ROMA – ‘Come è cambiato il mercato del lavoro in Italia e come cambierà’. Di questo e di modelli organizzativi, flessibilità, pandemia da Covid-19, smart working e tanto altro si è discusso oggi a Roma, presso la sede della Dire. Nel corso del dibattito, moderato dal direttore responsabile dell’agenzia, Nicola Perrone, hanno preso la parola Romina Mura, deputato Pd e presidente della commissione Lavoro della Camera, l’avvocato giuslavorista, docente all’Università Cattaneo e autore del libro che dà il titolo all’evento, Francesco Rotondi, e gli ex ministri del Lavoro Tiziano Treu e Cesare Damiano.
Appassionato di questi temi, tanto da rincorrere cinque ex ministri del Lavoro e l’attuale Andrea Orlando, nel suo volume ‘Come è cambiato il mercato del lavoro in Italia e come cambierà‘, Rotondi ha ripercorso gli ultimi 25 anni della storia dell’Italia, mettendo sotto la lente di ingrandimento le difficoltà e le prospettive future dell’occupazione nel nostro Paese. “Una vera riforma del mercato del lavoro non c’è stata – il suo commento – È stato, però, un viaggio interessantissimo, giuridicamente affascinante anche se guardandolo adesso, dopo un po’ di tempo, credo possa essere considerato anche come una sorta di ricerca di responsabilità. Effettivamente, guardando all’apporto che questi ex ministri hanno dato e a quello che sta cercando di dare l’attuale ministro del Lavoro, Andrea Orlando, al nostro ordinamento giuslavoristico, e il pregio di tante riforme che non state portate avanti, l’apprendere ed il certificare che manca ancora qualcosa doveva avere una responsabilità. E credo che il tema sia proprio quello del tempo: mai nessuna riforma, importante o meno, ha avuto il tempo per poter spiegare i propri effetti, perché la politica, quella reale, ha impedito che questo si potesse realizzare, a causa della breve durata dei governi. E ogni governo che subentrava in realtà non agiva mai in continuità”.
Durante il primo governo Prodi, Tiziano Treu ispirò una serie di norme che riformarono il mercato del lavoro, note come ‘Pacchetto Treu’, che introdusse anche il lavoro interinale, facendo affacciare per la prima volta in Italia l’incontro e lo scontro tra politica e parti sociali sul tema della flessibilità. L’ex ministro del Lavoro è tornato a parlarne nel corso dell’evento alla Dire, spiegando che “aprire quel varco nel nostro Paese è stato molto difficile. Si è trattato di un periodo relativamente felice, con un esecutivo che ha avuto una durata un po’ superiore alla media, circa tre anni. Uno dei motivi per cui siamo ancora lì, incerti su cosa fare, è certamente il cambio dei governi e la conseguenza della nostra instabilità politica ma anche il forte tasso di ideologia, sempre immesso nei discorsi sulle regole del mercato del lavoro. Questo ha davvero avvelenato i pozzi ma ne ha comunque ridotto l’efficacia, perché le riforme vanno implementate”. Treu ha precisato che “l’introduzione del lavoro interinale in Italia non deve essere considerata una innovazione bolscevica, arrivò in Italia con venti anni di ritardo rispetto a tutti gli altri Paesi europei, però ha funzionato”. Molte le norme che cambiano con il passare degli anni e che a volte non si riesce ad applicare. Treu ha ricordato che “il decentramento del potere alle Regioni del 2001 per quanto riguarda il mercato del lavoro fu un errore molto grave. Ora la Corte Costituzionale afferma che l’unica cosa che si può fare è la collaborazione leale tra le istituzioni”.
Da sempre l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano insiste sul coinvolgimento delle parti sociali ma, soprattutto, sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Tema più che mai attuale, considerando che quotidianamente si registrano decessi. Damiano ha sottolineato che “il Decreto 81 è del 2008 ed è stato varato quando il governo non c’era più, era in fase tecnica. Oggi assistiamo ad una ripresa dell’economia ma voglio sottolineare che quando parliamo di ripresa non dobbiamo accontentarci del +6,5% senza leggere quello che c’è dietro, perché ad esempio ci sono settori come l’edilizia, che probabilmente è al doppio di quella cifra, e settori come quello dell’automobile che stanno invece sprofondando. Quindi, quando parliamo di spinta verso la crescita dobbiamo capire se si tratti di una spinta di qualità e, soprattutto, se dentro vi sia una spinta sociale, che però non vedo molto chiara”.
