AGI – Nessuna intesa sulla modifica al testo del decreto Aiuti per eliminare la norma che prevede la responsabilità in solido sulla cessione dei crediti del superbonus (sollevando le banche cessionarie da responsabilità per eventuali irregolarità correlate ai crediti ceduti).
E così, salvo sorprese, il governo è intenzionato a porre la fiducia sul provvedimento alla ripresa dei lavori dell’Aula della Camera, ma sul testo licenziato dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato, senza i miglioramenti chiesti dai partiti, M5s in testa.
Un impasse che, tuttavia, non dipende da problemi politici, specificano dal governo, bensì da questioni tecniche o, meglio, di coperture.
Nonostante la modifica alla norma sul superbonus avesse riscontrato il sostanziale accordo di tutte le forze di maggioranza e fosse pronta per essere messa nero su bianco in un testo, che sarebbe poi stato inserito in un maxiemendamento sul quale porre la fiducia, sia palazzo Chigi che il Mef non hanno dato il via libera.
Il problema è dove reperire i circa 3 miliardi necessari a rendere operativa e sostenibile la modifica.
Ma dietro al caos che è scoppiato a Monteciotrio e che ha bloccato i lavori per l’intera goiornata, con una girandola di incontri, riunioni e contatti telefonici con Ankara, dove il premier Mario Draghi è impegnato per la sigla di diversi accordi, si cela anche (e per molti esponenti di maggioranza non secondaria) una questione tutta politica che, per la prima volta in settimane già incandescenti, ha fatto emergere forti attriti tra le forze politiche che sostengono l’esecutivo, con un tam tam crescente nei corridoi dei palazzi sul rischio concreto di una possibile crisi di governo.
Da una parte i 5 stelle, che chiedono da settimane di non mettere la fiducia su un decreto che contiene molte misure da loro contestate, dal termovalorizzatore a Roma alla stretta sul reddito di cittadinanza (voluta da Lega e Forza Italia) fino alle nuove norme sul superbonus.
Dall’altra, Lega – in primis – ma anche Forza Italia, che lanciano un chiaro avvertimento al governo: se si accetta di modificare il decreto Aiuti solo per soddisfare una richiesta dei 5 stelle, allora d’ora in poi anche noi non accetteremo più di votare la fiducia a scatola chiusa, senza prima veder approvate le nostre richieste.
È un braccio di ferro che rischia di far saltare il banco. Ancor di più perché la Lega punta il dito contro dem e pentastellati, attribuendo a loro la colpa dello stallo sul decreto Aiuti.
“Il campo largo è in difficoltà, si sta restringendo”, ironizza il presidente dei deputati leghisti Riccardo Molinari. Una lettura che viene nettamente smentita e respinta dal Pd: “Non c’è assolutamente nessun attrito”, scandisce la capogruppo Debora Serracchiani.
Ma che la tensione sia arrivata ad oltrepassare i livelli di guardia lo testimonia il richiamo alla responsabilita’ fatto dalla capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi: “Abbiamo bisogno di unità e di responsabilità e non di una crisi di governo che nessuno comprenderebbe”.
Ma i leghisti non mollano la presa: “Siamo increduli per lo spettacolo offerto dal campo largo che si sta stringendo a vista d’occhio. Siamo fermi da tutto il giorno per i litigi interni al centrosinistra che rischiano di bloccare 15 miliardi di aiuti per famiglie e imprese italiane”, sostengono.
Dal canto loro i 5 stelle, che non nascondono la forte irritazione per la norma sul termovalorizzatore – al centro di alcuni confronti anche aspri in Transtlatico con esponenti dem – concentrano gli sforzi sull’evitare una fiducia a scatola chiusa senza la modifica al superbonus. Un modo, viene spiegato, che aiuterebbe il Movimento a ‘salvare la faccia’, votando sì la fiducia, nonostante le misure contestate, ma rivendicando al contempo la vittoria sul superbonus.
Modifica su cui, spiegano diversi esponenti di maggiorazna di varie forze, tutti sono d’accordo. Ma che ora ha assunto una valenza politica, si e’ trasformata in un gioco di forza a chi ha più ‘peso’.
E i riflettori puntano tutti su palazzo Chigi, dove nel pomeriggio si svolgerà l’atteso faccia a faccia tra Mario Draghi e Giuseppe Conte. Vis a vis che, però, rischia di arrivare quando la miccia potrebbe essere già esplosa.
“Ora vediamo cosa faranno i Cinque stelle”, dicono dal partito di via Bellerio ma anche in Forza Italia l’opera di mediazione tra governo (con il ministro D’Incà in stretto collegamento con palazzo Chigi e Draghi via telefono) e maggioranza che si è tentata per tutta la giornata è stata interpretata come una sponda di Draghi a Conte alla vigilia dell’incontro.
Dunque, la giornata di ieri è stata la cartina di tornasole delle spinte contrapposte tra le forze che sostengono il governo e la fumata nera in serata è strettamente legata alle tensioni politiche, oltre che al nodo delle coperture. Tanto che dal centrodestra si leva la richiesta all’esecutivo di procedere secondo la tabella di marcia inizialmente stabilita, ovvero zero modifiche al testo e voto di fiducia (sulla fiducia non si sono tirati indietro neanche Pd, Iv e dimaiani).
Un voto di fiducia che, allo stato dell’arte, acquisisce la valenza di strumento per blindare la stessa maggioranza, ma che rischia di trasformarsi in un boomerang. Perché i Cinque stelle sono sulle barricate, non hanno alcuna intenzione di votare la norma sull’inceneritore senza incassare la modifica sul superbonus.
E tra i boatos di Montecitorio per la prima volta si percepisce forte il timore di una crisi di governo, con la Lega che nel frattempo torna ad alzare la posta e ribadisce che se il Pd dovesse insistere con la cannabis e lo ius scholae saranno barricate. “Cosi’ non restiamo nel governo”, il refrain che circola tra i gruppi parlamentari del partito di via Bellerio.
Stesso ragionamento che viene rilanciato dall’ala più ‘agguerrita’ del Movimento 5 stelle: così non si può andare avanti a lungo (non è un mistero, del resto, il pressing su Conte per uscire dal governo a dare un appoggio esterno ma con le mani libere).
“Ho sondato tutte le forze della maggioranza per capire se fosse possibile trovare un accordo per evitare di porre la questione di fiducia” sul decreto Aiuti “per venire incontro a richieste parlamentari di miglioramento del testo, in particolare nella parte relativa al superbonus”, spiega in serata D’Incà.
“Con la Presidenza del Consiglio valuteremo nelle prossime ore come procedere”. Insomma, se nessun elemento di novità dovesse intervenire da qui a domani mattina, la strada sembra ormai tracciata: alla riprsa dell’Aula, alle 9,30, il governo porra’ la fiducia sul decreto, senza modifiche.
A quel punto, è il timore nel governo, i 5 stelle potrebbero anche non votare la fiducia. A meno che il faccia a faccia tra Conte e Draghi non riapra la partita. Di certo resta il fattore tempo: il decreto Aiuti va convertito in legge entro il 16 luglio, e deve essere esaminato anche dal Senato.