dipendenti dall’autorità ecclesiale o religiosa competente in campo nazionale e riconosciuti dallo Stato. La relativa programmazione cinematografica e multimediale svolta deve rispondere a finalità precipue di formazione sociale, culturale e religiosa, secondo le indicazioni dell’autorità ecclesiale o religiosa competente in campo nazionale”.
L’esenzione dall’ICI deve essere, inoltre, riconosciuta alle sale cinematografiche in cui si proiettano esclusivamente film di interesse culturale; film d’essai; film riconosciuti di interesse culturale; film d’archivio; film ai quali sia stato rilasciato l’attestato di qualità; film inseriti nelle selezioni ufficiali di festival e rassegne cinematografiche di rilievo nazionale e internazionale; film per ragazzi, come definiti dall’art. 2, commi 5, 6 e 7 del citato D. Lgs. n. 28 del 2004.
Agli stessi fini esonerativi occorre valutare la circostanza che si tratti di attività cinematografiche favorite dal legislatore anche in altri ambiti, ad esempio con la concessione di contributi.
Per quanto riguarda i teatri, l’esenzione è limitata a quelli che si avvalgono solo di compagnie non professionali.
G) LE ATTIVITÀ RICREATIVE
Le attività ricreative si collocano in un’area residuale rispetto alle attività assistenziali e culturali (un esempio sono le realtà aggregative come i “circoli ricreativi”).
Deve, naturalmente, trattarsi di attività svolte con modalità non commerciali e l’immobile non deve ospitare attività ricreative (commerciali o meno) effettuate da terzi.
H) LE ATTIVITÀ SPORTIVE
L’esenzione deve essere riconosciuta agli immobili dove vengono esercitate le attività sportive rientranti nelle discipline riconosciute dal CONI, a condizione che siano svolte dalle associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell’art. 90 della legge n. 289 del 2002.
Per quanto attiene alle modalità di esercizio, è necessario che l’ente svolga nell’immobile esclusivamente attività sportiva agonistica “organizzata” direttamente (ad esempio: partite di campionato, organizzazione di corsi, tornei) e non si limiti a mettere a disposizione l’immobile per l’esercizio individuale dello sport (ad esempio: affitto di campi da tennis, gestione di piscine con ingressi a pagamento, affitto di campi da calcio a singoli o gruppi).
Da quanto esposto consegue che l’esenzione non deve essere riconosciuta ai palazzetti dello sport, ai campi ed agli impianti sportivi nei quali l’attività svolta dall’ente non è direttamente quella “sportiva”, ma di affitto degli spazi.
I) LE ATTIVITÀ DI RELIGIONE E CULTO
La noma di esenzione richiama tra le attività di religione e di culto solamente quelle di cui all’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, che, come innanzi precisato, sono “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”.
Pertanto, l’esenzione dall’ICI può essere riconosciuta solo agli immobili adibiti alle attività appena indicate.
7. L’ONERE DELLA PROVA.
La prova delle condizioni che giustificano il riconoscimento dell’esenzione, come sostiene ormai la consolidata giurisprudenza (Cfr. fra tutte: Corte di Cassazione sentenze n. 555 del 1994; n. 14992 del 2000; n. 12749 del 2 settembre 2002; n. 21728 del 17 novembre 2004; n. 7905 del 15 aprile 2005, n. 20776 del 26 ottobre 2005), spetta a chi sostiene di averne diritto.
Detto assunto trova fondamento sui principi che regolano l’incidenza dell’onere probatorio stabiliti dall’art. 2697 del codice civile, per cui “spetta al soggetto che fa valere il diritto ad un’agevolazione tributaria, che costituisce deroga al normale regime di imposizione… di fornire la prova che ricorrono in concreto le condizioni previste dalla legge per poter godere della …esenzione” (Corte di Cassazione sentenza n. 14146 del 24 settembre 2003).
Il Direttore Generale delle Finanze
Fabrizia Lapecorella