Sul bonus edilizio Cesare Damiano ha precisato che “c’è del buono e c’è del marcio. Credo che le denunce di Draghi e del ministro Franco siano fondate, perché indubbiamente nella parte malata di questa ripresa legata all’edilizia c’è una denuncia dell’Associazione nazionale dei costruttori dell’edilizia, nel momento in cui, all’improvviso, in pochi mesi sorgono dal nulla migliaia di imprese dell’edilizia, senza arte né parte: non hanno storia, non hanno competenza, non hanno dipendenti, non hanno macchinari. Dunque, come possono allestire dei cantieri in sicurezza? Al massimo possono fare intermediazione di manodopera”.
Damiano ha continuato: “Purtroppo quando si parla di lavoro vince l’ideologia piuttosto che la soluzione: l’ideologia della stabilità, l’ideologia della flessibilità, perché quest’ultima, teorizzata a lungo negli ultimi decenni, ha portato ad un mercato del lavoro, per i giovani, caratterizzato da debolezze e fragilità. E io inorridisco quando, dal punto di vista della sociologia, si inventa il termine ‘working poor‘, lavoratore povero, povero nonostante lavori, quando ritengo che il lavoro debba significare dignità e benessere. E so che se un lavoratore è povero, poi sarà un pensionato povero che dovremo assistere anche in vecchiaia e soccorrerlo con ammortizzatori sociali nel corso della vita di lavoro”. Per Damiano, “è necessario cambiare strada, c’è una transizione ecologica, digitale, infrastrutturale e sociale. E io non teorizzo il ‘posto fisso’ alla Checco Zalone, quanto piuttosto la stabilità del lavoro, la continuità ed una formazione continua, capace di adattare la persona all’evoluzione della tecnologia”.
La presidente della commissione Lavoro della Camera, Romina Mura, ha scattato una fotografia del mondo dell’occupazione in Italia, alla luce del Covid-19. “Partendo da ciò che è successo in pandemia – ha spiegato – abbiamo portato in Commissione, collaborando anche con il professor Treu, con l’Istat e con altri soggetti, una indagine conoscitiva sulle disuguaglianze, che in Italia esistono da tempo e che durante la pandemia si sono ampliate. Proprio durante la pandemia paradossalmente abbiamo iniziato ad intervenire con misure emergenziali per provare a tamponare ciò che non c’era perché non si era fatto negli anni. La pandemia è stata una lente di ingrandimento sui mali dell’agire politico e legislativo italiano, perché nel mercato del lavoro ma anche su altri settori, penso alla sanità, in questo Paese si agisce un po’ con la logica della tela di Penelope: c’è chi tesse la notte e chi distrugge la mattina o il contrario. E lo stesso è accaduto sulle regole del mercato del lavoro proprio a causa di una forte ideologizzazione, di uno scontro tra rigidità e flessibilità. Tutto ciò ha prodotto un sistema a mosaico, mancante di alcuni puzzle che in pandemia sono stati pesantissimi”.
Mura ha poi aggiunto che “quando siamo dovuti intervenire con gli ammortizzatori per alcuni soggetti che non percepivano tutele e che quindi non avevano una protezione sociale così come chiede la nostra Costituzione, abbiamo provato, in emergenza, con tutti i limiti, a costruire paracadute e questi paracadute, così come dimostrano i dati dell’indagine conoscitiva, hanno di fatto rallentato l’avanzare delle disuguaglianze ma non le hanno ovviamente fermate. Se non altro questi strumenti ci sono serviti per capire quale fosse la direzione da intraprendere in maniera strutturale“. La presidente della commissione Lavoro della Camera ha inoltre spiegato: “Sono una autonomista convinta ma è impensabile che se io nasco, cito la mia regione non perché sia la peggiore, in Sardegna e non in Emilia Romagna o in Veneto, devo pagare un prezzo in termini di livelli essenziali delle prestazioni per carenze politiche istituzionali. Lo Stato deve garantire la possibilità ai cittadini di godere di diritti uguali, a prescindere dal territorio in cui si nasce, si cresce e si lavora”.
Sul tema della flessibilità, Tiziano Treu ha osservato che “il sistema è sempre più flessibile, ci sono i rider, i lavoratori su piattaforme e dunque la contrattazione collettiva deve fare molto. Bisogna però dare un minimo di garanzie di tipo universalistico. Dovremo andare verso un universalismo di base, un cambio di mentalità per il diritto del lavoro”. Per trovare la soluzione migliore impresa, lavoratori e parti sociali dovranno sedersi ad un unico tavolo. Secondo Cesare Damiano “il dialogo è ripreso o, quantomeno, è ormai alle spalle la stagione della deregolazione del salto dei corpi sociali intermedi e ritengo questa una buona notizia”. Ha poi chiesto di uscire “dalla contrapposizione ideologica tra ‘tutto rigido’ o ‘tutto flessibile’, puntiamo piuttosto sulla buona flessibilità. Sono orgoglioso di aver emanato la Circolare 17, che in un solo giorno ha stabilizzato 30mila persone”.
