di AlbertoSfuggiti come sabbia tra le dita i fatti che potevano essere contestati nei gradi di giudizio precedenti, ora rimane soltanto alle parti in causa la possibilità di contestare il diritto su cui si fonda la sentenza di appello
Nel posto sbagliato – Il convincimento più radicato della maggior parte delle persone coinvolte, anche soltanto emotivamente, nella tragedia della Concordia consiste nel considerare che Schettino nella sua qualità di comandante di una nave da crociera e con oltre 4000 persone al bordo, non doveva inoltrarsi così verso terra, fino a perder il controllo e finire sugli scogli. Ovviamente la ragione che tutti quanti conosciamo sta nel famigerato “inchino” che fino a qualche anno fa le Compagnie marittime non disdegnavano, ovviamente ai fini della pubblicità delle proprie navi soprattutto di crociera, che talvolta sfilavano maestose e sicure anche dove si riteneva non osassero transitare. Non è quindi il fatto dell’inchino di per sé, imputabile a Schettino, ma quello di essersi avvicinato alla costa oltre la ragionevolezza, fino a non riuscire a tirarsi fuori dal vicolo cieco nel quale, come comandante irresponsabile aveva autonomamente condotto la Concordia, sino a causarne la collisione su uno scoglio.
Questo è il delitto principale da cui per effetto domino, vengono generati gli altri. Non importa poi, come sarebbe facile dimostrare sotto il profilo tecnico e della navigazione marittima, che tutto quello che successivamente è avvenuto non è certamente imputabile né all’equipaggio né al Comandante ma alla natura della falla per la quale i sistemi di emergenza e di sicurezza della nave non erano certamente adeguati alla circostanza.
Tutto a bordo era bloccato – La ragione di tanto disastro va ricercata in quel critico punto di impatto che la Concordia ha subìto. La cosiddetta “via d’acqua”, che la lunga falla ha aperto sotto il livello di galleggiamento ha immediatamente allagato la sala macchine, inondando interamente i locali dove si trovavano i potentissimi motori elettrici per la propulsione e per i servizi di bordo. Si tratta di due motori di 40 milioni di watt ciascuno e che necessitano per il loro funzionamento, (qui sta il tallone di Achille) della elevatissima tensione di 11.000 Volt. A questo punto, sarebbe bastato, si fa per dire, un bicchiere d’acqua di mare rovesciato nei punti critici di contatto, per mettere in corto circuito l’ intero sistema elettrico della nave. Figuriamoci se con una falla di tale entità, le paratie stagne che oltretutto non funzionavano regolarmente, avrebbero potuto evitare qualcosa del genere.
Anche le luci che illuminavano alla meglio la nave durante il naufragio, non erano quelle alimentate dal generatore di emergenza perché anche questo era andato fuori uso. Erano infatti, le lampade a bassa tensione, ossia, a batterie, come fossero quelle di un’automobile in panne, per rendere l’idea, che hanno rischiarato la Concordia durante il naufragio.In quella tragica notte, tutti i servizi della nave erano fuori uso per mancanza di alimentazione elettrica. Una situazione del genere coinvolgeva non solo i dispositivi operativi di emergenza, ma i servizi essenziali come l’ intero impianto di illuminazione e quello degli ascensori che sono rimasti bloccati, intrappolando fino alla morte per annegamento, chi si trovava sopra.
Nel punto sbagliato – Tuttavia, la responsabilità morale del comandante rimane la medesima: Schettino non doveva trovarsi in quel punto, poiché tutto quello che è avvenuto, indipendentemente dalle specifiche responsabilità dell’equipaggio o dell’armatore o del costruttore, secondo l’opinione della stragrande maggioranza della gente, è attribuibile proprio a Schettino. Da qui si comprendono anche gli apprezzamenti professionali su colui che non è stato in grado non solo di gestire l’emergenza rappresentata dalla vicinanza dello scoglio, ma neppure di prevedere i limiti di sicurezza, oltre i quali non avrebbe dovuto nemmeno ipotizzare il percorso di rotta di una nave della stazza di 114.500 tonnellate, come la Concordia.
Queste sono sostanzialmente le ragioni per cui la grandissima parte dell’opinione pubblica ritiene Schettino responsabile di questa tragedia. Infatti, a fronte di espressioni di giudizio non prive di emotività per quanto riguarda la collisione e la successiva deriva nave fino all’incagliamento sulla costa del Giglio, si prescinde da questioni personali circa l’ abbandono nave. D’ altra parte, trattare anche soltanto le circostanze descritte, non significa sorvolare sui fatti, poiché la pena di 15 anni di detenzione sui 16 inflitti a Schettino anche nel secondo grado di giudizio si riferiscono proprio a quanto viene qui commentato; mentre per il discusso modo di abbandono nave da parte di Schettino, la pena comminata è di un solo anno.
