Nel villino di Viale Guido Baccelli dove, negli anni 80/90, si riunivano abitualmente il Movimento Europeo e i federalisti europei di Altiero Spinelli, ora sede della missione diplomatica palestinese in Italia, Mai Alkaila, ambasciatrice dello Stato di Palestina (dal 2012, ricordiamo, membro osservatore delle Nazioni Unite), mi riceve per un’ intervista volta a fare il punto sulle prossime tappe di quella lunga, lunghissima marcia iniziata nel 1974 con lo storico intervento di Yasser Arafat all’ ONU, proseguita coi primi accordi di pace israelo/palestinesi ad Oslo e a Washington nel 1992/93 e poi, purtroppo, arenatasi col deteriorarsi della situazione mediorientale. Dall’assassinio (1995) di Ytzahak Rabin, il premier israeliano impegnatosi fortemente nella trattativa “Terra in cambio di pace”, alla seconda Intifada del 2000-2002,sino all’ascesa del movimento integralista Hamas a Gaza e ai tre interventi militari israeliani nella Striscia (2008- 2014).
D. Autorevoli commentatori di politica internazionale parlano, negli ultimi tempi, d’un’ “Intifada diplomatica”, a proposito della recente politica del governo palestinese di agire sul piano soprattutto diplomatico e delle organizzazioni internazionali (vedi, ad esempio, la richiesta di entrare nella Corte Penale Internazionale). Quali saranno i prossimi sviluppi di questa strategia, in relazione, inevitabilmente, anche all’esito delle prossime elezioni politiche israeliane di metà marzo?
R.Oggi, dopo due anni di partecipazione, come membro non osservatore, alla vita delle Nazioni Unite, in attesa d’ entrarvi a pieno titolo, ci sembra il momento, per lo Stato di Palestina, di entrare gradualmente nella Corte penale e nelle altre principali organizzazioni ONU. Ai primi di marzo,ad ogni modo, il Comitato Centrale dell’ OLP, a Ramallah, prenderà le prossime decisioni in merito. A fianco di quest’azione diplomatica,comunque, c’è la quotidiana lotta nonviolenta del popolo palestinese, nei Territori occupati e in quella che è la diaspora palestinese all’estero, per il riconoscimento dei suoi legittimi diritti.
D.Il Parlamento Europeo il 17 dicembre scorso ha approvato una risoluzione che invita gli Stati membri, “in linea di principio”, al riconoscimento, sul piano internazionale, dell’ Autorità Nazionale Palestinese, pur collegando sempre tutto questo alla ripresa delle trattative di pace Israele-ANP,da tempo bloccate. Come valuta quest’importante presa di posizione dell’ Unione Europea?
R. E’ importante, anzitutto, che ben 489 europarlamentari han votato a favore di questa risoluzione ( con soli 88 contrari): ora, stiamo moltiplicando i nostri sforzi per far sì che sempre piu’ Paesi UE imitino la decisione della Svezia dell’autunno scorso (pieno riconoscimento dello Stato di Palestina).E speriamo che anche l’Italia faccia finalmente passi avanti in questa direzione…
D. Come valuta, infatti, la posizione del nostro Paese, il cui Parlamento a brevissimo dovrà votare in modo definitivo sulle mozioni, presentate da piu’ gruppi, che esortano il Governo italiano a riconoscere l’ ANP ?
R. Nel Parlamento italiano ci sono da tempo lunghe discussioni su questo tema, e rispettiamo pienamente l’autonomia del vostro Parlamento e del vostro Governo.Ma auspichiamo fortemente che procediate presto a questo riconoscimento diplomatico: soprattutto, che decidiate in piena autonomia, senza farvi condizionare da pressioni politiche da alcuna parte. Chiediamo solo giustizia e il pieno riconoscimento delle aspirazioni nazionali del nostro popolo: che, com’ è noto, dal 1948 (cioè quasi settant’anni) subisce una situazione di grave ingiustizia.
D. Sarebbe lungo, e controverso,ripercorrere nei dettagli la storia del Medio Oriente dal ’48 in poi: un conflitto, direi, dove si confrontano due parti che hanno ognuna un po’ di ragione. Ma venendo all’attualità quotidiana, a squalificare, purtroppo (e in prospettiva, forse, a paralizzare, dati i contrasti interni),l’azione del nuovo governo “d’unità nazionale” palestinese non contribuisce la presenza, in esso, d’un movimento come Hamas? Un movimento su posizioni fortemente integralistiche, e che, da quando ha occupato Gaza (giugno 2007), ricorre continuamente al lancio di missili Qassam e proiettili da mortaio sulle città israeliane?
