Non lo hanno fermato due attentatori, ma nemmeno il coro delle dichiarazioni da parte dei vip che propendevano per Kamala Harris, tantomeno le previsioni di sciagura con inesorabile testa a testa fino all’ultimo giorno utile per la proclamazione di vittoria.
Trump ha vinto prima dell’evidenziazione completa dei grandi elettori a dimostrazione di quanto rappresenti la tendenza fondamentale di questa fase storica. L’americano non ne può più di sentirsi in un grande paese che detta le sorti del resto del mondo vuole bensì sentirsi garantito nelle sue propensioni alla vita prospera sulla base del suo lavoro, quindi delle disponibilità offerte dal mercato. E’ meno interessato ai diritti in genere, meno solleticato dall’idea suprematista nel mondo, sempre più infastidito dal nuovo verso il quale è sempre più difficile stare al passo. Trump rappresenta la rassicurazione e l’idea di risolvere le questioni stringenti del proprio paese.
Forte di non aver portato nessuna guerra durante il periodo del suo mandato ma di trovarne due sfuggite dal controllo, o nel caso dell’Ucraina, probabilmente sollecitate.
Le modalità di risolverle saranno fuori dai protocolli e ben al di là della moral suasion. A Netanyahu dirà, come si dice francamente e bruscamente a un vecchio amico, di smetterla perché non si può continuare a fare la guerra in eterno. A Zelenskyj semplicemente comincerà a far mancare gli armamenti di cui ha tanto bisogno cercando una negoziazione eterodiretta con Putin perché gli sia riconosciuto di Donbas e le terre che si affacciano in mare.
Saranno soluzioni che non piaceranno, tanto più a chi ha combattuto perché non fosse questo l’epilogo ma a mali estremi estremi rimedi.
Assai più complessa e inerpicata è la questione della competizione commerciale con la Cina presso la quale non potranno reggere le misure dei dazi, così come detto in campagna elettorale. Lì il piano di negoziazione sarà assai più difficile e aperto alle soluzioni perché per la prima volta gli Stati Uniti non potranno sedere al tavolo nella veste di dominatori ma di inseguitori. Ed è un ruolo a cui non sono tagliati.
In ogni caso avremo modo di apprezzare il Trump di governo avendo assistito per i quattro anni precedenti al Trump di lotta e non è detto che ci piacerà di più o di meno. Sicuramente per l’Unione Europea consisterà nella frustata al cavallo di cui aveva bisogno. I paesi del vecchio continente dovranno decidere di crescere nella loro determinazione collettiva oppure accettare totalmente la subalternità e subire tutto quello che accade, E potrebbe essere l’inizio di un salvacondotto per evitare la regressione completa e la marginalità.
A monte di queste prospettive ora si deve guardare al panorama Democrat che vive una crisi epocale oltre che globale. Chiaramente le risposte offerte da questo mondo non rispettano più le visioni della classe media e del popolo un tempo grande sostenitore di questa parte politica. L’aver prediletto il realismo e il piano dei diritti lasciando ai margini le questioni fondanti del diritto al lavoro ha portato i democratici – che nel rappresentare nominalmente una visione culturale della politica si sovrappongono stancamente alla significazione della forma in cui funziona uno Stato moderno – rappresenta in America ed Europa la capitolazione. Serve una revisione di tendenza.
Non indifferente e leggero sarà il passaggio delle consegne in questi due mesi. Sarà dura ammettere di aver perso tutto e accettare che quel mondo perfettamente descritto ha bisogno di una nuova versione. E non potranno essere i vincitori a suggerirgliela.