Laburisti 405 seggi, Conservatori 131, Liberaldemocratici 61. Tories al minimo storico. In quintessenza il risultato delle elezioni nel Regno Unito che vedono prevalere nettamente il partito laburista. Una vittoria impressa soprattutto per la personalità del suo primo candidato Keir Starmer che da quattro anni guida il partito. Londinese. Classe del ’62.
Si è battuto come avvocato per i diritti civili, primo in famiglia a laurearsi, solo in secondo momento ha deciso di dedicarsi alla politica. IL laburista prima di lui fu Gordon Brown, ma ancor prima gli inglesi ricordano Tony Blair che poi si è montato la testa mettendosi in proprio. Percorso tutto inverso per Keir Starmer che dopo la carriera da solista ha promesso di cambiare il paese. La sua affermazione personale nella vita l’ha già avuta.
In verità la passione per la politica l’ha respirata nella casa natia dove i genitori erano impegnati coi laburisti e gli dettero il nome Keir in onore a Keir Hardie che fondò il partito laburista inglesea inizio Novecento.
Dopo una carriera di studente modello ha fondato e diretto la rivista Socialist Alternatives. Un atto di pura militanza che, sua stessa ironica ammissione, gli dette nulla in termini economici, solo remissione, né in termini di visibilità.
Ha iniziato a fare l’avvocato concentrandosi sulle cause relative ai diritti umani. Professa dal 1987. Si è distinto in una lotta sindacale a sostegno dei minatori licenziati. Tante difese a sostegno degli esclusi, dei diseredati, dei condannati a morte nei Paesi africani e nei Caraibi.
IN sostanza, a differenza dei suoi predecessori è uno di sinistra veramente.
Nel 2008 è diventato Procuratore Generale. Dieci anni fa anche la Casa Regnante ha premiato il suo impegno sociale nei diritti insignendolo a Sir – meglio conosciuta come denominazione è quella di Baronetto. L’anno dopo l’investitura dalla Regina arriva la grande svolta: la decisione di candidarsi alle elezioni. Chiaramente viene eletto in una circoscrizione londinese. Ma ha perso la battaglia per restare legati all’Unione Europea nel 2016.
L’altro cambio di passo arriva nel 2020. Succede a Corbyn dimissionario con un’elezione in cui promette di cambiare il partito riportandolo alle sue origini di battaglie sostanziali e radicali. Cambiare in un partito dalla nuova cultura di governo progressista, avanzata, socialmente impegnata, e non quel partito della protesta che piaceva ai circoli intellettuali del Regno Unito.
Un percorso che ha avuto costi pesanti, del tipo epurazioni come avvenuto all’ex segretario Corbyn. Ha ricominciato a parlare alla gente, alle classi svantaggiate, ai lavoratori, a chi non ce l’ha fatta.
Così facendo ha ottenuto anche i favori dei portatori di interessi con un occhio alle compatibilità sociali e a cui la vecchia gestione andava stretta. Starmer ha rotto i ponti anche con la sinistra radicale, poco incline alla politica praticata in cui c’è bisogno di sedersi a un tavolo e siglare accordi con l’avversario di classe. Anche sulla Brexit ha infatti rinunciato a riportare il quesito agli elettori dichiarando invece di dover accettare il verdetto arrivato dal referendum. Nondimeno nel suo programma si è detto propenso a intensificare i rapporti con l’Unione. Intende di investire sui servizi pubblici. Non aumenterà alcun tipo di tassa o tributo. Chiaramente qui ha raccolto le obiezioni della parte più irremovibile della sua cultura politica. Tifa Arsenal. Molto legato alla famiglia, due figli, sua moglie fa l’infermiera nella sanità pubblica.