«Non era difficile immaginare che il Presidente della Repubblica dovesse prendere una pausa di riflessione dopo il primo giro di consultazioni delle forze politiche. L’esito del voto del 4 marzo è stato troppo diverso da quello pur significativo del 2013, ove vi fu il clamoroso successo del Movimento 5 stelle.
Diversamente dal 2013, il voto del marzo scorso manifesta un mutamento culturale e territoriale (Italia spaccata in due) che sarebbe superficiale sottovalutare poiché gli elettori hanno premiato le forze politiche più radicali che scompaginano la tradizionale divisione in destra e sinistra.
I programmi della Lega, dei 5 stelle e di Fratelli d’Italia presentati nella campagna elettorale hanno poco a che dividere, con i valori su cui ha poggiato il governo negli ultimi cinque anni e neanche con il liberalismo professato da Forza Italia. L’elemento nuovo del voto è che non perdono solo voti il Partito Democratico e Liberi e Uguali che pensava di ereditarli, ma è scompaginato l’elettorato di centro-destra e di sinistra: in parte confluito nel Movimento e in parte nella Lega (nel Nord e nel Centro Italia) che poco hanno condiviso con il retroterra culturale di questi altri partiti.
Vi sono ragioni sociali in questa diaspora (elevata disoccupazione giovanile, impoverimento del ceto medio ed aumento di coloro che già erano in disagiate condizioni), ma se facciamo riferimento ai programmi della Lega, dei 5 stelle e di Fratelli d’Italia, i cittadini hanno mostrato un mutamento culturale di cui si è a lungo parlato in questi anni in Italia e che ora è divenuto maggioranza.
Il messaggio elettorale di questi tre partiti ha legato l’idea che vadano ridiscussi gli accordi internazionali a partire da quelli all’interno dell’Unione Europea rivendicando la sovranità dello Stato italiano. Un fenomeno simile a quanto osservato nei paesi occidentali ove si assiste al rafforzamento di forze politiche ostili all’Unione Europea e all’interdipendenza degli Stati, senza che però queste siano riuscite a conquistare la maggioranza dei consensi. Una sostanziale differenza con quanto è avvenuto il 4 marzo in Italia dove le forze politiche “sovraniste” sono divenute maggioranza mentre restano minoranza quelle europeiste (Pd, FI, LeU).
La rilevanza di questa divisione è che lo scopo della Lega e del M5s ( Fd appare più cauta) è rimettere in discussione gli impegni finanziari e commerciali assunti con la Commissione dell’UE; infatti, la revisione della legge Fornero, la flat tax, il reddito di cittadinanza, la riduzione dell’Irap e dell’Irpef per citare le maggiori proposte presenti nei programmi elettorali, prevedono un maggiore ricorso alla finanza pubblica e quindi la rimessa in discussione dei suddetti accordi.
Per comprendere la rilevanza di questo indirizzo sarà utile ricordare che nei prossimi due anni bisognerà evitare gli aumenti dell’Iva, concordati dal governo Monti per salvare l’Italia dalla bancarotta nel 2011. Inoltre, a questo impegno, va sommato il pagamento di 67 mld di euro d’interessi sul debito che ogni anno il Ministero dell’Economia paga sui titoli di Stato.
Le poche comunicazioni del Quirinale di questi giorni hanno fatto capire che il Capo dello Stato non crede ad accordi programmatici durevoli fra le forze politiche (tutti i governi sono politici); vuole garantire i cittadini ponendo attenzione alle conseguenze finanziarie nella formazione del nuovo governo. Governo che sarà preminente nelle sue decisioni, nell’interesse degli italiani.
In altri termini un irrigidimento dei sovranisti, di tutti o in parte, porterebbe probabilmente ad un governo di transizione a cui sarebbe dato il compito di non “scassare” i conti pubblici, approvare una nuova legge elettorale per poi andare verso nuove elezioni politiche, prima o dopo le Europee.
Questo scenario farà, ovviamente, da eco sulle situazioni locali ed in buona parte anche sulle decisioni che nei prossimi mesi dovrà intraprendere la Regione Lazio».
Giuseppina Bonaviri