AGI – Lo scontro finale sul salario minimo si consuma alla Camera nel tardo pomeriggio. Uno scontro annunciato, senza sorprese, se non l’effetto scenico di Giuseppe Conte che straccia in Aula il testo della proposta di legge, ormai trasformata con un voto del solo centrodestra in commissione in una delega al governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione.
E che, al salario minimo, non fa alcun riferimento. Poi è Elly Schlein a ritirare la sua firma: “State pugnalando alle spalle gli sfruttati, senza nemmeno il coraggio di guardarli negli occhi mentre affossate il salario minimo. Non nel mio nome”, scandisce la leader dem in un’Aula infuocata.
Via via, tutti i firmatari della originaria proposta di legge unitaria (a cui solo Matteo Renzi non ha partecipato) ritirano la loro firma. Poco prima, con il parere contrario del governo all’emendamento, l’Aula aveva bocciato la proposta di modifica delle opposizioni che mirava a ripristinare il testo sulla retribuzione minima di 9 euro lordi l’ora.
L’ultimo tentativo, ma senza alcuna speranza visti i numeri della maggioranza, di “costringere” governo e centrodestra a dire plasticamente e pubblicamente no al salario minimo. Perché è di questo che le opposizioni unite accusano la premier Giorgia Meloni: “Non avere avuto il coraggio di votare contro la nostra proposta di legge”.
Una “fuga” messa in atto attraverso un “atto di pirateria”, sostiene Nicola Fratoianni, facendo infuriare la maggioranza. In Aula Schlein è durissima: “Voi avete i voti per governare, ma governare non significa umiliare la prerogativa delle opposizioni di presentare delle proposte, discuterle e votarle. Questo, vi sia chiaro, non è un diritto di cui disponete liberamente a vostro piacimento, la Costituzione non vi autorizza agli abusi di potere sulla pelle delle minoranze”.
E ancora: “il Governo ha scelto di sottrarre al parlamento il diritto di discutere e votare sul salario minimo. Questa è l’idea che avete della democrazia, è un antipasto del premieranno forte: forte coi deboli e debole coi forti. I poteri tutti concentrati nelle mani del capo del governo, e ai cittadini solo il dovere di acclamare il capo ogni cinque anni, se va bene. Ma la democrazia è un’altra cosa. Giorgia Meloni non ha avuto nemmeno il coraggio di farvi votare contro la nostra proposta, ha preferito trovare un sotterfugio per soffocare il dibattito in quest’Aula”.
Per la leader del Pd Meloni e la maggioranza hanno “scelto definitivamente da che parte stare, chi rappresentare, quali interessi difendere. Doveva essere un governo dalla parte degli italiani, siete solo dalla parte degli sfruttatori, e avete dato uno schiaffo agli sfruttati. Vergogna”.
Anche il leader M5s non le ha certo mandate a dire al governo che, a suo dire, ha “finalmente gettato la maschera” dicendo “no al salario minimo”. “La maggioranza ha voltato le spalle a 3,6 milioni di lavoratrici e lavoratori. Con la stessa arroganza con cui fate fermare un treno per far scendere un ministro, avete fermato la speranza di tutti questi lavoratori sottopagati. Vi dovete vergognare”. Ma “questo gesto proditorio non lo compirete in mio nome e nel nome del M5s”.
Infine, Conte garantisce: “La battaglia sul salario minimo è stata solo rallentata, la vinceremo perché il Paese è con noi”. Persino Italia viva, che non ha mai condiviso la proposta sul salario minimo, si scaglia contro maggioranza e governo: “Non è mai successo che una proposta dell’opposizione non sia stata emendata ma cancellata e sostituita con una delega di segno contrario”, esordisce Luigi Marattin. “La verità è che non volete il titolo di giornale in cui si dice che avete votato contro il salario minimo. Vi siete accorti che è uno slogan che funziona anche nel vostro elettorato. Quella scritta oggi dal governo è una brutta pagina contro le opposizioni”, chiosa il parlamentare renziano.
E Carlo Calenda, assente fisicamente perché senatore, si rivolge via social alla premier: “Faccio un appello politico e personale a Giorgia Meloni affinché riconsideri questa scelta”. E mentre il clima nell’emiciclo si surriscalda, con Maurizio Lupi e Tommaso Foti che difendono le scelte della maggioranza, spiegando che nulla vieta di modificare una proposta delle opposizioni e il presidente di turno Giorgio Mulè assicura che il regolamento di Montecitorio è stato pienamente rispettato, si riproduce in Aula la stessa unità delle forze di opposizione che le aveva portate a sottoscrivere il testo unitario sul salario minimo.
Una compattezza non usuale che produce anche alcuni emendamenti unitari, tutti peraltro destinati ad essere bocciati dal centrodestra. Il voto sul provvedimento, con cui si metterà la parola fine al salario minimo voluto da Pd, M5s, Azione, Più Europa e Alleanza sinistra e verdi, è atteso domani. Dopodiché nelle opposizioni in molti sono pronti a scommettere che la delega non vedrà mai la luce.
Domani, al momento del voto da parte della Camera, le opposizioni hanno in mente di concludere la battaglia con un ultimo atto: innalzare in Aula alcuni cartelli su cui dovrebbe essere scritto “vergogna”.