La linea celeste delimita la distanza delle 0,5 miglia dalla costa; quella verde è quella delle 0,4 miglia della telefonata con Palumbo; la linea blu è la batimetrica dei 100 metri di fondo; la linea rossa è la rotta dell’ inganno subito da Schettino.
La presunta autorevolezza – Prima di tornare alle circostanze precedenti all’impatto della Concordia sulle secche delle Scole, va meglio compreso che cosa è avvenuto a bordo e qual è stato l’atteggiamento di Schettino non solo nelle circostanze precedenti la collisione. E’ stato infatti, soprattutto nel corso dei precedenti viaggi che l’ equipaggio ed in particolare il Team di coperta, subiva passivamente le decisioni di un comandante che non concedeva niente di ciò che allo stesso equipaggio spettava, circa le valutazioni professionali relative alle problematiche di viaggio. Schettino infatti, valutava, giudicava e imponeva a suo insindacabile giudizio, ciò che poi faceva. Si evita ora, di riportare per ragioni di lunghezza articolo, alcuni episodi chiave di questo genere di comportamento, ma non di errori, e delle reazioni degli Ufficiali dello staff con i quali Schettino, come detto, non intendeva condividere alcuna opinione diversa dalla propria.
Mentre questo avveniva quotidianamente durante la navigazione alla luce del giorno o nel buio della notte, si fa per dire, ma comunque senza alcun sotterfugio da parte di Schettino, tutti ne erano consapevoli e così come di solito avviene quando si condivide con qualcun altro una frustrazione da parte di un comune “avversario”, subentra la solidarietà. Infatti così è avvenuto, come si rileva dai riscontri delle dichiarazioni spontanee, delle interrogazioni presso gli inquirenti, degli episodi riportati dalla cronaca riguardante la sprezzante autonomia del comandante Schettino; tanto che il buon viso a cattiva sorte che l’equipaggio assumeva nei confronti del proprio comandante, veniva confuso da quest’ultimo come un atto di acquiescenza alla sua autorevolezza. Schettino infatti, non ha mai compreso simbolicamente che quando i giunchi si flettono sotto le raffiche del vento, ciò non significa che si sono piegati, tanto che a tempesta placata, sono più temprati di prima. Questa sorta di apparente acquiescenza dello staff di comando di fronte ad un comportamento ritenuto arrogante, determina infatti, per le persone frustrate nelle loro aspettative, un atteggiamento emotivo che in mancanza di immediate reazioni, in psicologia si chiama “ aggressività passiva“. Si accenna qui soltanto che questa impostazione mentale, si manifesta, attraverso le tipiche azioni omissive rispetto a quanto si desidererebbe fare ma che non si fa per evitare ritorsioni dalla persona che si vorrebbe punire.
Si tratta della rappresentazione della rotta richiesta da Schettino e di quella effettivamente percorsa
In modo analogo, l’ attesa del team e dell’equipaggio di coperta che non si sentivano in grado di agire o reagire, alle contrarietà incontrate nei rapporti con il comandante per timore reverenziale, ecco che potrebbe finalmente essere coronata dalla occasione favorevole. Schettino è ancora in sala pranzo dove continua a conversare amenamente con gli ospiti; mentre l’equipaggio impegnato in plancia in quella fredda notte di inverno, lo sta ancora aspettando. Finalmente dopo qualche sollecitazione a salire sul ponte di comando, compare Schettino; il comandante è in compagnia di ospiti, anche se questi non avrebbero potuto accedere durante le manovre. A incrementare in quella notte, la serie delle circostanze relazionali negative è stato’ lo stesso equipaggio che attendeva il comandante in atteggiamento, da quest’ ultimo definito, “di inaspettato cronico disagio”. Questi, prima telefona all’ ex Comandante Palumbo per informarsi sui fondali della zona di mare dove intendeva condurre la Concordia; poi prende personalmente il comando della nave, avvalendosi ovviamente del timoniere che esegue i comandi impartiti. Ma l’equipaggio, ossia lo staff presente in plancia, assume inopinabilmente un comportamento omertoso, non avvisando Schettino sul raggiungimento del punto nave di 0,5 miglia da costa, quantunque avesse chiesto di essere informato a questa distanza. Il presuntuoso “Leone” viene quindi lasciato ferirsi da solo.
