AGI – Le speranze di evitare il voto anticipato sono ridotte al lumicino. Molto dipenderà da cosa accadrà all’interno dei Cinque Stelle al termine del braccio di ferro fra quanti vogliono continuare a sostenere l’esecutivo e quanti, invece, seguono la linea del presidente M5s, Giuseppe Conte, e vogliono andare allo strappo. A scandagliare fonti di governo, sembra che ormai lo scenario elezioni sia il più accreditato, tanto che c’è chi parla di due date su cui si ragiona per il possibile appuntamento con le urne: il 25 settembre e il 2 ottobre.
L’impressione di chi, dalle prime linee del governo, sta seguendo l’evoluzione della crisi è che Giuseppe Conte abbia già deciso di non sostenere il governo. E Mario Draghi, è il ragionamento, non avrebbe la possibilità di continuare con quella maggioranza che lo ha sostenuto fin qui, condizione posta come irrinunciabile dal premier per proseguire il cammino.
L’unica speranza, dicono fonti della maggioranza, è che nel M5s intervenga un “fatto politico importante”. Ovvero, che una parte dei Cinque Stelle voti il sostegno a Draghi, in dissenso dal resto dei gruppi pentastellati. La quota minima, pallottoliere alla mano, sarebbe fra i 15 e i 20 parlamentari. Tanto basterebbe perchè il baricentro della maggioranza non si sbilanci troppo verso destra, dando un profilo ‘politico’ al governo.
Una condizione che, viene riferito, Draghi non potrebbe accettare. L’ipotesi che un gruppo di parlamentari voti in dissenso dal gruppo M5s è reale, ma sui numeri di questi ‘disobbedienti’ non c’è al momento certezza. Alcune fonti M5s parlano di una trentina di parlamentari, per lo più deputati, pronti allo strappo.
Più compatti attorno a Conte sono i senatori Cinque Stelle. Quale sia l’impatto di questo nuovo strappo non è facile immaginarlo: i ‘disobbedienti’, con ogni probabilità, verrebbero espulsi o lascerebbero il movimento di propria iniziativa. Si tratterebbe, viene osservato da fonti del M5s, di “un unicum visto che” nello stesso partito “sarebbero allontanati sia quanti hanno rifiutato in passato di votare la fiducia a Draghi, sia quanti vogliono votarla oggi”.
I pontieri sono comunque al lavoro, sia all’interno del M5s sia fuori, per arrivare a una ricomposizione. Si registra, in particolare, l’incontro a Villa Certosa fra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Il capo della Lega ha già evocato il voto chiedendo uno stop a quello che considera “un teatrino”.
La Lega inoltre ha iniziato a bersagliare il Partito Democratico protagonista nelle ultime ore di un faticoso tentativo di mediazione con le altre forze politiche per ricucire il perimetro della maggioranza che ha fatto nascere il governo Draghi, anche con interlocuzioni con i dirigenti M5s. Enrico Letta ha convocato, intanto, i gruppi parlamentari per martedi’ alle 21.30, segno che il segretario dem intende sfruttare fino all’ultimo minuto utile per tentare di salvare il governo.
Tutto questo, mentre si succedono gli appelli dei leader internazionali e delle istituzioni europei a favore della permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Lo stesso Letta, si apprende, si è fatto promotore di una campagna presso i colleghi del Pse perchè giungesse a Draghi il massimo sostegno. Una campagna che, unita all’appello delle realtà economiche e sociali del Paese, potrebbe contribuire a convincere Draghi a rimanere al proprio posto.
Questo, almeno nelle speranze dei dem. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, “ha un profondo rispetto per il primo ministro Draghi, quindi ovviamente segue molto da vicino lo svolgersi avanti e indietro a Roma”, ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, all’arrivo di Biden a Gedda, in Arabia Saudita. Messaggi di stima sono arrivati al presidente del Consiglio anche da alcune tra le figure più importanti dell’Unione europea. “Mario Draghi è un partner autorevole nel contesto europeo e internazionale. Il suo contributo in questo difficile momento storico è importante per l’Italia e la Ue”, ha scritto su Twitter il vice presidente della commissione Ue, Frans Timmermans. Appelli che, unitamente a quello firmato da mille sindaci e dalle realtà economiche e sociali del paese, potrebbe favorire un ripensamento nel premier. Questo almeno l’auspicio dei promotori.