Quarant’anni fa, il 9 maggio 1978, si consumava l’ultimo atto del dramma di Aldo Moro, col ritrovamento del suo cadavere nella “storica” Renault rossa parcheggiata in Via Caetani (ripescata dalla RAI nei magazzini giudiziari per lo speciale su Moro della prima rete tv dell’ 8 maggio, e filmata proprio nello stesso punto di allora). Molte le iniziative per ricordarlo: dalla giornata di spettacoli del 7 maggio dedicata appunto al presidente Dc dal Teatro Argentina (con rappresentazione di pieces teatrali e proiezione, tra l’altro, dei 3 celebri film di Ferrara, Bellocchio e Renzo Martinelli) al convegno in programma il 14 maggio all’ Istituto “Sturzo”, centrato sulla complessiva azione di Moro nella storia della Repubblica.
Anche il Dipartimento di Scienze dell’ educazione dell’ Università Roma 3 ha voluto parlarne: organizzando, su proposta del giornalista Nicola Lofoco, una speciale lezione alla cattedra di Storia Contemporanea nella sede di via Principe Amedeo. “Aldo Moro”, ha sottolineato, in apertura, Carlo Felice Casula, titolare della cattedra, davanti a un centinaio di giovani studenti molto interessati al tema ( per la cronaca, incredibilmente al 90% donne, con meno d’ una decina di maschi!), “senz’altro è stato una delle figure di primo piano della storia repubblicana. Nel ’46, a soli trent’anni, è già presidente della nuova DC; poco dopo , nell’ Assemblea Costituente, fa parte, con Giuseppe Dossetti e altri, della celebre “Commissione dei 75″, cui si deve la stesura di gran parte della nostra Costituzione. Deputato nel 1948, nel ’55 è già ministro degli Esteri, e di lì a pochi anni inizierà il difficile lavoro d’ allargamento della maggioranza di governo ai socialisti, sulla strada del primo Centrosinistra (cosa che gli procurerà, già allora, parecchi nemici)”.
“Per me- ha aggiunto Roberto Cipriani, sociologo della religione, docente emerito a Roma Tre , “Moro è stato un fondamentale punto di riferimento. “Lo conobbi per le elezioni politiche del ’63, per un suo comizio a Canosa: la capacità d’ aggregare pazientemente consenso intorno alla sua linea, che puntava a creare un governo organico di Centrosinistra ( cosa che gli sarebbe riuscita pochi mesi dopo, con l’ inizio del suo quinquennale governo, insieme quasi sempre al socialista Pietro Nenni) risulta ancor piu’ evidente considerando che la corrente morotea vera e propria, nella DC, allora raccoglieva appena il 10% .Altro momento significativo: vari anni dopo, a dicembre del ’74, presentando il governo bicolore creato insieme al repubblicano Ugo La Malfa, Moro è apertamente contrario alla proposta del “Compromesso storico” formulata da Berlinguer l’anno prima: però da’ atto ai comunisti di svolgere egregiamente il loro ruolo d’ opposizione. Mentre, in politica estera, riconosce la legittimità delle aspirazioni nazionali dei palestinesi: sottolineando però, al tempo stesso, la necessità storica, per l’ Italia, d’ aiutare il giovane Stato d’ Israele”.
Nicola Lofoco, giornalista collaboratore di “Huffington Post” e altre testate, che al caso Moro ha dedicato un documentato saggio (“Cronaca di un delitto politico”, Bari, Les Flaneurs ed., 2016, che confuta molte inesattezze e illazioni gratuite circolate negli anni sull’ argomento), ha inquadrato la storia del rapimento Moro nel contesto sociale e politico di allora, quegli anni ’70 che, apertisi in pratica con Piazza Fontana, eran stati punteggiati senza tregua da attentati, stragi, delitti politici, manifestazioni di piazza piu’ che violente. “Culminate nel ’77, con l’ esplosione della protesta giovanile contro la Riforma universitaria Malfatti, e le sue violente strumentalizzazioni da parte dell’ Autonomia. Ma quando , nel ’78, le BR vanno ancora oltre. arrivando a rapire Moro dopo aver massacrato la sua scorta, al tempo stesso giungono allo zenith e iniziano un inarrestabile declino: avendo “in attivo” un omicidio di 5 uomini che non è certo il “biglietto da visita” atto a chiedere ulteriori riconoscimenti. Dopo, non sanno cogliere l’ occasione improvvisamente apertasi col discorso di Paolo VI del 22 aprile (il celebre appello agli “uomini delle Brigate Rosse”, per loro un indiretto riconoscimento) e, addirittura, l’ intervento del segretario dell’ ONU Waldheim; e, anzi, uccidono spietatamente Moro ( la loro fine inizierà veramente con l’assassinio, a gennaio ’79, dell’operaio G comunista Guido Rossa)”.