La posizione inclinata sulle rocce lascia evincere che se l’ evacuazione fosse avvenuta in mare aperto la Concordia prima di affondare si sarebbe ribaltata con le conseguenze facilmente immaginabili
Strane coincidenze – Quella medesima mattina del 11 gennaio, data del naufragio, Schettino aveva redatto in un rapporto alla Società Armatrice sull’attività professionale del Primo Ufficiale Ambrosio, la di lui inidoneità all’avanzamento di grado di comandante. La notizia di quello stesso giorno non deve aver fatto a d’ Ambrosio un effetto diverso da quello immediatamente intuibile. L’atteggiamento di Schettino non poteva infatti, non generare una progressiva frustrazione professionale tra lo staff degli ufficiali di coperta addetti al controllo della navigazione, quando è lui stesso che impone a tutti quanti le proprie irrevocabili decisioni. A questo poi va aggiunto, come detto, l’ omesso riporto del superamento del limite richiesto di 0,5 miglia, la disinvolta osservazione della manovra da parte dei tre ufficiali di coperta, la mancata segnalazione della eccessiva penetrazione della nave verso terra. Se ciò non bastasse, a questo punto subentra anche il timoniere Rusli. Questi, dopo il congruo periodo di addestramento per l’esercizio di timomiere con relativo esame superato dell’attività a cui gli è preposto, ovvero, quella di timoniere e dopo un altrettanto, si presume, congruo periodo operativo al governo di una nave di prestigio come la Concordia, diviene improvvisamente refrattario ai comandi che Schettino impartisce.
Gli errori della buona fede – Schettino tutto questo non l’ha minimamente immaginato e neppure creduto successivamente dopo il disastro, quando di fronte alla Magistratura non ha neanche concepito il fatto ormai assodato, che non era stato lui a condurre la nave sugli scogli ma il timoniere Rusli con tutti i travisamenti dei comandi impartiti. E questo, quando sarebbe stato molto facile e anche emotivamente comprensibile, addossare ad altri, se lo avesse immaginato, la responsabilità delle manovre eseguite che non corrispondevano, così come è facilmente dimostrabile dalle registrazioni sulla scatola nera, a quelle da lui stesso impartite. Tutto questo non è stato però, contestato da Schettino a difesa di sé stesso, nella sua qualità di imputato, ma al contrario, stando alle sue stesse dichiarazioni, egli ha continuato a ritenere per molto tempo ancora dopo il naufragio, di essere considerato a bordo la massima autorità a cui nulla poteva e doveva essere rifiutato; questo in particolar modo dal suo equipaggio, da cui riteneva di essere amato e ammirato professionalmente per le decisioni che sapeva assumere, senza necessità di alcun suggerimento.
Occasione travisata – Non sarebbe stato difficile per la difesa già dal primo grado di giudizio, affrontare questo tema; mentre al contrario, vi sono state da parte dello stesso Schettino grandi difficoltà psicologiche nell’ acquisizione della consapevolezza, di essere stato indotto in inganno proprio dal personale di bordo su cui non credeva di esercitare solo timore reverenziale.
Conseguentemente la sua linea di difesa in Tribunale, non è stata quella di aver subito un raggiro dal proprio personale sulla distanza da terra in cui la Concordia si trovava quella notte. Infatti l’ inganno consiste nell’ aver omesso di riferire, come dallo stesso richiesto, la distanza delle 0.5 miglia dalla costa, o l’effettiva distanza di rotta in cui la Concordia si trovava dalle coste del Giglio. A maggior ragione la circostanza della assoluta estraneità dell’ evento nella linea di difesa di Schettino, non è stata formalizzata in modo chiaro, neppure nelle fasi successive del processo.
Quale corresponsabilità – Non si trattava infatti, di corresponsabilità dell’equipaggio per la avvenuta collisione sulle rocce delle Scole, come in effetti la stessa difesa ha evidenziato, ma della totale responsabilità del Team di coperta e del timoniere che non poteva essere imputata al comandante. Mentre infatti, Schettino ancora attendeva ciò che l’equipaggio ha evitato di fargli sapere, il timoniere commetteva una serie di otto errori di manovra rispetto ai comandi ricevuti fino all’ultimo, se non fosse bastato, invertendo la destra con la sinistra, fino alla collisione.
Quindi, se Schettino si è trovato di fronte ad una situazione di pericolo a causa della rotta impartita alla nave ancor prima che assumesse personalmente il comando, non è lui corresponsabile di questo evento in quanto la piena responsabilità cade unicamente sugli autori dell’omissione; omissione sulle cui conseguenze forse nessuno aveva concepito che si verificassero nel modo in cui l’evento si è manifestato. Sarebbe stata forse, sufficiente una severa lezione per ridurre il delirio di grandezza professionale di Schettino. E’ quindi ragionevole pensare che soltanto questo, i suoi antagonisti avevano improvvisato in vista dell’ occasione favorevole, al di là della intenzione della tragedia che nella realtà è avvenuta. Ma le conseguenze non sembra giusto attribuirle al destinatario di tanto inganno. Ecco perché Schettino non soltanto non è colpevole, ma è lui stesso la trentacinquesima vittima del disastro.