Il compromesso tra giustizia e diplomazia – Nella storia contemporanea, non sono rari i casi in cui la Ragion di Stato ha prevalso sulla giustizia. Alcuni individui, invece di essere incarcerati o processati, sono stati espulsi, rilasciati o trasferiti per convenienze diplomatiche. Il caso di Sigonella (1985), con il braccio di ferro tra Italia e Stati Uniti sui dirottatori dell’Achille Lauro, ne è un esempio emblematico: pur di difendere la propria sovranità, il governo italiano rifiutò di consegnare i terroristi agli americani, preferendo gestire internamente il caso. Ma quando nel contesto internazionale delle alleanze prevale il principio anziché la ragion di Stato, le conseguenze della realpolitik non si lasciano attendere. Per queste ragioni, la storia è piena di casi in cui governi hanno scelto di soprassedere alla rigidità delle disposizioni di legge, stemperando in vario modo ordini di arresto internazionali o procedimenti giudiziari per motivi di opportunità politica. .
La logica degli scambi di prigionieri – Uno degli strumenti più usati nella realpolitik è lo scambio di prigionieri, che segue criteri di convenienza piuttosto che di giustizia. Alcuni esempi emblematici:
- Israele-Palestina (2011): Israele liberò 1.027 prigionieri palestinesi, molti dei quali condannati per atti terroristici, in cambio del soldato Gilad Shalit.
- USA-Iran (2023): cinque cittadini americani arrestati in Iran furono rilasciati in cambio dello scongelamento di fondi iraniani e della scarcerazione di detenuti iraniani negli USA.
- Guerra Fredda (1962): lo scambio tra Rudolf Abel, spia sovietica catturata dagli USA, e il pilota americano Francis Gary Powers dimostra come le questioni giuridiche passino in secondo piano rispetto agli equilibri geopolitici.
Questi episodi mostrano chiaramente, quando si tratta di proteggere cittadini o garantire un vantaggio strategico, come la giustizia diventi flessibile e adattabile.
Quando gli Stati decidono di non arrestare – Non tutti i ricercati internazionali vengono fermati o processati. Alcuni esempi:
- Omar al-Bashir: ex presidente sudanese, accusato di genocidio, ha evitato l’arresto grazie alla protezione di Stati amici come il Sudafrica e l’Arabia Saudita.
- Augusto Pinochet (1998-2000): l’ex dittatore cileno fu arrestato in Gran Bretagna su mandato della Spagna per violazioni dei diritti umani, ma fu poi rilasciato e rimpatriato per “motivi di salute”, evitando un processo internazionale.
- Abdelbaset al-Megrahi (2009): condannato per l’attentato di Lockerbie, fu rilasciato dalla Scozia per “motivi umanitari” e rimpatriato in Libia, scatenando accuse di pressioni politiche ed economiche.
Espulsioni strategiche e sicurezza nazionale – Alcuni governi hanno risolto questioni diplomatiche attraverso espulsioni che aggirano procedure legali ordinarie. Alcuni esempi:
- Carlos “Lo Sciacallo” (1994): il Sudan decise di espellere il terrorista venezuelano direttamente in Francia, senza una vera estradizione, per evitare pressioni internazionali.
- Mehmet Ali Ağca (2000): dopo aver scontato parte della pena per il tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II, fu estradato in Turchia dove lo attendevano altre condanne, evitando così ulteriori complicazioni internazionali.
- Wernher von Braun (1945): SS e padre della missilistica nazista, responsabile dei V-2 che devastarono soprattutto Londra, fu reclutato dagli Stati Uniti con l’Operazione Paperclip, bypassando ogni possibile accusa di crimini di guerra, compreso il processo di Norimberga.
a realpolitik nello scambio Israele-Palestina – Lo scambio di prigionieri tra Israele e Palestina si configura non come un atto di giustizia, bensì come una transazione politica in cui la bilancia della reciprocità è dettata non da criteri giuridici o morali, ma dalla pressione diplomatica e dalla convenienza strategica. Così, accade che un singolo ostaggio venga riscattato al prezzo di decine di detenuti, alcuni dei quali con condanne pesantissime, in un gioco di numeri che annulla il senso della pena e ridefinisce il valore della vita umana secondo logiche di potere.
Al di là della narrazione ufficiale, questi scambi non ricuciono le ferite né sciolgono i nodi del conflitto, ma cristallizzano un meccanismo in cui il diritto cede il passo alla necessità politica, trasformando ogni individuo coinvolto in una pedina sul tavolo delle trattative. Lungi dal rappresentare una vittoria dell’umanità, il rilascio di prigionieri e ostaggi diventa un atto di equilibrio instabile, dove la giustizia si piega alla ragion di Stato e il senso stesso di colpa e punizione viene sospeso in nome di un’urgente convenienza.
Il caso Meloni-Almasri nel contesto internazionale – Il recente rimpatrio del generale Almasri, accusato di crimini internazionali, ha riaperto il dibattito sulla Ragion di Stato, quantunque l’Italia per carenza procedurale internazionale, non avesse il diritto di trattenere autonomamente Almasri, peraltro membro di Governo libico in quanto Capo della Polizia Giudiziaria, ha riaperto il dibattito sulla Ragion di Stato. Il governo italiano ha difeso la decisione come un atto di sicurezza nazionale, mentre l’opposizione ha denunciato una grave violazione giuridica. Questo episodio si inserisce in una lunga tradizione di scelte politiche che superano la rigidità del diritto:
- L’Italia aveva alternative? Trattenerlo avrebbe compromesso i rapporti con la Libia.
- Era urgente? La sua presenza sul suolo italiano poteva generare tensioni.
- La magistratura aveva strumenti per opporsi? Se la procedura legale aveva lacune, l’espulsione era una scelta strategica.
La flessibilità del diritto nelle questioni di Stato – La storia dimostra che il diritto internazionale e nazionale non sempre prevale sulle necessità politiche. Espulsioni, scambi di prigionieri e protezione di individui chiave sono pratiche comuni, indipendentemente dai regimi politici. Il caso Almasri segue la logica della Ragion di Stato: garantire l’interesse nazionale del nostro Paese a scapito della rigidità giuridica.
Opporsi per opporsi – È opportuno sottolineare che, una volta avvenuto l’arresto di Almasri, la sua scarcerazione è stata disposta dalla Magistratura per l’assenza dei requisiti giuridici necessari alla detenzione, e non dal Governo, il quale non avrebbe potuto interferire con una decisione fondata su principi di diritto internazionale. L’opposizione, nel tentativo di attribuire all’Esecutivo la responsabilità di un presunto cedimento politico, sostiene che, data la gravità dei crimini imputati ad Almasri, egli non avrebbe dovuto essere liberato, trascurando però un elemento fondamentale: neppure la Corte Internazionale di Giustizia ha mai potuto esprimere una condanna in tal senso. La Magistratura, attenendosi ai parametri giuridici vigenti, ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per mantenerlo in stato di detenzione, rendendo infondate le accuse di un intervento politico nella vicenda.
L’attribuzione di responsabilità al Governo non trova pertanto alcun fondamento, né nella logica, né nel diritto, ma si riduce a un riflesso polemico fine a sé stesso, cui ogni evento avverso, anche il più naturale e ineluttabile, diventa pretesto per accusare il Governo anche se piove.