R. Anzitutto, il nostro esattamente è un governo “di riconciliazione nazionale”, composto di tecnici, indipendenti dai partiti politici: Hamas, un movimento espressione della società palestinese, di cui comunque bisogna tener conto, come gli altri nosti partiti non siede in quest’ esecutivo. Mentre del governo israeliano, voglio ricordare, fan parte a pieno titolo partiti che, come il Likud, e ancor piu’ quello del ministro degli Esteri, Lieberman, non riconoscono proprio l’esistenza del popolo palestinese in sè, e condizionano fortemente l’azione del governo stesso: che, nei confronti dei palestinesi, non riesce a uscire dai binari della solita politica repressiva.
D. Sì, ma cosa mi dice sui metodi violenti della stessa Hamas?
R. I missili vengono lanciati, certo.Ma vogliamo parlare anche di quello che quotidianamente, da parte israeliana, subisce il popolo palestinese, in quella Cisgiordania occupata nel ’67 che in realtà è la sua terra, con continue confische di terreni, costruzione di insediamenti del tutto illegali secondo le norme internazionali, distruzione di case, uccisione di manifestanti (e spesso anche di bambini)? Per non parlare di quella politica di “ebraizzazione” strisciante che, negli ultimi tempi, Israele sta portando avanti: persino a Gerusalemme Est, da dove, oggi, molti cittadini palestinesi vengono espulsi senza motivo,e nel cui centro imperversano coloni israeliani oltranzisti e arroganti? Vorrei, poi, che qui in Italia ci si ricordasse di piu’ di quel che è successo l’estate scorsa a Gaza:migliaia di palestinesi uccisi, 190.000 abitazioni distrutte, e la diaspora di ben 800.000 abitanti, di cui circa la metà bambini (sono statistiche ONU).L’uso, da
parte israeliana, persino di armi vietate dal diritto internazionale, come quelle al fosforo e all’uranio.
D. La vostra democrazia, comunque, deve fare ancora parecchi passi avanti: anzitutto,è dal 2006 che,nei Territori occupati, non si son piu’ tenute le elezioni politiche. Quando avverrano le prossime? E si ripresenterà, come presidente, Mahmmud Abbas?
R. Teniamo presente che la nostra democrazia è pressochè l’unica al mondo realizzata sotto un regime d’occupazione, in difficoltà che è facile immaginare.Nuove elezioni politiche sono senz’altro in programma(è dal 2009 che le chiede, il presidente Abu Mazen),ma parecchi fattori le rendono di difficile organizzazione: dagli ostacoli che Israele pone ai palestinesi che vogliono entrare a Gerusalemme per iscriversi al registro elettorale alla disastrata situazione di Gaza, sino alla contrarietà, certo, di Hamas, e ai suoi difficili rapporti con Al Fattah. Ma prima o poi le elezioni si terranno; mentre, su una prossima ricandidatura di Abu Mazen (che non la desidera), la decisione definitiva la prenderà il suo movimento, appunto Al Fattah.
D. Ritiene, infine, che sulla politica del governo israeliano (a maggior ragione se le prossime elezioni cambieranno la maggioranza di governo) possa influire l’azione di movimenti pacifisti israeliani – coi quali i palestinesi da tempo hanno rapporti – come Peace Now (nato già nel ’78), Tayush, e il Comitato per i Diritti Civili Bet Seleem?
R. Con questi, e altri, movimenti pacifisti israeliani, da sempre abbiamo rapporti costruttivi, che anzi vogliamo rafforzare: il problema è che queste forze sono troppo esigue (molti di questi militan- ti, anzi, negli ultimi tempi stanno anche lasciando Israele, perchè gli spazi di manovra per loro si son davvero ristretti, o non se la sentono piu’ di vivere là).Però, solo una collaborazione tra noi e loro può, alla lunga, far accettare alla società israeliana la prospettiva d’una pace duratura, fondata sulla formula “Due popoli, due Stati”.
di Fabrizio Federici