“Conobbi Aldo Moro quand’ero studente alla Sapienza”, ha ricordato, infine, Luigi Fenizi, oggi funzionario parlamentare in pensione e collaboratore di “Avanti” e “Mondoperaio”, “nell’ autunno del ’67, avendo deciso di fare, con lui, l’esame di Istituzioni del diritto e procedura penale. Feci quest’esame il 5 marzo del ’68, 4 giorni dopo la storica “battaglia” tra studenti e polizia a Valle Giulia, e poco dopo la fine temporanea dell’ occupazione studentesca della “Sapienza”. Fui interrogato sia da Moro che da un suo assistente, Renato Dell’ Andro ( al quale, nel ’78 sottosegretario di Grazia e giustizia, Moro stesso, prigioniero delle BR, avrebbe indirizzato poi una toccante lettera chiedendogli aiuto). Ho ricordato poi Moro nel mio libro di pochi anni fa “Il secolo crudele” ( raccolta di “interviste e incontri impossibili” coi grandi della storia), immaginando un intenso dialogo con lui. Ma altro ricordo importante, in proposito, è quello – che ho tuttora molto preciso – della sera dell ‘8 maggio 1978, il giorno prima del tragico epilogo della vicenda: quando, alle 19,30 circa,nel cortile di Palazzo Giustiniani vidi Bettino Craxi, scuro in volto, che usciva in gran fretta dalla macchina per raggiungere lo studio di Fanfani, allora presidente del Senato: probabilmente per chiedergli – in vista del consiglio Nazionale della DC del giorno dopo – una dichiarazione d’ appoggio alla linea “trattativista” con le BR scelta, dai socialisti, in contrapposizione al “Fronte della fermezza”, forte dell’asse DC-PCI ( la dichiarazione il giorno dopo ci sarebbe stata, ma senza alcun effetto, con Moro ucciso nelle primissime ore del mattino, N.d.R.)”. “Senza infamia e senza lode”, invece, la docu-fiction RAI “Aldo Moro. Il professore”, trasmessa da Rai uno la sera dell’ 8 maggio. Che, se ha il merito di parlare del presidente Dc – interpretato da un ottimo Sergio Castellitto – in chiave diversa da quella di altri celebri pellicole ( “Il caso Moro” di Giuseppe Ferrara, ricostruzione della vicenda giorno per giorno, e “Buongiorno notte” di Marco Bellocchio, centrata sul rapporto tra Moro e i suoi carcerieri), concentrandosi sulle doti umane e la forte dialettica dimostrate dal leader pugliese nel suo primario ruolo di docente universitario, non è però accettabile nella tesi di fondo. Che ( in omaggio al “nuovo corso”, fortemente filoPD, di mamma RAI, almeno nella sua Rete ammiraglia?), da un lato, individua nella sola Dc (che , tra l’altro, non era al suo interno così compatta nel respingere qualsiasi trattativa con le BR) l’asse portante del “Fronte delle fermezza”, accennando appena al ruolo (essenziale, invece) ricoperto anche dal PCI berlingueriano. Dall’altro, sempre nelle interviste a giornalisti, studiosi e protagonisti di allora, esagera quella che fu l’ ostilità a Moro dell’ establishment USA, e il possibile coinvolgimento nell’ “operazione Moro”, di elementi di servizi segreti stranieri, addirittura già in Via Fani.
Fabrizio Federici