«La campagna elettorale per le amministrative non ha fatto smettere a Matteo Salvini il ricorso ad uno dei temi più controversi del programma del nuovo governo, ossia l’immigrazione e i provvedimenti da assumere per coloro che non hanno titolo per approdare e rimanere sul suolo italiano.
L’incarico di Ministro dell’Interno ne giustifica i pronunciamenti dando alle folle plaudenti la certezza che “finalmente” verranno rispediti nei loro paesi i circa 600.000 clandestini, responsabili di “bivacchi” nei più inospitali posti delle nostre città e periferie, vittime reali dello sfruttamento per l’offerta di lavori pesanti a pochi euro al giorno.
I nostri concittadini traggono una percezione della presenza degli immigrati in Italia molto più alta di quella reale; i nuovi cittadini sono in realtà il 7% della popolazione residente mentre in alcuni sondaggi d’opinione gli immigrati in Italia risulterebbero essere fra il 25 ed il 30%. Sarà il caso di ricordare che, anche sommando i 600.000 irregolari, la percentuale di immigrati salirebbe dell’1%, comunque molto lontana da quella ricavata dai dati. Bisogna poi ricordare che il 7% degli immigrati censiti hanno nella quasi totalità una residenza stabile e probabilmente una famiglia e pertanto sono inseriti nel tessuto urbano e come tutti gli italiani interessati a non avere problemi di convivenza.
Una stima tanto esagerata si spiega con il ristretto ambito di osservazione di ciascuno di noi e con l’impatto emotivo che hanno episodi criminosi compiuti da parte di alcuni clandestini.
La soluzione quindi proposta dal neo-ministro risponderebbe al desiderio di non veder degradato il Paese perché eviterebbe fenomeni di razzismo che esplodono in maniera inquietante anche nel nostro territorio. Dobbiamo allora chiederci le ragioni per le quali non siano stati assunti dai governi precedenti concreti provvedimenti per il rimpatrio.
La soluzione del rientro dei clandestini nei paesi d’origine ha trovato finora due ostacoli: la scarsa collaborazione dei paesi di provenienza e le modalità da seguire per realizzarlo. Per il primo ostacolo d’intesa con l’Unione Europea si stanno firmando convenzioni che finanziano il reinserimento dei clandestini nei luoghi d’origine; per il secondo vi sono ragioni strutturali: l’Agenzia europea Frontex ha stimato in 1,5 mld il costo dei trasferimenti e al ritmo di 6.000 trasferimenti l’anno occorrerebbero 83 anni. Una cosa irrealizzabile che pone un problema di dimensioni preoccupanti.
Finora i senza titolo rimati sul nostro territorio sono stati rinchiusi nei centri di permanenza e l’ipotesi di rafforzare questa misura porterebbe ad una residenza forzata di un numero sempre più elevato di queste persone e per un periodo più lungo di quello previsto finora.
Paradossalente questa soluzione viene vista con favore dall’Unione Europea che così pensa che si possa alleggerire la tensione provocata dal rifiuto di molti paesi di condividere con l’Italia la pressione dei migranti, ma con la conseguenza di veder nascere tanti centri di accoglienza in più di quelli attuali.
Una soluzione che seppure rispettasse il diritto internazionale non metterà al riparo da quanto accade intorno a questi centri: commerci di vario genere, prostituzione e reclutamento di persone disponibili alle più irregolari attività con introiti oscuri. La soluzione, allora, dei clandestini sul nostro territorio prevista dal ministro dell’Interno è popolare, ma icuranente molto più complicata di quanto appare.
La buona convivenza e la capacità di accoglienza offrono nuove future visioni nel progetto di cooperazione delle periferie voluta dall’UE. Alla base di tutto questo servono competenza, capacità analitica e amministrativa lungimirante ed eque come quelle che noi della Rete La fenice sollecitiamo da anni nella provincia frusinate che invece appare lontana dal voler essere garante dell’importante capitale umano presente».
Giuseppina Bonaviri