Con la parola d’ordine “basta giochi di palazzo” il governo inizia un iter, l’ennesimo, che vuole arrivare alla modifica sostanziale della democrazia organizzata in Italia. Non più un presidente deciso nelle camerille delle due Camere bensì un nome e cognome uscito vincente dalle elezioni politiche a cui dare il mandato senza alcun incarico conferito dal presidente della Repubblica. Un ridimensionamento del ruolo di quest’ultimo. Una limitazione alla suscettibilità dell’inquilino del Quirinale chiamato a dare il proprio orientamento su una tendenza fondamentale. Ma l’incarico conferito dal presidente, in effetti, mette più a mettere in imbarazzo la sua qualità discrezionale che a conferire un vero e proprio potere di investitura.
Ma c’è il caso, e succede assai spesso in Italia, che un presidente sia sfiduciato dalle stesse Camere che l’hanno eletto. In questo caso, secondo il progetto di riforma approvato oggi in Consiglio dei ministri, il capo dello Stato può incaricare un parlamentare candidato nella stessa coalizione del premier dimissionario o sfiduciato. Può farlo però solo una volta. Non più di una. Se chi è insignito di questo incarico non si può far altro che sciogliere le Camere. E il presidente della repubblica deve provvedere a fare questa proclamazione.
In un criterio che volge verso una logica maggioritaria – ma non è detto che la riforma del sistema elettorale viaggi esattamente in questa direzione – non poteva mancare il premio di maggioranza. In tal caso si rimanda alla legge elettorale, unica in grado di fissare le modalità per arrivare a maggioranza affinché il premier non viva l’indesiderata esperienza che gli americani chiamano: “effetto dell’anatra zoppa”. Quindi, il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale. Direttamente dagli elettori. La sua durata è di cinque anni. Elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere si realizzano barrando su una scheda unica. (Sarà possibile il voto disgiunto? Anche questa è una materia che sarà processata dal legislatore intento nella riforma del sistema elettorale). Il premio di maggioranza deve riuscire a garantire il cinquantacinque per cento dei seggi nelle due Camere.
Chiaramente un premier non può svolgere questo incarico a vita. Si pone infatti il problema del limite dei mandati del presidente del Consiglio. Ma è anche vero che secondo la proposta di legge i cinque anni per cui è chiamato a governare il paese non conoscono limiti temporali. Un assurdo, se si pensa che i limiti sono stati posti per la figura del presidente della Regione e per quella del sindaco. A suonare il campanello della sveglia è proprio il governatore del Veneto Luca Zaia che è arrivato all’ultimo mandato non rinnovabile. D’altra parte anche negli altri paesi d’Europa, dove sussiste il limite dei due mandati, questo vincolo è scritto a chiare lettere nei rispettivi sistemi normativi.
Del resto, si sa. Quando si tratta di porsi dei limiti gli italiani si distraggono.