Tante, comunque, le risorse per il settore del lavoro, rispetto al passato, grazie al Pnrr. Tiziano Treu dichiara che “abbiamo una strada davanti, ora c’è una economia più morbida e più fluida e, speriamo, più verde e più digitale. Credo che un uso corretto delle regole possa aiutare nell’utilizzare al meglio questa crescita più sostenibile. L’Europa ci ricorda poi l’importanza della formazione continua: il 60% dei lavoratori occupati dovrebbe essere ogni anno in formazione, se si vuole stare al passo. E anche questa è una rivoluzione”.
Nel corso del dibattito Mura si è poi soffermata sul reddito di cittadinanza. “Ho votato contro, non ho sostenuto quello strumento ma se in pandemia non lo avessimo avuto, probabilmente in una parte del Paese, al Meridione come al Nord, dove la povertà ha davvero galoppato, avremmo rischiato un crollo della nostra coesione sociale molto di più di quello che abbiamo avuto. Ritengo che la strada sia quella di un pacchetto di tutele minime universali, anche il salario minimo, perché è impensabile continuare ad assistere ad un lavoratore pagato 4 euro l’ora, un laureato che deve fare stage in condizioni piuttosto discutibili”.
La presidente della commissione Lavoro della Camera, Romina Mura, ha precisato che “ovviamente tutto questo va inserito nel nostro quadro regolatorio, anche perché la dignità del lavoro è una giusta retribuzione ma è anche un giusto sistema di diritti che in Italia sono sempre stati garantiti grazie alla contrattazione, al welfare, all’orario di lavoro o, parlando di smart working, al diritto alla disconnessione. Tutta una serie di temi che si affiancano alla retribuzione. Però sul salario minimo dobbiamo evitare la distanza, il conflitto ideologico, parliamo magari di retribuzione giusta ma è una questione che dobbiamo porci, perchè credo che la migliore leva di competitività per le nostre imprese sia la qualità del lavoro”.
L’avvocato giuslavorista, docente all’Università Cattaneo, Francesco Rotondi ha replicato che “non esistono salari a 4 euro l’ora che siano costituzionalmente corretti o contrattazione collettiva corretta. Sono, piuttosto, patologie. Il tema si sposta allora sulla cultura del rispetto delle regole. Se è consentito ricevere offerte al ribasso, significa che siamo di fronte ad un sistema che non funziona. La cultura, dunque, è fondamentale”. Come sarà, dunque, il futuro del mondo del lavoro? Più precario o con ricco di maggiori possibilità? Per Cesare Damiano “bisogna superare la simmetria-asimmetria della costruzione europea. L’Europa dell’Euro viaggia, l’Europa della concorrenza viaggia, l’Europa sociale è ferma al palo. Se non si supera questa anomalia e se l’Europa gradatamente non si pone il problema di avere similitudini nelle condizioni di lavoro, da quelle normative a quelle salariali, noi avremo sempre il rischio di concorrenza sleale, di delocalizzazione, di povertà, di precarietà, di ricerca del luogo nel quale lavorare costa meno.
E quel luogo non è Timbuctu ma, ad esempio, è la Polonia, è
l’Ungheria, è la Repubblica Ceca. Se l’Europa vuole vivere deve essere sociale, non solo economica“.
Infine, riflettori accesi sul tema della segregazione femminile nel mondo del lavoro che, ha ribadito la presidente della commissione Lavoro della Camera, Romina Mura, “non è più una questione di salotti buoni né di femministe degli anni 2000, è una questione cruciale in questo Paese. Noi abbiamo molte ragazze laureate, con risultati di formazione che sono sottratte al mondo del lavoro, quindi non vanno ad ampliare, a rafforzare e a valorizzare la leva di competitività. E i dati numerici ci dicono che soprattutto le grandi aziende dove anche le donne hanno spazio nei ruolo di governance sono quelle che poi producono risultati economici più importanti e più positivi. Quindi io dico che il Paese intero, la classe dirigente intera dell’Italia, deve assumere la questione femminile come emergenza”, ha concluso.